Gli Orchi sono immortali?

Dopo aver approfondito la conoscenza dei Nazgul, vorrei adesso soffermarmi sugli Orchi. A differenza degli Spettri dell’Anello, gli Orchi solitamente non colpiscono particolarmente la fantasia del lettore e dello spettatore: entrati a buon diritto nei panni dei “cattivi” per eccellenza di tante saghe fantasy, sono noti soprattutto per la loro ferocia, brutalità e in qualche caso, per un QI non propriamente lusinghiero.

Questa, almeno, è l’opinione ricorrente sugli Orchi, rafforzata non solo da ambientazioni ludiche (penso a D&D, Hero Quest, ecc.), ma anche dalle pellicole cinematografiche di Peter Jackson. In questi film, inoltre, agli Orchi è riservato il ruolo di “carne da macello” per eccellenza: Aragorn, Gimli e Legolas, in particolare, ne ammazzano una gran quantità senza apparente sforzo. Per carità di patria, poi, tacerei su quello che accade durante la fuga della compagnia di Thorin dalle segrete di Thranduil nel secondo film della trilogia dell’Hobbit…

In realtà gli orchi descritti di Tolkien sono un po’ diversi da quelli cinematrografici.

In primo luogo, dimentichiamoci esperimenti genetici come quelli che commette Saruman nel primo film del SdA: incrociando orchi e goblin avrebbe ottenuto solo…orchi e goblin! Questo perché negli scritti di Tolkien entrambi i termini indicano l’orco tipico, la cui altezza è compresa fra i 120 e i 160 centimetri, dalla faccia aguzza e dallo sguardo obliquo, colore di pelle verdastro ecc. Questi erano chiamati nelle prime traduzioni del SdA come orchetti, un termine che secondo me rendeva bene la differenza fra questi e i grossi Uruk, orchi che erano stati selezionati da Sauron alla fine della Seconda Era per combattere contro gli eserciti dell’Ultima Alleanza, attraverso metodi ignoti: si può supporre solamente che, come avviene con gli animali, egli avesse incrociato fra loro gli individui più alti e robusti degli Orchetti sino a ottenere una nuova razza di orchi, ma è solo una mia teoria, non suffragata in nessun modo dagli scritti di Tolkien. Tutti gli Orchi, d’altra parte, derivavano a loro volta da una serie di incroci avvenuti fra alcuni Elfi, catturati da Morgoth, maestro di Sauron, e una serie di spiriti demoniaci non meglio specificati: la prole di questi accoppiamenti forzati, brutalizzata dalle torture, dalla mancanza di aria e luce, ecc. avrebbe dato vita alla razza degli Orchi. Almeno, questa era la teoria di molti dei Saggi della Terra di Mezzo. Morgoth, infatti, non poteva infondere la vita in una nuova creatura: quello era un potere riservato solo a Eru-Iluvatar, il dio creatore. L’unica soluzione alla quale poteva ricorrere Morgoth (e Sauron dopo la sua scomparsa) era quella di agire sulla “materia vivente” già esistente, modificandola per selezionare e ottenere creature più utili ai propri scopi malvagi.

Chiarito questo punto essenziale sull’origine degli Orchi, è naturale chiedersi se, come gli Elfi loro predecessori, gli Orchi potessero essere immortali (ed eternamente giovani). Non è facile risolvere questo quesito, perché, certamente, gli Orchi adoravano la guerra al di sopra di ogni altra cosa e questa passione contribuiva ad abbreviare la durata della loro esistenza in modo drastico, immortalità o no: qualche elemento, però, si può ricavare dagli scritti tolkieniani.

Nell’Hobbit, ad esempio, Gandalf si rivolge a Dain annunciandogli la venuta di Bolg, figlio di Azog, ucciso dal nano dinanzi ai Cancelli Orientali di Moria. Se osserviamo la cronologia della Terza Era della Terra di Mezzo, notiamo che lo scontro nel quale Azog fu ucciso avviene nel 2799; la battaglia dei Cinque Eserciti, invece, si svolge nel 2941, esattamente 142 anni più tardi! Anche immaginando che Bolg avesse solo un anno quando suo padre fu ucciso da Dain, questo significa che egli avrebbe avuto almeno 143 anni all’epoca dei fatti narrati nei capitoli finali dell’Hobbit! Non solo era vivo e vegeto, ma godeva di ottima salute, dal momento che scendeva in battaglia con i suoi eserciti!

Questo breve dialogo, inoltre, conferma l’esistenza di orchesse, che generavano piccoli orchi: ritengo, quindi, che ogni qual volta Tolkien scriveva di proliferazione e moltiplicazione di orchi, non intendesse alludere a nessuna tecnica di clonazione (che peraltro era sconosciuta nella sua epoca), ma disponibilità, da parte di Sauron, di tre elementi, necessari per accrescere una qualunque popolazione (elfica, umana, orchesca, ecc.): 1) disponibilità di cibo; 2) cessazione di ogni ostilità fratricidia; 3) protezione da pericoli esterni. In questo modo gli Orchi crebbero in gran numero: se poi aggiungiamo che, probabilmente, non si curavano troppo dei legami familiari e che le orchesse erano ingravidate di frequente da maschi diversi, ciò potrebbe spiegare anche la velocità con la quale il loro numero si accrebbe.

Un ultimo accenno lo vorrei dedicare alla mentalità orchesca: nei film del SdA e dell’Hobbit, essi appaiono sempre come creature votate alla malvagità assoluta, schiavi dei loro Padroni, ai quali non osano ribellarsi. Un dialogo fra due orchi di Sauron, presente nel libro “Il Ritorno del Re”, mostra, al contrario, una realtà molto più sfumata, indice della presenza, perfino fra gli Orchi, di un istinto rabbioso verso l’Oscuro Signore:

“Darò il tuo nome e il tuo numero ai Nazgul”, disse il soldato, e la sua voce era piena di paura e di rabbia. “Maledetto spione!”, urlò. “Non sai fare il tuo lavoro e non sai nemmeno rimanertene fra la tua gente. Va’ dai tuoi luridi Strilloni, e che possano spellarti vivo! Se il nemico non li prende prima. Hanno accoppato il Numero Uno [il Re Stregone], ho sentito dire, e spero che sia vero!” SdA, Il Ritorno del Re, p. 233.