Inizio questo articolo con una citazione del bellissimo racconto a fumetti: «Favola di Venezia» di Hugo Pratt. Al termine di una vicenda intricata e onirica il protagonista del racconto, il marinaio Corto Maltese, trova una gemma magica, la «Clavicola di Salomone», nel Ghetto di Venezia, che gli permette di andare «in posti bellissimi e in altre storie» come recita la didascalia della vignetta che ho scelto come immagine in evidenza per questo articolo.
Le proprietà de «La clavicola di Salomone», che permettevano al suo possessore di aprirsi la strada verso altri mondi, mi hanno suggerito una riflessione sui Grandi Anelli del Potere che, spero, possa fare luce su alcune delle loro caratteristiche intrinseche. Come tutti sanno, l’uso prolungato degli Anelli porta con sé una serie “effetti collaterali” perniciosi di dipendenza: non escludo da questi neppure gli Anelli degli Elfi, perché, se ci pensate bene (a parte l’Anello di fuoco, affidato a Gandalf) costringono, più o meno implicitamente, i loro possessori a isolarsi dal mondo, aiutandoli a realizzare delle bellissime oasi come Rivendell e Lorien, le quali, tuttavia, a causa della loro natura, per così dire “artificiosa”, sono isolati dal resto delle terre circostanti. Ricordate cosa accade ai membri della Compagnia dell’Anello quando abbandonano Lorien? Scoprono che sono trascorsi molti più giorni rispetto ai loro conti: il tempo scorre diversamente nella terra di Galadriel, contribuendo ad isolarla dal resto della Terra di Mezzo. Gli Elfi sono orgogliosi delle loro dimore: eppure, venuto meno il potere dell’Unico Anello, avvertono il senso di stanchezza (o forse dovrei dire di inadeguatezza) che la Terra di Mezzo comunica loro e forse – ma questa è una mia opinione – comprendono che, magari non nel volgere di pochi anni, ma con il trascorrere del secoli, Lorien e Rivendell avrebbero perso le loro proprietà intrinsiche di bellezza, legate com’erano ai poteri degli anelli di Elrond e Galadriel, e decidono di rinunciarvi spontaneamente, veleggiando verso Ovest e conservando così intatto il ricordo struggente della bellezza e armonia di quei luoghi.
Anche per i Nani, che pure risultavano molto resistenti alla magia, l’uso degli Anelli comportò conseguenze perniciose: in realtà, conosciamo molto poco delle proprietà degli anelli del popolo di Durin, fatta eccezione forse per una frase dal significato piuttosto oscuro che nelle Appendici del «Signore degli Anelli» Thror rivolge a Thrain, consegnandogli l’ultimo Anello del suo popolo: «Questo potrebbe essere per te la base di una nuova fortuna, benché sembri improbabile. Ma per fare oro occorre averne» (JRR Tolkien, SdA, p. 412).
Per quanto riguarda gli Anelli degli Uomini siamo maggiormente informati, non fosse altro perché sappiamo che il loro possesso li trasformò in servitori schiavi della volontà di Sauron, i Nazgul, realizzando così l’obiettivo primario dei piani del Nemico: rendere i possessori degli Anelli suoi schiavi immortali. Siamo a conoscenza, altresì, degli effetti “positivi” che caratterizzavano questi artefatti: rendevano i sensi dei loro proprietari più acuti (ricordate cosa successe a Bilbo nell’Hobbit?) e, almeno nel caso degli Anelli degli Uomini, resero le loro menti più brillanti e i loro corpi più resistenti, prolungandone la vita magicamente: in questo modo essi potettero diventare famosi sovrani, guerrieri e stregoni, prima di cadere vittime della nequizia di Sauron. Fin qui abbiamo brevemente ricordato le principali caratteristiche degli Anelli e il destino finale dei loro possessori, senza però avvicinarci ancora al tema anticipato nel titolo.
Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo riprendere una frase del Silmarillion che entra nel vivo della questione dei poteri degli Anelli: «Potevano aggirarsi, volendolo, invisibili agli occhi di tutti in questo mondo sotto il sole, e vedere cose in mondi invisibili ai mortali; ma troppo spesso non scorgevano altro che fantasmi e finzioni di Sauron». (Il Silmarillion, p. 364). Or dunque, che Sauron evocasse le larve degli spiriti dei morti non è una novità: fu proprio attraverso l’inganno perpetuato a danno di uno dei compagni di Barahir, il padre di Beren, mostrandogli il fantasma della moglie morta, che il discepolo di Morgoth apprese del nascondiglio dei suoi nemici e potè così procedere alla loro eliminazione. Per comprendere tuttavia a cosa alludesse Tolkien parlando di «mondi invisibili ai mortali», dobbiamo recuperare un altro breve passaggio dei suoi scritti. Ricordate cosa successe a Frodo quando, al Guado di Bruinen, era sul punto si trasformarsi in uno Spettro? «Mi parve di vedere una figura bianca che risplendeva e non si offuscava come le altre: era dunque Glorfindel?». «Sì, per un attimo l’hai intravisto com’è nell’altro mondo: uno dei potenti fra i Priminati». (SdA, La Compagnia dell’Anello, p. 305). Possiamo dunque immaginare che gli Anelli del Potere, un po’ come la Clavicola di Re Salomone fossero ponti di passaggio fra mondi diversi? E se sì, cosa c’era davvero in quei luoghi, a parte le finzioni di Sauron (che, come i Priminati, doveva avere potere in entrambi in mondi)? Purtroppo a queste domande Tolkien non offrì mai alcuna risposta: è affascinante, tuttavia, immaginare che gli Anelli del Potere potessero permettere ai loro possessori di avere una visione di Aman (declinata tuttavia secondo le caratteristiche dei vari popoli: per fare un esempio, i Nani avrebbero potuto scorgervi le grande ricchezze materiali degli immortali, mentre gli Uomini sarebbero rimasti maggiormente affascinati dal potere che queste figure emanavano), rendendo tuttavia i loro possessori via via meno legati a questo mondo e desiderosi, invece, di fuggire al di là del Mare per sempre? Forse è per questa ragione che Tolkien, riferendosi a un Thor ormai anziano, lo descrisse come rimbambito a causa dell’età o dell’Anello. È possibile che la malvagità di Sauron risiedesse anche nell’offrire ai possessori degli Anelli un’immagine di un mondo stupendo, del quale, a un certo punto, non potevano fare più a meno?