Signori in piedi! Entra la Giuria. In difesa di Dain II Piediferro

Riprendo una rubrica che avevo inaugurato alcune settimane fa, dedicata alla rappresentazione dei principali personaggi delle opere tolkieniane nelle pellicole cinematografiche di Jackson. Come avevo annunciato, si tratta di un confronto semiserio nei quali vesto sia i panni dell’accusa che della difesa, cercando di porre in luce gli elementi meglio (o peggio) riusciti dei personaggi della Terra di Mezzo. Non si tratta di giudizi assoluti, né vogliono avere la pretese di essere tali: lo scopo di questa rubrica è solo quello di invitare a riflettere sulle differenze che, inevitabilmente, sorgono fra due canali comunicativi intercantesi e tuttavia molto differenti, come la scrittura e l’arte cinematografica.

Quest’oggi voglio approfondire la figura di Dain II Piediferro. Ne «Lo Hobbit», Dain è poco più che una invocazione lanciata da Gandalf poco prima dello scoppio della battaglia dei cinque eserciti, con la quale egli invita il re dei nani a unirsi agli uomini e agli elfi per la disperata difesa della Montagna. Al termine dello scontro, tuttavia, Tolkien inizia a farci scoprire un personaggio dal carattere nobile, che desidera porre rimedio al comportamento poco saggio tenuto da Thorin nei confronti di Bilbo prima che gli Orchi giungessero alla Montagna Solitaria, pur tenendo conto delle evoluzioni che, nel frattempo, si sono verificate:

Gli altri rimasero con Dain; infatti Dain distribuì con accortezza il tesoro. […] A Bilbo egli disse: «Questo tesoro è tuo quanto mio; però gli antichi accordi non possono più sussistere, perché molti hanno acquisito un diritto su di esso, conquistandolo e difendendolo. Tuttavia nemmeno se tu fossi disposto a rinunciare a tutti i tuoi diritti, vorrei che le parole di Thorin, di cui egli si pentì, si dimostrassero vere; e cioè che ti dessimo poco. Vorrei ricompensarti più riccamente di tutti». Lo Hobbit, p. 327-328.

Nel Signore degli Anelli il ritratto di Dain si approfondisce maggiormente: non solo perché, a differenza di quanto avviene nei film di Jackson, è Dain che uccide Azog, vendicando così sia suo padre che suo zio, ma perché si comporta in modo saggio e accorto in almeno due occasioni: nella prima, quando giovane nano (considerato poco più che adolescente) ammonisce Thrain a non entrare nelle Miniere di Moria dopo la disfatta degli Orchi, perché ha visto con i suoi occhi il pericolo che si nasconde nell’oscurità di Khazad-Dum, il Flagello di Durin*; nella seconda circostanza allorché si confronta nientemeno con uno dei Nazgul, inviato da Sauron allo scopo di incutere paura nei figli di Durin, e, verosimilmente, a verificare le difese militari che i Nani avrebbero potuto schierare contro i suoi tentativi di conquistare l’Oriente della Terra di Mezzo. Nel rispondere al pericoloso messo dell’Oscuro Signore, Dain mostra grande fermezza e prudenza:

«La mia risposta non è un sì né un no. Devo riflettere sul tuo messaggio e su ciò che implica dietro le belle apparenze.”. “Rifletti bene, ma non troppo a lungo” disse il messaggero. “Il tempo del mio pensiero è mio, e sono libero di impiegarne quanto voglio”, rispose Dain. “Per ora”, disse l’altro cavalcando via nell’oscurità». Il Signore degli Anelli, La Compagnia dell’Anello, p. 327.

Anche nel terzo capitolo della saga cinematografica dell’Hobbit il personaggio di Dain è poco più che una comparsa: almeno su questo non si differenzia molto dal personaggio originale. La questione più grave, tuttavia, resta quella caratteriale: il soggetto cinematografico, infatti, è molto meno saggio rispetto alla figura del romanzo. Lo stesso Gandalf, nel presentare il cugino di Thorin a uno stupefatto Bilbo, lo descrive come molto più ostinato del figlio di Thrain, il che è tutto dire! In particolare, c’è una scena che proprio non riesco ad accettare e che è visibile, fortunatamente, solo nella versione estesa: quella in cui Dain ordina ai suoi di attaccare gli Elfi. Ancora una volta, Jackson non si rende conto di quanto i Popoli Liberi fossero riluttanti all’affrontarsi in guerra, tanto più tra genti che solitamente non si combattevano fra loro: nel libro, infatti, non si giunge allo scontro armato. Anche Thranduil si mostra molto riluttante a scendere in guerra a causa dell’oro, preferendo aspettare l’inverno per prendere i Nani a causa della fame e del freddo.

In difesa degli sceneggiatori, comunque, va detto che Dain nei film rappresenta l’alter ego di Thorin: laddove il figlio di Thrain cerca di ascoltare i suggerimenti di Gandalf, Dain è invece irascibile e sospettoso oltre ogni limite. Inoltre (altro punto a favore degli sceneggiatori) Dain deve fare da contraltare anche a Thranduil, il quale, a sua volta, si mostra molto diffidente nei confronti dei Nani, non mancando di far notare in diverse occasioni che lo scontro con i figli di Durin è inevitabile. Una scelta legittima, quella degli sceneggiatori, che può ricevere molto attenuanti nel giudizio: ciò non toglie, tuttavia, che il «crimine» sia stato commesso e che il giudizio della Giuria non possa che essere univoco: colpevoli.

*Una scena stupenda, che avrei tanto voluto vedere nel film dell’Hobbit, ma pazienza. Immaginate Dain che si affaccia all’interno delle Miniere, ancora orgoglioso per aver ucciso Azog e scorge, immobile nell’oscurità, più nero della notte, il Balrog che lo fissa in un glaciale silenzio, mentre i suoi occhi di bragia splendono nel buio.