Nessuno tocchi la Bocca di Sauron! L’importanza del fairplay e delle leggi nelle opere tolkieniane

Uno dei personaggi meno amati del Signore degli Anelli è certamente la Bocca di Sauron. Non credo sia necessario soffermarmi sui motivi che spingono i lettori del romanzo di Tolkien a detestarlo, ma per coloro che non conoscano questo personaggio, mi ci soffermerò brevemente: la Bocca di Sauron, come dice lo stesso appellativo, è una sorta di ambasciatore dell’Oscuro Signore, incaricato di comunicare la volontà del suo padrone ai suoi servi e ai suoi avversari. Nessuno conosce il suo vero nome e le storie non ne parlano: si dice che lui stesso l’avesse dimenticato, assorbito com’era dal compito di rappresentare l’autorità di Sauron; sembra, tuttavia, che fosse un discendente dei Numenoreani Neri, coloni che si erano stabiliti sulle coste meridionali della Terra di Mezzo durante la Seconda Era, adorando Sauron perché erano avidi di scienza malefica. Non si hanno altre notizie su questo personaggio, se non che aveva fatto una rapida carriera nelle file dei servi di Sauron, arrivando a godere della piena fiducia del suo padrone, e mostrando una crudeltà superiore a quella di qualunque orco. Emerge qui un particolare molto importante: come forse alcuni ricorderanno, Sauron vietava ai suoi servi di pronunciare il suo nome o di scriverlo, adoperando come emblema l’Occhio rosso circondato dalle fiamme. La scelta della Bocca di Sauron di utilizzare nel proprio appellativo il nome del malvagio Maia, dunque, indica da parte sua una perfetta coesione di mente e di spirito con il suo Signore: questo ci mostra, dunque, quanto questo uomo fosse ormai divenuto un pupillo di Sauron.

La Bocca di Sauron, in qualità di araldo del suo signore, aveva dunque il compito di parlamentare con i rappresentanti delle schiere dell’Ovest: Tolkien, che non usa mai parole a caso, descrive chiaramente quale fosse lo scopo dell’Oscuro Signore in tutto ciò: «Ma Sauron aveva già i suoi piani, e intendeva giocare crudelmente con quei topi prima di ucciderli». Ecco, vorrei sottolineare il verbo giocare: Sauron vuole imbastire una «scenetta teatrale» al fine di mostrare un falso rispetto nei confronti dei suoi nemici. Il gioco, tuttavia, ha delle regole sacre, che neppure Sauron, considerato forse il massimo signore dell’inganno della Terra di Mezzo (chiedere a Celebrimbor per avere conferma) intende trasgredire: a questo proposito mi vengono in mente le riflessioni di Tolkien su un altro gioco, quello degli indovinelli fra Bilbo e Gollum, sul quale scriveva che era un «gioco antico, del quale neppure le creature più malvagie osavano infrangere le regole». Sauron ha ben chiare le regole di quel sottile gioco che è la diplomazia e non sembra volerle trasgredire: naturalmente, alla base del suo comportamento, non c’è una volontà di redenzione, né di riconoscimento reciproco dei suoi nemici come essere dotati di propria dignità. La Bocca di Sauron, infatti, dopo averli scrutati per bene, non perde occasione per deridere i Capitani dell’Ovest: «Vi è qualcuno in mezzo a questa folla che abbia l’autorità di trattare con me?» domandò. «O addirittura il cervello per capirmi? Certo non tu!», disse con tono sarcastico deridendo Aragorn. «Per fare un re ci vuole altro che un pezzo di vetro elfico o delle plebaglia come questa! Come? Qualsiasi brigante delle montagne può disporre di eguali seguaci!» Sauron, dunque, intende condurre il gioco a modo suo: proprio come molti calciatori che non perdono occasione di irridere l’avversario, sperando di non essere ripresi a loro volta dall’arbitro, ma non tralasciando occasione, a loro volta, di attirare l’attenzione del giudice di gara quando ritengono di essere a loro volta vittime di ingiustizie, la Bocca di Sauron richiama allarmato Aragorn al «rispetto» delle regole, nonostante il ramingo non avesse fatto nulla per minacciarlo, se non, forse, mostrargli, attraverso il suo penetrante sguardo, la sua meschinità e malvagità. «Sono un araldo e un ambasciatore, e non posso essere assalito!». A questo punto è Gandalf che dimostra come ci siano in campo delle regole che devono essere rispettate da entrambe le parti, se si vuole continuare a seguire quel clima di fair-play, di rispetto dell’avversario, che nasce nelle università inglesi nel corso del diciannovesimo secolo, e che certamente Tolkien doveva aver ben presente. «Ove vigono simili leggi» disse Gandalf, «vi è anche la consuetudine che gli ambasciatori siano meno insolenti. Ma nessuno ti ha minacciato. Non hai nulla da temere da noi fino a quando non avrai portato a termine il tuo compito. Ma dopo, a meno che il tuo padrone non sia colto da improvvisa saggezza, tanto tu quanto tutti i suoi servitori correrete grave pericolo». Stiamo per entrare nel nocciolo della questione, che spero possa essere d’aiuto nel far comprendere le ragioni del titolo che ho adottato per questo articolo: Gandalf (come gli altri Capitani, s’intende) è perfettamente conscio del ruolo che la Bocca di Sauron incarna e non intende attaccarlo prima che questi abbia completato il suo lavoro di ambasciatore. Secondo me, questo è uno dei punti più alti del Signore degli Anelli, in termini di umanità, e segna un profondo distacco fra Sauron e i suoi nemici: proprio nel momento, infatti, in cui entrambe le forze si confrontano in un dialogo verbale, teso quanto si vuole, pieno di trappole verbali e di menzogne, naturalmente, Gandalf riconosce al suo nemico, alla rappresentazione carnale dello spirito di Sauron (e dunque, per esteso, a Sauron stesso) una dignità che nessun servo del male riesce a ricambiare. Per la Bocca, infatti, è piuttosto chiaro quale deve essere il suo compito: irretire il nemico, mostrargli che ogni speranza è destinata ad essere delusa e che l’Anello è già rientrato (o lo farà presto) nelle mani del suo Padrone. È un grande bluff, in fondo, quello che la Bocca conduce: e lo fa, bisogna ammetterlo per onestà intellettuale, in modo molto convincente. Avendo in mano alcuni oggetti appartenuti a Sam e Frodo, pur ancora ignorando la loro missione nella Terra di Mordor, ha tuttavia compreso che sono cari a Gandalf e ai suoi amici: Sauron intende sfruttare a suo vantaggio quella che, secondo il suo metro di giudizio, è una grave debolezza, ossia l’affetto che lega fra loro persone che si vogliono bene, che non possono certo restare indifferenti rispetto al destino dei due hobbit torturati dagli aguzzini della Torre Oscura. L’araldo di Mordor godette nel vedere i loro volti grigi di paura e l’orrore in fondo ai loro occhi, e rise di nuovo, perché gli parve che il suo gioco procedesse nel migliore dei modi. Ancora una volta, Tolkien sceglie il termine «gioco» per indicare l’attività del Numenoreano Nero: è un gioco diplomatico, certamente, nel quale si chiede molto, evidentemente troppo, come si capisce dalla lettura delle condizioni che questi detta ai suoi avversari e che qui riassumo: cessione delle Terre ad est dell’Anduin a Sauron; conclusione dello stato di guerra contro Mordor; trasformazione dei territori ad ovest dell’Anduin in tributari di Sauron, o, per meglio dire, della Bocca, che sarebbe divenuto il tiranno dei popoli liberi. Dinanzi alla legittima richiesta di Gandalf di esibire prove concrete della prigionia di Frodo e Sam e alle sue critiche in merito alla richiesta di Sauron di ottenere senza combattere ciò che sul campo di battaglia avrebbe dovuto faticare a guadagnarsi (cfr. Battaglia dei Campi del Pelennor), la Bocca esita: come un giocatore di poker al quale si chiede di mostrare le carte troppo presto, egli appare per un attimo incerto su quale ruolo deve ora giocare per ottenere la sottomissione di Gandalf; ma poi si riprende, utilizzando come arma non più una fine, per quanto malvagia, dialettica, (con la quale, evidentemente, ha fallito) ma solo la bruta minaccia, strettamente connessa a un cambio nella voce dell’uomo: «Non sprecare parole, insolente, con la Bocca di Sauron!», gridò. «Pretendi sicurezza! Sauron non ne dà. Se supplichi la sua clemenza devi prima fare ciò che vuole. Sono queste le sue condizioni. Prendere o lasciare!»

A questo punto, con la bravura tipica solamente dei grandi scrittori, Tolkien inserisce un colpo di scena brillante (e non solo in senso metaforico): il manto di Gandalf si apre e una grande luce invade quel luogo oscuro. La Bocca di Sauron, atterrita, capisce che il suo ruolo è terminato: «ha sparato tutte le sue cartucce», come direbbero i fan dei film western. I Capitani dell’Ovest hanno compreso che Sauron ha imbastito un grande bluff e che, in realtà, non ha niente con cui minacciarli che non sia la forza bruta dei suoi eserciti. La Bocca di Sauron viene così bruscamente congedata: nessuna delle sue condizioni, ovviamente, viene accettata e Gandalf, nel rivolgergli le ultime parole, profetizza un destino di morte nei suoi confronti. Nessuno, però, è in grado di verificare se le parole di Gandalf corrispondano a verità: dopo che la Bocca fugge e l’esercito di Sauron si precipita fuori dal Cancello Nero, l’ultimo accenno a questa malvagia figura lo troviamo in un pensiero espresso da Peregrino Tuc, poche righe più in basso: «Se potessi colpire con essa quell’infame Messaggero, riuscirei quasi a eguagliare il vecchio Merry» (il quale, come sappiamo, aveva contributo a uccidere il Re degli Stregoni in persona). Si tratta solamente di un desiderio, di un auspicio che evidentemente non trova modo di concretizzarsi: come apprendiamo proseguendo la lettura, infatti, Pipino ucciderà il capo dei Troll Neri prima di svenire; e questa sarà la sua ultima azione in battaglia, benché egli avrebbe voluto certamente fare di più. Della Bocca di Sauron Tolkien non scriverà più alcunché: siamo dunque liberi di pensare che sia sopravvissuto, portando magari con sè i libri di magia del suo Padrone nell’Estremo Est (mia ipotesi personale), dove potrebbe aver proseguito il culto di Sauron e di Morgoth (e questo destino ben si legherebbe a quanto Gandalf sostiene nell’ultimo consiglio dei Capitani dell’Ovest, prima di partire per il Morannon, in relazione all’idea che altri mali potrebbero giungere dopo la fine di Sauron), oppure credere che sia stato ucciso nel crollo della Barad-Dur, ucciso insieme al suo padrone.

In fondo, comunque, il suo destino poco conta sull’economia della storia del Signore degli Anelli; alzando un po’ il tiro, potremmo anche aggiungere che la stessa figura della Bocca di Sauron non ha in fondo grande importanza per comprendere le linee generali dell’opera tolkieniana. Per questa ragione, ricordo di non essere rimasto particolarmente deluso quando, nel gennaio del 2004, non trovai la Bocca di Sauron nell’ultimo capitolo della trilogia cinematografia di Jackson; che la sceneggiatura contemplasse o meno la sua figura, infatti, non era secondo me rilevante. L’esercito dell’Ovest arriva al Morannon e viene attaccato dalle orde di Sauron. Punto. Sostanzialmente la successione degli eventi è questa e la comparsa della Bocca di Sauron avrebbe avuto solo l’effetto di spezzare il ritmo dell’azione: ragion per cui pensai che, in fondo, sostituire il dialogo Gandalf-Bocca con l’incitamento di Aragorn ai suoi uomini non fosse una cattiva idea.

Qualche mese più tardi, tuttavia, iniziarono a uscire dei rumors che mostravano i primi fotogrammi della Bocca di Sauron: perdonate il gioco di parole, ma non potei esimermi dallo storcere la mia, di bocca! L’araldo, infatti, mi pareva troppo grottesco, una sorta di Jocker trapiantato nella Terra di Mezzo: pensai, comunque, che fosse in linea con un certo gusto trash al quale Jackson non era certo estraneo e quindi, dopo un iniziale senso di sgomento e perplessità, feci spallucce.

Quello che mai mi sarei aspettato di vedere, tuttavia, e che ebbi modo di scoprire solo quando acquistai il DVD della versione estesa de “Il Ritorno del Re” fu che Aragorn avesse decapitato la Bocca di Sauron, con la compiacenza dei suoi amici, Gimli in primis!!!

Scusate, ma è una scena che ancora oggi non posso accettare.

Come ho cercato di spiegare nel corso di questo corposo articolo (i miei lettori mi perdoneranno per la sua lunghezza), non provo certamente simpatia per la Bocca di Sauron, un essere spregevole come pochi nella Terra di Mezzo e ho cercato anche di spiegarne il perché. Dirò di più: sono certo che se Tolkien si fosse dilungato ulteriormente su questo personaggio, magari descrivendone la morte in battaglia, avrei ghignato, pensando che sarebbe stato giusto così. Attenzione, però: non ho scritto «in battaglia» a caso. In guerra valgono altre regole, se così si può dire: Aragorn, Gandalf o Pipino avrebbero avuto tutto il diritto (e l’approvazione di milioni di lettori e lettrici, immagino) se avessero ucciso la Bocca di Sauron, magari in un duello a singolar tenzone; e altrettanta soddisfazione sono certo che avrebbero espresso se un cornicione di Barad-Dur gli fosse caduto in testa, liberando il mondo della sua presenza.

Ma non è andata così. E, soprattutto, non si può lasciare che un ambasciatore venga decapitato perché è un essere infido e malvagio.

No.

Se ci sono delle regole, delle leggi, i primi che dovrebbero applicarle sono i «buoni», tanto per adoperare un termine di immediata comprensione. Gandalf lo sa molto bene e infatti la sua conversazione con la Bocca di Sauron è severa, ma corretta. È un insegnamento, il suo, che può e deve essere applicato in tanti contesti, anche (ovviamente) meno pericolosi di quelli della Terra di Mezzo. Si tratta di un modo per dimostrare che l’istinto di violenza non può prendere il sopravvento sul rispetto delle leggi: quelle stesse norme di convivenza che permettono alla nostra specie e a tutte quelle dei mondi fantasy che mente umana potrà mai concepire, di sopravvivere alle più oscure nefandezze che, in aperto disprezzo di quelle stesse regole, compiono, purtroppo, alcuni dei suoi membri.

Nel prossimo articolo, vedremo come si comporteranno Erfea e i Capitani dell’Ultima Alleanza dinanzi alle minacce e alle ingiurie dei servi di Sauron. Saranno in grado di tenere fede alla loro «umanità»?