Continuo in questo articolo il racconto della genesi del «Ciclo del Marinaio» iniziato nel contributo In principio era…Othello, ovvero come nacque il Ciclo del Marinaio. All’indomani dell’abbandono del progetto originario di un racconto psicologico che aveva come tema la gelosia e la distruzione dei rapporti di amore e amicizia fra Gilnar, Elwen e Morwin, mi dedicai, come ho accennato nel precedente articolo, alla poesia, senza più curarmi del legendarium tolkieniano. Qualche anno più tardi, conobbi un personaggio letterario che ebbe un’indubbia influenza sugli sviluppi successivi della genesi del «Ciclo del Marinaio»: si tratta di Corto Maltese, probabilmente uno dei soggetti del fumetto internazionale più noti, creato e disegnato dalla penna del maestro Hugo Pratt. Al di là delle sceneggiature e delle illustrazioni spettacolari, che costituiscono valide ragioni per consigliare la lettura di questa «letteratura disegnata», come ebbe a definirla Umberto Eco, mi colpirono particolarmente alcuni tratti caratteriali di Corto Maltese: la sua malinconica ironia, il suo essere eroe nonostante la sua apparente pigra indolenza, il romantacismo sotteso al rapporto con il gentil sesso e, soprattutto, la lucida consapevolezza di essere il testimone di un passaggio epocale, quello consumato fra la Prima Guerra Mondiale e gli anni Trenta del secolo scorso. Nelle sue storie, infatti, non è raro imbattersi in alcuni personaggi storici realmente esistiti, oppure in altri fittizi che, tuttavia, si fanno interpreti degli sconvolgimenti che il mondo viveva in quegli anni. Un altro aspetto che mi colpì particolarmente del personaggio di Hugo Pratt fu il suo rapporto con le donne: facile agli innamoramenti, spesso nei confronti di fanciulle dal carattere non sempre facile (per usare un eufemismo), o addirittura sue nemiche, Corto Maltese è in realtà legato al ricordo di una ragazza conosciuta durante la sua giovinezza, della quale non sappiamo praticamente nulla, ma la cui presenza aleggia in alcune delle storie più famose di questo marinaio, figlio di un inglese e di una zingara. Un terzo aspetto che mi piacque di questo personaggio, infine, fu la sua capacità di sapersi misurare con culture diverse e di avere amici sparsi in giro per il mondo, dall’Argentina alla Russia, dalla Cina agli Stati Uniti: un pregio non da poco, se si considera la profonda cappa di razzismo che aleggiava nella società occidentale all’inizio del Novecento.
La lettura delle opere di Hugo Pratt mi riportò alla mente uno dei racconti più suggestivi scritti da Tolkien, che definisco personalmente come il più bello tra quelli appartenenti al legendarium tolkieniano: «Aldarion ed Erendis, o la Moglie del Marinaio». La storia di questo racconto si incentra sul rapporto difficile e tormentato tra Aldarion, l’erede al trono di Numenor, ed Erendis, una fanciulla numenoreana. Lo definisco uno dei più belli racconti tolkieniani perché, più di ogni altro, contribuisce ad approfondire quelle dinamiche dei rapporti umani che sono valide in ogni epoca, in ogni mondo, primario o secondario che sia. La storia termina tragicamente, anche se, alla fine del racconto, si coglie un certo rimpianto nelle scelte operate dai protagonisti, che hanno avuto come esito quello di allontanarli reciprocamente.
Aldarion e Corto Maltese sono due personaggi letterari che hanno molto in comune: entrambi amano il mare, esplorare nuove terre e venire a contatto con popoli diversi, e non riescono ad avere una relazione stabile e duratura con la donna che amano, anche se fanno fronte a quest’ultima difficoltà in modo diverso: Aldarion si rifugia nella sua missione esploratrice, mentre Corto Maltese tende a innamorarsi delle donne che incontra nelle sue avventure, perché gli ricordano quella che ama veramente. Entrambi, infine, tendono a fuggire dalle loro responsabilità «pubbliche»: Aldarion si mostra riluttante nell’assumere lo scettro di Numenor, mentre Corto Maltese non vuole essere immischiato nelle questioni politiche del suo tempo (anche se, tuttavia, ha una sua precisa visione del mondo, alla quale si attiene fedelmente).
Questi due personaggi, dunque, mi aiutarono a richiamare alla mente quel progetto, abbozzato alcuni anni prima e poi abbandonato, di una scrittura ambientata nella Terra di Mezzo: non mi sentivo, tuttavia, ancora pronto a scrivere un testo in prosa nello stile di Tolkien, ragion per cui «ripiegai», se così si può dire, su un genere che, in quel momento, mi sembrava più congeniale («semplice» non sarebbe il termine più opportuno), ossia la poesia epica, sulla quale mi sentivo – se non più preparato – quanto meno più ispirato.
Operai però alcuni cambiamenti: in onore di Corto Maltese, che spesso agisce e medita in completa solitudine, decisi di cambiare il nome di Gilnar in quello di Erfea, «spirito solitario» in quenya, mentre il nome precedente ora designava il padre del protagonista. Avendo in mente, inoltre, di andare oltre il triangolo Erfea-Elwen-Morwin, scelsi di spostare le vicende di questi personaggi nella Seconda Era, anziché nella Terza, perché mi sembrava, in questo modo, di avere maggiore spazio per la mia fantasia: a pensarci bene, infatti, la Seconda Era è quella che dura più a lungo tra quelle descritte da Tolkien, tuttavia è anche la meno conosciuta, nonostante al suo interno avvengano eventi decisivi, come la forgiatura degli Anelli o l’ascesa e la distruzione di Numenor. In onore di Aldarion, dunque, anche Erfea diventò un numenoreano di alto lignaggio, un principe lontanamente imparentato con la linea regnante sul trono dell’Isola del Dono; allo stesso modo iniziai ad immaginarlo come un marinaio, intento come Aldarion alla conoscenza del vasto mondo della Terra di Mezzo.
Giunto alla Terra di Mezzo, Erfea finiva collo stringere rapporti di amicizia con un nano, Naug-Thalion, e con un uomo del Nord, di nome Imracar Folcwine: insieme a questi amici, Erfea fondava la «Compagnia Silente», con la quale viveva numerose avventure, dando la caccia ai servi di Sauron. Pur restando di primaria importanza il rapporto con Elwen, cambiava la relazione con Morwin, che da amico ch’era stato nella passata concezione, diveniva estraneo e quindi avversario del numenoreano nel cercare di fare breccia nel cuore della bella mezzelfa. Si perdeva così, definitivamente, quella sottotrama ispirata all’Othello di Shakspeare.
Chiederò in questo caso un atto di affettuosa comprensione ai miei lettori: chi ha scritto questi versi, infatti, era uno scrittore piuttosto acerbo (oltre che molto più giovane di oggi) che provava a cimentarsi con la poesia epica, influenzato dai suoi studi classici e da una grande passione per le poesie del Signore degli Anelli. In modo particolare, ricordo di essere stato letteralmente conquistato dal poema che intona Gimli nell’oscurità di Khazad-Dum. Non avevo mai pubblicato prima d’ora questi versi, e non li avevo mai neppure trascritti al computer: ho dovuto rintracciarli su una vecchia agenda ed è con un sentimento misto di tenerezza e di nostalgia che li trascrivo qui. Riaprendo quelle pagine, tra l’altro, ho «riscoperto» che quello che oggi è chiamato «Racconto del Marinaio e della Mezzelfa», in passato era suddiviso in tanti «lai» (altro termine di ispirazione tolkieniana), del quale il principale era «Il Lai della Perdita», che raccontava l’incontro tra Erfea ed Elwen (il cui nome era erroneamente trascritto come Elwin). Si tratta di un componimento composto da 96 versi e suddiviso in 16 sestine, con rima baciata:
Giovani erano le stelle
e nel cielo si affacciavano sorelle
ammiccando fra loro
splendevano più dell’oro
(5) quand’ecco di gran carriera
giungere il prode Erfea
Veloce il suo passo, alto il portamento
della stirpe di Sauron il tormento
ché ad Occidente dimora aveva
(10) da Numenor tosto giungeva
nella Terra di Mezzo splendente
per ammirare l’antica gente
Poi bussò ad una porta
ed ecco di voce nobile la risposta
(15) «Benvenuto sotto il mio tetto»
e così dicendo gli fu aperto
ma entrando di gran passo
ahimé non fece caso al suo misfatto
Ché il saluto educato volse
(20) a principi e a principesse
volti da lungo conosciuti
gli parevano ormai vetusti
ma ecco, il suo cuore gli ordinò:
«Voltati o presto morirò!»
(25) Di dolci sembianze
una fanciulla aveva innanze
grigi occhi e capigliatura bella
della stirpe elfica la più snella
Elwin era il suo nome santo
(30) l’origine di tutto questo canto
Pareva diamante fra le stelle
quando fra le damigelle
rideva e sovente parlava
e la sua gentil voce intonava
(35) un preziosissimo canto d’amore
che a lui dedicato sarebbe stato grande onore
«Elwin» il giovane sussurrò
ed ella sorpresa lo guardò:
il suo sorriso ne usufruì
(40) ché più bello di quello mai più fiorì
ché Elwin la mezzelfa nome aveva
nella Terra di Mezzo ancora viveva
Ella infine gli si avvicinò
e con voce sicura gli parlò
(45) «Elfo sembrate, ma Dunadan sarete
ché nel profondo del cuore una luce avete.
Siete forse Erfea il valoroso
colui che non teme nemico periglioso?»
«Invero, signora mia
(50) non so se siate una fantasia,
troppo bella mi sembrate
ché perfino Luthien oscurate
Elwin del biancovento vi chiamerò
e al vostro cuore, il mio donerò
(55) Senza sosta danzarono e parlarono
e spesso le mani sfiorarono
ad Erfea sua sposa già pareva
anche se una sola ciocca muoveva
nel cuore del lieto festino
(60) il funesto filo aveva tagliato il destino
Ché nuvole nere apparirono
quando le speranze morirono,
ché sire Morwin, degli elfi il capitano
aveva già chiaro il suo piano
(65) Elwen tosto conquistare
ed Erfea poi allontanare
Con subdole parole l’ingannatore
imbrogliò la mezzelfa per rancore:
egli odiava tutta la progenie dei mortali
(70) ritenendoli responsabili di tutti i mali
A nulla valsero le parole dell’errante
ché Elwen lo abbandonò seduta stante
Erfea era davvero incollerito
ma tornare indietro non gli sarebbe servito
(75) ché già i due si amavano
e all’ombra di un lume mormoravano
fra i due imperava la passione
non riuscì a mutare la cattiva azione
Così la via scelse dell’esilio
(80) e solo proseguì il suo cammino
l’amore vero nel suo cuore
e nella mente profondo dolore
quando su di lei lo sguardo posò
e poi tosto lo allontanò
(85) Vecchie sono ore le stelle
e fra di loro nemmeno più sorelle
triste e grigio ora il mondo
non gira più giocondo
feste e canti terminati
(90) chissà se saranno mai ripristinati
Ma Erfea è duro a morire
solo lui contro il male può agire
il suo volto triste e scuro
ma il suo cuore non ancora duro
(95) ché di Elwin la splendente
mai porterà un ricordo evanescente.
Nei prossimi due articoli trascriverò la versione «Beta» del «Racconto del Marinaio e della Mezzelfa» (in prosa) nella quale la vicenda di Erfea, Elwen e Morwin, pur ridimensionata all’interno di una cornice generale più ampia di eventi, ove Miriel ha decisamente scalzato Elwen dai panni della più importante protagonista femminile, conserva una sua coerenza interna, quasi come fosse un racconto separato dagli altri, e uno stile di scrittura più acerbo rispetto agli altri racconti (o almeno, questa è la mia impressione, tuttavia aspetto quella dei miei lettori per essere confermato o smentito). In questa versione Erfea mantiene ancora l’appellativo di marinaio, perché investito della carica di Ammiraglio da Tar-Palantir in persona: a differenza del progetto iniziale, tuttavia, il ruolo di Erfea come uomo di mare viene certamente ridimensionato, dal momento che è scritto esplicitamente che fungeva da comandante militare della flotta solamente perché il suo sovrano era a corto di uomini per quell’incarico, poiché la maggior parte degli Ammiragli servivano i nazionalisti numenoreani. In questo racconto, inoltre, si delineano in modo più articolato i destini di Elwen e Morwin, ormai inseriti compiutamente nella continuità del «Ciclo del Marinio»: della prima ne ho parlato in Nei meandri di Tumun-Gabil (parte II), mentre del secondo troverete il tragico e allo stesso tempo glorioso epilogo in Oropher o del cattivo Fato degli Elfi. Sulla figura di Elwen, della quale qualcosa ho già scritto alcuni mesi fa in Elwen la Mezzelfa, posso qui aggiungere che il suo ruolo fu ridimensionato a vantaggio di Miriel quando il personaggio di Erfea maturò rispetto alla sua primigenia concezione: da romantico ed avventuroso principe, senza grandi responsabilità nei confronti del suo mondo, a uomo profondamente politico nel senso classico del termine, vale a dire impegnato nelle «cose pubbliche» di Numenor. Dinanzi a questa evoluzione del personaggio maschile protagonista, ad Elwen spettava un compito diverso: non più quello di compagna dell’eroe, quanto quello di una «felice» deviazione dalla strada principale che Erfea aveva intrapreso a causa della sua educazione elitaria: un’occasione, per quest’ultimo, di riflettere sulla sua condizione di Uomo e mortale senza mescolare ambito privato con quello pubblico, come invece accadeva, inevitabilmente, con Miriel, che agli occhi di Erfea restava sì la fanciulla e poi la donna della quale era innamorato, ma anche la sua principessa e poi regina. Una contraddizione che avrebbe potuto spezzarsi solo nel momento in cui Erfea avesse accettato, a sua volta, di condividere diadema e scettro con Miriel, cosa che, evidentemente, il principe non era disposto a fare (sulle ragioni alla base di questa scelta ci tornerò prossimamente). Lo stesso appellativo di marinaio mi pose in difficoltà: provvedere ad eliminarlo oppure no? Alla fine scelsi di preservarlo, non tanto perché costituiva una sorta di omaggio ad Aldarion e a Corto Maltese, quanto perché le memorie di Erfea, che costituiscono la base letteraria del ciclo di racconti, furono riscoperte all’inizio della Quarta Era, quando i termini Numenor e Numenoreano evocavano il dominio sui mari raggiunto dagli uomini in epoche remote. Fu dunque naturale, per l’uomo che tradusse le memorie di Erfea, utilizzare come titolo della sua opera quello di «Ciclo del Marinaio», perché immediatamente evocativo della potenza raggiunta dagli Uomini dell’Ovest in passato (sulla «scoperta» delle memorie di Erfea tornerò con un articolo ad hoc). Una scelta analoga, in fondo, sarebbe quella di immaginare gli antichi Fenici solo ed esclusivamente nei panni dei mercanti, o gli antichi Vichinghi come pirati e guerrieri…dimenticando che saranno esistiti anche Fenici e Vichinghi pastori oppure contadini. Inoltre, è bene anticipare, lo stesso rapporto di Erfea con il mare cambierà profondamente, come sanno coloro che hanno letto Ritratto di un principe…Allo stesso modo di Aldarion, tuttavia, Erfea non ambisce alle responsabilità del potere regale, seppure all’interno di un contesto e con motivazioni molto diverse da quelle del suo lontano congiunto: anzi, si potrebbe aggiungere – all’interno di un ribaltamento di ruoli dal sapore, per così dire, moderno – che sia Miriel, pur tra mille perplessità e paure, a non sottrarsi alle sue responsabilità politiche, nonostante le sue decisioni in materia possano sembrare discusse e discutibili. Sotto questo punto di vista credo che Erfea rappresenti bene l’uomo moderno, in aperta conflittualità con doveri e responsabilità che gli provengano dalla tradizione, ma che non gli permetterebbero, se ad essi si conformasse, di compiere una serie di scelte difficili, in alcuni casi non condivise apertamente da famigliari e amici. Non mi riferisco, in questo caso, solo ai contrasti esistenti fra lui e Palantir in merito all’opportunità di sposare o meno Miriel, ma anche ai dissidi avuti con il padre (del quale conosciamo ancora poco, ma sul quale torneremo in un prossimo futuro) in merito alle sue scelte, per così dire, «professionali».
Nel secondo e ultimo articolo, invece, tratteggerò un ritratto di Elwen, rimasto incompiuto, che, come potrete constatare leggendolo, si distacca profondamente dallo stile epico e dalle tematiche fin ora presenti nei miei racconti, caratterizzandosi, al contrario, come una narrazione introspettiva, nel quale la mezzelfa riflette sulla sua natura e suoi sentimenti contrastanti verso Erfea e Morwin. Alla fine, dunque, sia pure in un contesto differente da quello concepito inizialmente, non si può non riconoscere che si sia verificata una «chiusura del cerchio»: da un racconto basato sullo svelamento della gelosia a uno nel quale, tuttavia, centrale resta la rielaborazione dei sentimenti e la difficile maturazione della protagonista.
Io nn mi intendo di poesia mi dispiace ma nn si preoccupi leggerò, ma preferisco di gran lunga il racconto alla poesia.
Ho aspettato questo articolo per commentare, devo dire molto interessante, io quando ho letto per la prima volta ciclo del Marinaio pensavo che fosse un omaggio a Earendil considerando il fatto che sia un marinaio e il precursore di Numenor, ma mi sono sbagliato.
In quanto ad Aldarion continuo a pensare che ci sia stata mancanza di comunicazione con Erendis (problema che hanno tutte le coppie) e se si fosse spiegato meglio forse così male nn sarebbe andata, infondo viaggiava pure per preparare la terra di mezzo a quel male che sentiva stava per nascere (magari anche Aldarion aveva la stessa percezione di Palantir infondo parliamo di un’era dove i numenoreani eccellevano in tutto) e poi io sono dell’idea che un re deve sì guidare ma quando la cosa si fa pesante deve andare lui di persona (il re che deve guidare l’ho presa dal videogioco Terza Era) per risolvere il problema e fu molto perspicace dato che impedì qualche secolo dopo la sconfitta definitiva degli elfi. Magari se la sarebbe dovuta portare con lui, ma sappiamo quanto sono superstiziosi i marinai con le donne a bordo e nn mi ricordo se Numenor era affetto dalla stessa malattia.
Noto che Erfea è anche il precursore di Aragorn che parte per contrastare Sauron
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La ringrazio per il suo commento sulla genesi del Ciclo del Marinaio. Effettivamente avrebbe potuto esserci anche un legame con Earendil, perché in fondo anche lui era un marinaio, oltre ad essere il capostipite di tutti i Numenoreani.
Io credo che Aldarion abbia agito bene per quanto riguarda la battaglia contro Sauron; purtroppo, però, il suo ruolo contemporanemente comprometteva la sua relazione con Elwing, probabilmente perché lei non comprendeva il suo desiderio di conoscenza, né si preoccupava di una minaccia, ancora molto latente, da parte di Sauron. Forse, come lei suggerisce, il loro rapporto sarebbe cambiato se lei avesse deciso di accompagnarlo nei suoi viaggi: tuttavia, per accingersi a fare ciò, Elwing avrebbe dovuto accettare una vita sempre in movimento, probabilmente molto rischiosa (tra rischi di naufragi, imboscate, ecc. ecc.) e soprattutto avrebbe dovuto accettare che il marito disboscasse le foreste della Terra di Mezzo per costruire la sua flotta, cosa che non era disposta a tollerare.
Quanto alle poesie non si preoccupi, come ho scritto in quest’ultimo articolo, si è trattato di un esperimento che però non mi ha convinto pienamente, tanto è vero che poi sono passato alla forma della prosa, nella quale mi sono sentito poi più a mio agio. Mi è piaciuto riportare il primo Lai per narrare della prima versione dell’incontro tra Elwen ed Erfea e introdurre così la forma attuale del racconto.
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Elwing nn è la moglie di Earendil?
Infatti Aldarion ha fatto un ottimo lavoro nella guerra futura a Sauron. Anch’io nn sarei d’accordo col disboscamento, amo molto la natura. Per me lui e la moglie avrebbero dovuto parlarne di più considerando che Sauron sarà una minaccia negli anni a venire.
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Sì, ha ragione, ho confuso Elwing con Erendis. Pienamente d’accordo con lei sulla questione del disboscamento e anche sulla questione di una necessità, per Aldarion ed Erendis, di condividere maggiormente i propri pensieri attraverso un dialogo più proficuo e intenso…ma credo che Aldarion fosse poco propenso al dialogo, come molti altri uomini d’azione.
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E soprattutto un uomo di quel lignaggio
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Quello che ha sollevato lei è un altro degli aspetti controversi all’interno della relazione tra Elwing ed Aldarion: la provenienza di Elwing da una famiglia non legata al lignaggio di Elros, infatti, era male vista a corte, sia per la durata della vita che sarebbe stata inferiore rispetto a quella di Aldarion, sia per la poca familiarità che la sua sposa avrebbe avuto con il protocollo reale e con le questioni legate al governo di Numenor. Personalmente, tuttavia, ritengo che entrambe le paure fossero, tutto sommato, poco giustificate: Aldarion, infatti, non smise di avere attrazione (anche fisica) nei confronti di sua moglie, nonostante i processi di invecchiamento fossero diversi (secondo Tolkien, nei primi secoli della Seconda Era, un Numenoreano medio riceveva una vita pari a tre volte quella di un uomo normale, pari quindi a circa 240 anni, mentre i primi discendenti di Elros spesso arrivavano a superare i 400 anni) e, d’altra parte, la lucidissima analisi fatta da Elwing sui pregi e sui difetti degli uomini (uno dei pezzi più belli mai scritti da Tolkien) ci fa comprendere quanta acuta intelligenza possedesse la moglie del Marinaio.
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Esatto, per me quando c’è in ballo il destino di Arda e se i 2 si amano, stronzate (perdoni la parolaccia, ma era più forte di me, consideri che ne dico tante, me lo dica se è meglio nn dirle) come il lignaggio devono essere accantonate, meno male che in Beren e Luthien loro 2 il lignaggio nn l’hanno tenuto in considerazione altrimenti nn oso immaginare i danni occorsi, oppure Beren che dice a Luthien: io sono un uomo dedito all’azione so come vivere nelle terre selvagge e l’incarico è stato affidato a me, torna a casa.
Luthien replicare: io sono mezza Eldar e mezza Maiar e se nn fosse stato per me tu marcivi nella fortezza di Sauron, senza dimenticare il fondamentale aiuto di Huan.
Vede quanta inutilità il lignaggio, meno male che Beren e Luthien a queste bassezze nn sono caduti, anche se c’è da dire che all’epoca Morgoth era Tiranno assoluto, qui Sauron sta muovendo i primi passi (meno male Aldarion è preveggente così come lo sono Gil Galad ed Elrond) e poi qui si parla di due umani anche se il primo un po’ di sangue elfico e Maiar ce l’ha e sappiamo quanto tengano al lignaggio gli elfi della Prima Era (in fondo è passato poco tempo dalla sua fine), quindi da un punto di vista loro è complicato w sentono di comportarsi così senza rendere conto a nessuno, invece per noi sì è poco giustificabile e sono str…..e.
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Sì, credo che alla questione del lignaggio fossero molto attenti, probabilmente perché, come lei suggerisce, l’avere il sangue dei Maiar e degli Elfi nelle vene era ritenuto dalla stirpe di Elros quasi una giustificazione a regnare…un po’ come gli antichi faraoni che credevano di avere sangue divino e dunque si sentivano legittimati a regnare per questa ragione. Personalmente ritengo che il divieto di sposare uomini o donne esterni al lignaggio di Elros, stabilito per evitare quello che era accaduto fra Aldarion ed Erendis, sia stato il primo segnale dell’Ombra su Numenor…ed è significativo osservare che esso avvenga più o meno contemporanemente con il risveglio di Sauron nella Terra di Mezzo…
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Lo altrove dicevo che, anche indirettamente Sauron centrava con l’Ombra a Numenor e per quanto riguardo i faraoni in sostegno di ciò c’è il nome di Ar Pharazon, il suono del nome nn le ricorda faraone?
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Sì, effettivamente non ci avevo mai fatto caso, però non posso fare a meno di notare una certa assonanza nei due nomi.
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Sto leggendo solo adesso come sono nate le avventure di Erfea. Posso dirti che, in generale, mi affascina scoprire i “retroscena” delle storie… quindi sono felice di sapere com’è cominciato tutto per te 🙂 Riguardo alla sensazione che si prova riprendendo in mano cose scritte anni fa, ti capisco tantissimo: è davvero particolare, un po’ ci si riconosce in quelle parole, un po’ no. Ma si tratta comunque di pezzetti di noi stessi rimasti tra le pagine… È bello ritrovarli…
P.S. Non sono minimamente esperta di poesia, ma sappi che i tuoi versi non mi dispiacciono affatto^^
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Ti ringrazio, sono felice che tu abbia avuto modo di scoprire le radici del Ciclo del Marinaio:) Come ho scritto in questo articolo (e in quello precedente) oggi non userei i versi…tuttavia, si resta indissolubilmente legati ai primi esperimenti di scrittura, sia emotivamente sia perché ci ricordano da dove siamo partiti. Se avessi iniziato oggi a scrivere il Ciclo del Marinaio avrei attribuito molta più importanza a Miriel rispetto ad Elwen, tanto per fare un esempio…ma in fondo aver dato vita a personaggi diversi contribuisce a rendere i miei racconti più vivi e complessi. Ti ringrazio per aver apprezzato i miei versi, per fortuna sono riuscito a recuperare tutto ciò che risaliva alla prima genesi, se così si può definire, del Ciclo del Marinaio.
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Grazie a te per la condivisione 🙂
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