Quando scrissi «Il Racconto del Marinaio e della Principessa» non avevo ancora immaginato quale ruolo avrebbe assunto il personaggio di Miriel all’interno del «Ciclo del Marinaio»: il ruolo della protagonista femminile, infatti, fino a quel momento era ricoperto dalla mezzelfa Elwen, come ho raccontato nell’articolo che illustra la genesi dei miei racconti: In principio era…Othello, ovvero come nacque il Ciclo del Marinaio.
Per questa ragione, mi concentrai essenzialmente su alcuni aspetti della sua relazione con Erfea, in particolare su quello che – fino a quel momento – doveva essere il loro primo incontro «narrato»; per essere più precisi, cioè, si dava per scontato che Erfea e Miriel si fossero già frequentati in passato, ma senza entrare nel merito. Successivamente riorganizzai «Il Ciclo del Marinaio», facendo della principessa di Numenor il principale protagonista femminile e approfondendo perciò il suo carattere e, naturalmente, la sua interazione con gli altri personaggi del volume, a partire proprio da Erfea.
Ciononostante, il brano che mi appresto a presentarvi non ha perso nulla della sua capacità evocativa: al suo interno, come potrete leggere, i protagonisti si confronteranno sul concetto di Bellezza, dopo essere rimasti ammaliati dal fascino di quella che – mi piace ricordarlo – era considerata la più bella donna della sua epoca.
Buona lettura, aspetto i vostri commenti!
«Da lungo tempo nel palazzo reale di Armenolos non veniva organizzato un simile banchetto; già fervevano i preparativi e alti risuonavano gli splendidi suoni dei corni e dei violini, delle viole e degli archetti. Un’immensa processione di luce venne posta ad entrambi i lati della strada, simile ad un immenso serpente di fuoco, che dal mare saliva in alto, verso il Menalterma.
Carrozze di ospiti illustri giungevano da tutto il paese per rendere omaggio alla principessa, ansiosi di apprendere quali sarebbero state le parole che il sovrano avrebbe pronunciato, ché nonostante il clima allegro e festoso, ben pochi riuscivano ad assaporare fino in fondo il sapore di una gioia improvvisa quanto violenta, circondata come era da nubi cariche di sventura e paura.
Finalmente tutto fu pronto e la festa ebbe inizio: per primi entrarono i principi di Numenor, coloro che sedevano al Consiglio dello Scettro. Il primo a far il suo ingresso fu Numendil, della casa di Andunie[1], seguito dal figlio Amandil, e dal nipote, che, ancora giovane, avrebbe in seguito assunto una notevole fama: Elendil era il suo nome, e la gente stupefatta lo osservava, perché in lui splendeva immensa la luce di Aman e il suo viso non erano ancora toccato dal crepuscolo, ma fiero brillava alla luce della sala. Stupito, ma lieto, il giovane principe, replicava con gesti cortesi al pubblico, che lo scrutava con timore, rapito dalla sua maestà sublime. Erano, gli eredi di Amandil, i parenti più prossimi del sovrano e grande era l’influenza che esercitavano all’interno del Consiglio; onorati dai Fedeli, mai essi avevano mancato alla parola data e infiniti atti di valore i loro animi avevano compiuto, spinti dalla necessità di quei giorni oscuri.
Dopo aver atteso alcuni istanti, ecco che fecero seguito Gilnar, sua moglie Nimrilien ed Erfea della casata degli Hyarrostar: alla loro vista, molti dei presenti inchinarono il capo, ché erano del gruppo di coloro che onoravano gli dei, e ben conoscevano il valore del figlio di Gilnar, e ne ammiravano l’orgoglio e la fermezza del carattere. Non tutti, però mostrarono un simile atteggiamento, e anzi alcuni tra i più arroganti esponenti dei Numenoreani neri mostrarono odio e disprezzo per coloro che consideravano ospiti fastidiosi, quanto mai sgraditi alla loro vista, sebbene non osassero manifestare apertamente il loro dissenso con parole o atti crudeli, ché ancora non erano giunti i loro signori e i loro sottoposti avevano ricevuto disposizioni ben precise a tal proposito.
A stento, perciò, i nemici del re trattennero le lingue biforcute, senza mai distogliere i loro eloquenti sguardi dalla famiglia Hyarrostar, ma, levando al contrario alte grida di giubilo, quando fecero il loro ingresso, seguiti dai loro servi e guerrieri, i principi di Numenoreani a capo della fazione ribelle. I principi del Forastar, seguiti dai loro pari grado di Onostar e di Huarnustar[2], erano gli oppositori di Tar-Palantir: grandi ricchezze detenevano e la loro ingordigia di preziosi era pari solo alla lussuria che essi dimostravano; indossavano ornamenti preziosi e le dame ostentavano gioielli macchiati del sangue delle numerose guerre che i loro uomini avevano combattuto per impossessarsene. Lentamente, i principi dei Numenoreani Neri attraversarono la sala, rivolgendo cenni di saluto solo ai propri pari, mentre uno stuolo di cortigiani cospargeva il suolo di petali di rose e aspergevano nell’aria essenze profumate ed oli orientali; giunti che furono innanzi a Tar-Palantir, essi non proferirono saluto, né accennarono ad un inchino, limitandosi a passargli accanto, in aperta sfida alla sua autorità, atto questo che parve molto irriverente agli occhi dei Dunedain, sebbene non fosse l’unico e il più grave perpetuato a danno del sovrano, tra quelli che avevano compiuto, fin da quando la guerra civile era scoppiata a Numenor alcune centinaia di anni prima.
Nell’ordine, giunsero poi i sacerdoti di Eru Iluvatar e delle altre divinità, gli ammiragli della flotta, della fanteria e della cavalleria, gli ambasciatori dei reami alleati, e infine i rappresentanti del popolo di Armenelos e dell’intera nazione. Grande fu la curiosità, quando entrarono nella sala del trono gli araldi di Durin IV e di Gil-Galad, ché da molti anni gli uomini di Numenor non posavano i loro occhi sui figli di Aule e sui Primogeniti: tuttavia, perfino in tale circostanza, solo i principi dell’Andunie e dell’Hyarrostar si alzarono dai loro scranni e si inchinarono innanzi agli ambasciatori; e furono sempre i principi dei Dunedain a invitare nani ed elfi ad accomodarsi vicini a loro, come si soleva fare in quelle occasioni, fin dalla nascita dell’isola.
Finalmente, non appena gli ospiti si furono sistemati alle proprie tavole, gli araldi suonarono nelle loro trombe e i visi dei presenti si voltarono nel medesimo istante, come per obbedire ad un ordine silenzioso: parola più non si udì in tutta la sala e mentre la Luna si levava in tutta la sua bellezza argentata, una musica, triste e lieto si levò da un’invisibile orchestra, isolando il pubblico in un’estasi indescrivibile.
Una figura apparve in cima allo scalone e qualche istante dopo Miriel, l’erede al trono di Numenor fece il suo ingresso tra i presenti. Molti furono coloro che si chiesero se Lorien[3] non avesse confuso le loro menti mortali, mostrando la bellezza di Varda, sposa di Manwe e regina dei Vala, ché mai si era visto in quel luogo un simile chiarore, simile a quello emanato dalle più nobili stelle del creato. Assorti, ciascuno nel proprio silenzio, i presenti non riuscivano a distogliere il proprio sguardo dal viso della principessa, mentre i loro pensieri vagavano confusi e commossi da tanta bellezza.
Finanche i nani di Khazad-Dum, rimasero affascinati da tale visione: “ Se mai durante la mia esistenza ho lavorato laen e adamante[4], ebbene polvere e ruggine mi paiono questa sera, ché mai prima d’ora avevo ammirato l’essenza stessa della fiamma imperitura. Invero – sussurrò uno di essi ad Erfea che sedeva accanto a sé – l’isola di Numenor custodisce tesori che saranno sempre di là dalle ambizioni dei mortali, fossero anche i loro cuori e le loro menti mille e ancora mille volte ricolmi d’amore”. “Quanto affermi è giusto – gli rispose Erfea Morluin – perché i nostri animi sono come viandanti sfiniti che giungano alla fonte di montagna dopo lungo viaggio; per quanto la loro arsura sia grande, ecco che essa sarà spenta dall’acqua sorgiva, ché mai nel berne il dolce nettare, si esaurirà tuttavia il dolce diletto che essa procura. Allo stesso modo i nostri animi sempre aneleranno all’essenza della bellezza, senza che questa venga meno, anche quando, svanita la forma, essa non sarà più percepibile ai sensi dei mortali”.
“Sagge sono le tue parole, nobile Numenoreano – interloquì un alto uomo che sedeva di fronte a lui – Imracar Folcwine è il mio nome, cavaliere di una terra a nord di Boscoverde il Grande; mai avevo creduto che un simile piacere si potesse ricavare dalla contemplazione. Il nostro è un popolo rude, guerriero, fiero avversario di colui che non nominiamo. Non temiamo né la morte, né il dolore, e nessun avversario è in grado di abbatterci, ad eccezione del disonore e della codardia che massimamente temiamo: fiere e coraggiose sono le nostre donne, eppure mai ho ritenuto che fossero così remote e distanti da quella che chiamiamo la vita degli uomini. Le Eothraim[5] cacciano, scendono in guerra, partecipano ai nostri consigli al fianco dei loro padri, fratelli sposi e figli, gareggiando nelle medesime competizioni di noi uomini, sovente ottenendo la vittoria. Tuttavia, ritengo di aver assistito questa sera ad una competizione nella quale difficilmente un uomo avrebbe vinto”.
“Erfea Morluin, principe dell’Hyarrostar sono e a te dico che mai il mio cuore ha provato un’emozione così dolce, tale che al confronto la primavera dei Mortali sembra di gran lunga inferiore. Sii felice e non turbarti, nobile cavaliere! Il passato sarà lieto come il presente se sarai in grado di preservare intatto quanto i tuoi occhi hanno visto”.
“Così farò – rispose Imracar chinando il capo – e possa il ricordo della luce illuminarmi quando la tenebra sarà intorno a me”.
Simili commenti stupiti si levarono dagli uomini e dalle dame sedute ai loro tavoli, sussurri che si interruppero quando Miriel ebbe alzato la candida mano:
“Miei graditi ospiti, signori di Numenor, e voi, ambasciatori i cui paesi sostengono la nostra causa, siate benvenuti nella reggia di Elenna. A voi rivolgo il mio più cordiale saluto, augurandomi che la letizia che si respira questa sera possa nuovamente echeggiare anche in altre dimore dei Popoli Liberi”. Tacque per qualche istante, poi afferrato il calice, lo levò in alto, pronunciando parole di buon auspicio, indi si sedette e i festeggiamenti per il raggiungimento della maggior età della principessa Miriel ebbero inizio.
Molti idiomi furono in quella sera uditi ad Armenolos, frammisti a risa e canti: argomenti lieti e meno lieti furono trattati, mentre le stelle sbocciavano ad occidente, diamanti su una tela oscura. Al culmine della notte, infine, si diedero inizio alle danze, dopo che i bardi ebbero a lungo cantato le gesta della casa dei sovrani di Numenor, fin da quando Elros Tar-Minyatur[6] fece il suo ingresso nell’isola del dono; i signori invitarono le dame a danzare nel grande parco che si estendeva dal colle fino al mare, mentre abili musicisti e menestrelli deliziavano i presenti con ballate d’occasione.
Erfea Morluin osservava quanto accadeva, con lo sguardo perso nel ricordo di eventi passati; tuttavia ratto si voltò, quando un lieve tocco lo distrasse dalla sua meditazione. Miriel lo guardava, silenziosa, senza proferire parola alcuna; fattogli poi un rapido cenno lo invitò a seguirlo in una radura poco distante dal luogo in cui si svolgevano le danze. A lungo la principessa osservò Erfea, poi lentamente prese la parola:
“Salute a te, principe della casa degli Hyarrostar! Fresca è la notte e ancor lungi dal terminare sono i festeggiamenti! Tale è la ricorrenza, per cui ogni ospite mi deve un dono, un dono che sia a me gradito. Non ho forse ragione nel ritenere che voi abbiate obliato questo dovere?”
“Mia signora – così le si rivolse Erfea – veritiere sono le vostre parole e non sarò io a negarle. Tuttavia, verrei meno alla mia dignità, se non vi facessi notare che è facoltà degli ospiti ritenere se esista gioiello tale che la sua luce possa adombrare il vostro sembiante”.
Cristallino risuonò nella notte il riso della principessa, mentre rispondeva al suo interlocutore: “Ben mi avvengo di quanto la vostra lingua non sia meno pronta della vostra spada! Devo forse interpretare il vostro gesto come un complimento? E se così fosse, davvero vi aspettate che io lo gradisca?” Sorridendo, Erfea le si inchinò: “Una domanda pericolosa, la vostra, mia signora, alla quale non offrirò riposta. Tuttavia, per porre ammenda alla mia dimenticanza, vi porgerò la possibilità di rivolgermi una seconda domanda, alla quale non esiterò a rispondere”.
A lungo dovette attendere Erfea, ché molto Miriel meditò; infine, quando fu certa di quello che le premeva sapere, così formulò il quesito: “Conoscete forse le parole che pronunzierà mio padre dinanzi al Consiglio dello Scettro?”
Tosto il viso di Erfea si rabbuiò, sebbene la su voce non mostrasse esitazione alcuna: “La vostra domanda è legittima, ma superflua. Questo io posso rivelarvi: è destino che le nostre strade si incontrino nuovamente, tuttavia quando questo accadrà, avremo assunto ruoli diversi, sebbene i nostri animi non saranno mutati”.
Miriel lo ascoltò attentamente, infine parlò a voce bassa, quasi temendo di essere ascoltata da altri che non fosse il suo interlocutore: “Quanto amarezza nel constatare che il mio destino altri hanno forgiato! Come lo schiavo legato ai ceppi, così io ho atteso questo giorno, con timore, ché ben sapevo quali catene avrebbero soffocato, lentamente, la mia esistenza. Voi – gemette – voi davvero credete che io ignori quale decisione Tar-Palantir prenderà quando sarà giunta l’ora? Se io non sapessi – concluse infine – almeno potrei vivere nell’illusione della speranza, ma anche tale privilegio mi è stato privato molti anni or sono”. Tacque qualche istante finché Erfea non le ebbe baciato la mano: allora alzò lo sguardo e scorse tra le lacrime il viso del principe degli Hyarrostar. “Non confondete la speranza con l’illusione, la realtà con la finzione! A voi dico che quest’oggi dovete temere massimamente la paura degli uomini. Altro non mi è permesso dire”.
Tali furono le parole che pronunciò Erfea Morluin, ed esse furono le ultime quella sera, ché egli mai più fu visto dai commensali».
Note
[1] Contrada situata all’interno del grande golfo che i promontori dell’Onostar e dell’Huarnostar creavano nelle acque del Balegaer, il Grande Mare Occidentale, che prende il nome dall’ononima città: feudo degli eredi di Silmariel, primogenita di Tar-Elendil, quarto sovrano di Numenor, essa fu la dimora di molte genti fedeli agli Eldar e ai Vala.
[2] Forostar, Onostar e Huarnustar erano i nomi di alcune contrade di Numenor: la prima si trovava nel nord, la seconda nel nord-ovest e la terza nel sud-ovest del paese.
[3] Vala dei sogni e delle visioni, chiamato dagli Eldar Irmo.
[4] Il Laen era una roccia di origine magmatica, la cui peculiarità fisica consisteva nel conservare il proprio stato solido alle temperature più alte, mutandolo invece allorché era immerso in azoto liquido: prodotto durante la cosiddetta “lavorazione a freddo”, il cui segreto non fu mai divulgato né dai nani di Durin, né dagli elfi di Eregion, il Laen si rivelò di grande utilità durante la costruzione delle mura di Osgiliath, in seguito alla Caduta di Numenor; esso si presentava di colore bianco allo stato naturale, ma attraverso i diversi procedimenti attuati nelle aule dei fabbri elfici e nani, poteva mutare aspetto e assumere tonalità più scure. L’adamante, anch’essa una roccia di tipo vulcanica, era reperibile solo in remote contrade di Endor; simile di aspetto al diamante, si caratterizzava per una notevole resistenza agli urti: fu utilizzata durante la realizzazione delle fondamenta di Barad-Dur.
[5] Un popolo di uomini del Nord, imparentati con quanti della stirpe di Hador chiomadoro non attraversarono gli Ered Luin (I Monti Azzurri) e si stanziarono presso le rive dell’Anduin e nelle steppe del Rhovanion.
[6] Figlio di Earendil ed Elwing, fratello gemello di Elrond; scelse una vita mortale e divenne il primo sovrano di Numenor.