Storia di Miriel – Una promessa mancata

Concludo con questo articolo il racconto del «Marinaio e della Principessa»: dopo essere stata designata da suo padre Palantir come nuova regina di Numenor, Miriel deve affrontare nuove sfide, mentre un pericolo inquietante si staglia all’orizzonte e un rapporto, faticosamente ricostruito, rischia di incrinarsi forse per sempre…
Non sarà questo, tuttavia, l’ultimo racconto a narrare le vicende di Erfea e Miriel: al contrario, essi torneranno nei prossimi due racconti, i più oscuri e tragici tra quelli che ho scritto, che narreranno le vicende che, attraverso una crudele guerra civile, condussero all’instaurarsi del regno di Pharazon

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Tale fu dunque l’esito di una giornata che in seguito fu ricordata dagli esuli nella Terra di Mezzo come l’inizio della Caduta: infatti né il Senato, né il Consiglio dello Scettro riuscirono a portare avanti i loro lavori, ché i Numenoreani fedeli a Pharazon abbandonarono Feneria, in aperta sfida alla nuova sovrana, non riconoscendone l’autorità.

Pharazon abbandonò il Consiglio per ultimo, ridendo in modo beffardo, mentre si allontanava; egli non si curava di quanto accaduto, ché sapeva bene come la sua vittoria sarebbe giunta comunque, sebbene apparentemente risultasse sconfitto. Molti alleati e poteri sostenevano Pharazon, gli stessi che un giorno ancora distante lo avrebbero condotto a percorrere il sentiero della follia, fino alla sua rovina e a quella di Numenor.

Nessuno dei Dunedain, rimasti fedeli a Tar-Miriel[1], tuttavia, osava immaginare quali sarebbero state le conseguenze di quel giorno infausto. Erfea si avvicinò ad Elendil e così gli si rivolse: “Salute e te erede della casa di Andunie! Grande eloquenza hai dimostrato oggi di possedere, unita a saggezza e coraggio. Possa la tua stirpe continuare a prosperare, ché in essa sarà preservata la memoria degli antichi Vala e dei Giorni Remoti[2]”. Lieto, Elendil fece un breve inchino, infine prese la parola: “Grati mi giungono i tuoi complimenti; tuttavia a te, Erfea, figlio di Gilnar, della casa degli Hyarrostar, colui che chiamano il Morluin, dico che quando il tuo seme andrà perduto, allora Numenor cadrà, ché ben pochi fra noi possono competere con te in potenza e lungimiranza. Possa Manwe proteggere sempre la casa degli Hyrrostar, paladino di Elenna”. A tali parole, Erfea si inchinò a sua volta, e così i due uomini si congedarono.

Il figlio di Gilnar, tuttavia non abbandonò Feneria, ma ivi rimase, finché Tar-Miriel non lo ebbe raggiunto, quando ormai il crepuscolo era calato, e più nessuno vi era nell’ampio spiazzale, ed altro suono non si udiva se non l’eco del canto di Ulmo salire dolcemente dal basso.

A lungo Erfea e Tar-Miriel si osservarono, cercando ciascuno di sondare il pensiero altrui, infine Erfea prese la parola: “Salute a te, regina di Numenor! Non ti dissi forse che il nostro prossimo incontro sarebbe avvenuto quando entrambi avessimo assunto un nuovo nome? Ebbene, ora siamo in tal luogo, di pace e serenità, eppure scorgo nei tuoi occhi la stessa ansia e infelicità di allora. Non sono forse veritiere le mie parole?”

“Mio signore – replicò Tar-Miriel – all’epoca del nostro primo incontro non mi avvidi della tua lungimiranza. Intorno a me è caduta una cortina oscura, tale che i miei sensi ne sono offuscati e la mia anima si duole per questo. Il mio destino è ormai scritto a chiare lettere e a esso io non mi sottrarrò. Non dirò però se esso mi risulti gradito o meno; tuttavia sono lieta che Elendil di Andunie ed Erfea Morluin siedano con me al Consiglio dello Scettro”.

Ciò detto un sorriso illuminò lo spento viso di Tar-Miriel, come un raggio di luna che si fosse posato su un diamante, facendolo risplendere. Erfea si alzò e presale la mano la baciò dolcemente: “Così dovrà essere, ché innanzi a me io scorgo innumerevoli disagi e pericoli, davanti ai quali, forse, l’isola del Dono è destinata a soccombere. Non ti indicherò, Tar-Miriel quale dovrà essere il sentiero da percorrere; se non sarai tu in grado di tracciare la giusta rotta, allora nessun altro potrà farlo. Io però voglio farti una domanda alla quale ti prego di rispondere”.

Rise allora Tar-Miriel e l’eco del suo riso incuriosì e meravigliò ogni forma di vita che si trovava in quel luogo: rami parvero tendersi verso di lei, mentre innumerevoli animali si approssimarono ai suoi piedi, invisibili agli occhi umani; finanche le grandi e maestose aquile di Manwe si levarono in volo, senza avvicinarsi troppo tuttavia, essendo quello un luogo sacro, ma limitandosi ad osservare la bionda fanciulla, per mezzo della loro vista acuta.

Tar-Miriel rise ancora, poi fece un inchino ad Erfea: “Davvero, principe di Hyarrostar, tu chiedi questo? Eppure, tale è la tua lungimiranza, che la mia riposta invano potrebbe essere elusiva o falsa. Tu domandi una risposta che possiedi dentro di te”. Sorrise compiaciuto Erfea: “Potente è invero il dono della lungimiranza, eppure non ritengo di sbagliarmi affermando che esso giunge alla maggior età, divenendo molto forte negli eredi di Elros”. Rise nuovamente Tar-Miriel, e parve davvero che il velo d’oscurità che l’aveva turbata, sfumasse come nebbia al sole: “Invero, non ti sfugge alcun dettaglio, figlio di Gilnar. Suvvia! Entrambi conosciamo quale sia l’interrogativo e quale sia la risposta. Non negherò che a lungo ho temuto questo momento, eppure ora tale paura è scomparsa, lavata via da questa notte benedetta. Forte è la tempra degli uomini, se essi così a lungo attendono e infine gioiscono”. “E ancor più splendente è Tar-Miriel, sovrano di Numenor, se la sua luce trafigge l’oscuro velo che a lungo l’aveva imprigionata”. Sorrise l’erede di Elros, mentre porgeva il proprio braccio ad Erfea, raggiungendo Armenolos, perla di Numenor, l’uno fianco all’altra; giunti che furono innanzi al palazzo, così si congedò Tar-Miriel dal suo ospite: “Erfea, possono gli dei ricompensare il tuo valore e la tua saggezza, con quanto il tuo cuore arde di ottenere.”

“Invero, Tar-Miriel, giusta ricompensa è stato per me questo incontro. Sono lieto che tu abbia accettato questo incarico nel tuo cuore”.

“Davvero Erfea, credi che la mia forza sia stata sufficiente a dirigere in tale direzione il mio percorso? No, principe di Numenor, un’altra volontà oltre alla mia ha deciso che così dovesse essere; grata sono ad essa, ché ancora la mia deve crescere e svilupparsi. Non è stato detto forse che il seme è lento a germogliare? Attendo dunque che fiorisca”.

“È stato anche detto che dal buon virgulto, si sviluppa la vite dai dolci frutti” le rispose Erfea sorridendo, e così i due si lasciarono, ripromettendosi di vedersi l’indomani.

Molti eventi funesti, impedirono che Erfea e Tar-Miriel potessero nuovamente incontrarsi, che nell’anno 3255 della Seconda Era, la guerra civile scoppiò per la seconda volta a Numenor e per molti mesi si combatté per mare e per terra, nell’isola e nel continente della Terra di Mezzo.

A lungo i capitani dei Dunedain opposero una fiera resistenza ai Numenoreani Neri, aiutati nel loro compito dai cavalieri del Rhovanion, degli elfi di Gil-Galad, e dai nani di Durin IV. Invano Erfea vinse una grande battaglia, strappando la città di Tharbad[3] ai Numenoreani Neri; invano ché nulla poteva il coraggio dei Dunedain contro il Signore di Mordor; cospiratori egli inviava per sobillare le feroci genti dell’Harad e gli Esterling del Rhun contro i popoli liberi e sebbene questi guerrieri della steppa e del deserto, non marciassero ancora tra le stesse file dei Numenoreani Neri, mai capitò che i seguaci di Pharazon cadessero vittima di agguati di tali popoli. Molti capitani esperti e valorosi, furono torturati e trucidati dai servi di Mordor, e laddove non si poté giungere con la spada o con l’inganno, gli agenti dell’Oscuro Signore si servirono dell’oro corruttore. In tal modo la guerra fu vinta da colui che sarebbe divenuto l’ultimo re dei Numenoreani, Ar-Pharazon il Dorato; eppure mai, finanche nel periodo di massimo splendore del suo regno, egli si rese conto dell’enorme prezzo che la sua vittoria aveva richiesto, ché Sauron di Mordor, e non già Ar-Pharazon fu il vincitore del conflitto. Forte divenne allora il potere dell’Ombra sugli uomini, ed ecco, essi non badavano più alla loro discendenza, ma in sale vuote e sepolte nel profondo della terra, trascorrevano la loro folle esistenza alla ricerca dell’immortalità, mentre eruditi ormai obliati, stilavano libri d’araldica delle stirpi di uomini vissuti nei tempi remoti; su alte torri, folli astronomi senza volto domandavano segreti inaccessibili ai mortali alle fredde e silenziose stelle di Varda.
Tale fu l’esito della guerra a Numenor; tuttavia, poiché il dolore superò la comprensione, ben pochi tra gli Elendili si occuparono di annotare quanto accadde in quei giorni lontani e scarsa è la nostra documentazione a proposito.
Tuttavia, fu detto che Erfea a lungo abbia tentato di parlare alla sovrana, e che quando ci fu riuscito, tali parole la sua bocca abbia pronunciato:
“Salute a te, regina di Numenor, Tar-Miriel figlia di Tar-Palantir, erede di Elros! Ecco che l’Oscurità incalza ed io Erfea Morluin, ammiraglio di Numenor, ti pongo questa supplica, affinché quello per cui combattiamo non vada perduto. Pharazon è il generale dei rivoltosi, ed erede anch’egli della stirpe di Earendil. Ti prego affinché venga messo in catene, prima che la fine giunga nelle nostre dimore”.
Accorato fu l’appello di Erfea; tuttavia triste fu la risposta di Tar-Miriel: “Salute a te, ammiraglio di Numenor! Risposta non ho da darti, ché mai riusciresti a comprenderne il motivo. Solo questo posso dirti: una speranza ho dato ai Dunedain ma non ne ho serbato una per me. Ti prego, in nome di Eru e della nostra amicizia di non porgermi altra domanda”.
Sconcertato, Erfea chinò il capo e abbandonò la sala del trono: alcuni mesi più tardi Ar-Pharazon fu incoronato sovrano di Numenor e prese come moglie sua cugina Tar-Miriel, contro la sua stessa volontà e la legge di Numenor, che proibiva il matrimonio tra consanguinei.
Più le mani di Erfea e Tar-Miriel si sfiorarono, mentre Feneria venne abbandonato e le sue colonne andarono in rovina; eppure vi è stato chi fra gli Esuli ha creduto di aver compreso il rifiuto della sovrana di Numenor ad acconsentire alla richiesta del suo ammiraglio. È stato detto, infatti, che ella abbia rifiutato e in seguito abdicato, perché costretta dalla minaccia di Ar-Pharazon, che in caso contrario avrebbe condannato a morte Erfea. Fino alla fine dei suoi giorni Tar-Miriel soffrì per il giuramento fatto al proprio sposo e solitaria trascorse la propria esistenza sino alla Caduta, quando tra le urla e lo sgomento ella perì, vittima del ricatto e dell’antica profezia che Manea anni prima aveva rivelato alle orecchie del sovrano».

Note

[1] Al termine della cerimonia che conferiva il titolo di re all’erede prescelto, costui poneva dinanzi al suo nome l’appellativo di Tar, che nella favella dei Noldor indicava colui che è nobile, e per estensione, il sovrano stesso.

[2] Nel corso della Seconda Era, progressivamente, i secoli precedenti vennero indicati impropriamente con tale locuzione; i Giorni Remoti, tuttavia, dovrebbero includere solo le Ere precedenti la creazione del Sole e della Luna.

[3] Tharbad era la capitale delle colonie numenoreane poste nelle contrade nord-occidentali di Numenor; in seguito tale titolo fu conferito alla città di Annuminas, allorché venne costituito il regno del Nord ed Elendil, figlio di Amandil, divenne sovrano dei Dunedain in esilio.