Care lettrici e cari lettori, bentrovati. Dopo essermi dedicato alla stesura del Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio» del quale consiglio la lettura per chiarire dubbi o semplicemente rinfrescare la memoria sui protagonisti che agiscono in questo articolo, ritorno alla narrazione del «Racconto dell’Ombra e della Spada». In questo brano verranno alla luce le divisioni esistenti fra i Fedeli, delle quali sapranno approfittare Pharazon e i Nazgul suoi consiglieri per costringere gli altri Numenoreani ribelli a sostenere la sua candidatura al trono. A proposito dei Fantasmi dell’Anello, mi piace sottolineare come in questa parte del racconto abbiano un ruolo fondamentale, soprattutto a livello oratorio: credo che questa sia una profonda differenza rispetto alle opere di Tolkien, nelle quali, invece, i Nazgul proferiscono poche parole, legate essenzialmente alla caccia dell’Anello e del suo portatore…per non parlare, poi, del celebre dialogo Re Stregone vs Eowyn, ormai reso oggetto (anche) di numerose parodie sul Web.
P.S. L’immagine che ho scelto come illustrazione principale per questo articolo, in effetti, non è ispirata alle vicende numenoreane, ma a quelle raccontate ne «La Caduta di Gondolin». Con un po’ di fantasia, tuttavia, non è impossibile immaginare che la figura corrispondente ad Idril sia Miriel, e che quella riferita a Maeglin sia invece Pharazon. Per quanto non abbia mai fatto cenno (almeno fino ad ora) ai trascorsi esistenti tra i due cugini, non è forse suggestivo immaginare che Miriel sospettasse fin dall’inizio delle oscure ambizioni di Pharazon? (osservate lo sguardo che Idril, la dama dalla bionda capigliatura, rivolge a Maeglin per rispondere a questa domanda). Buona lettura, aspetto come sempre i vostri commenti!
«Malumore e timori serpeggiavano ancora fra i Numenoreani, sicché Akhôrahil così ammansì i loro animi: “Amici, camerati di vecchia data, perché consumare nel nostro sangue la vendetta che noi tutti vogliamo ottenere su altri? Non sarò certo io a decantare le lodi di colei che così ferocemente ha tranciato i fili dell’esistenza di Dôkhôr, eppure, se le mie parole rivestono ancora importanza fra voi, dirò che ha agito secondo giustizia, né questo deve sembrarvi in contraddizione con quanto poc’anzi ho riferito, ché sovente essa si mescola alla ferocia, né, in tempi bui come questi, ove stolti governanti ed infidi ministri desiderano abolire diritti che i nostri antenati si procurarono versando il loro sangue in epiche imprese, è possibile agire in modo diverso. Io scorgo nei vostri occhi la medesima voglia di vendetta che si agita nel mio petto e che vorrei condividere con voi tutti: vendetta contro Tar-Miriel, vendetta contro Ërfea e Brethil, vendetta contro tutti coloro che tramano alle nostre spalle, fingendo di offrirci la loro amicizia in cambio del nostro silenzio. Il principe Dôkhôr è morto, e questa circostanza – spiacevole, indubbiamente – ci offre, tuttavia, la seguente scelta: obliamo tutti gli antichi rancori di cui la vittima – per ambizione personale o per poca lungimiranza non saprei dire – era portavoce e uniamoci al fine di salvaguardare le nostre esistenze. Ricordatelo, o Numenoreani – concluse poi, ritirandosi lentamente verso lo scranno di Pharazôn – i nostri nemici non sono in questa sala, ma dimorano oggi nelle vetuste aule della reggia di Armenelos”.
I Numenoreani allora si acquietarono e si sedettero nuovamente: Khûriel, che fra le Signore di Andor era quella più anziana e temuta, si levò allora dal suo scranno – unica fra tutti a non averlo abbandonato quando i suoi camerati erano stati presi dal terrore e dal panico – e così parlò: “Sei saggio e risoluto, mio signore; entrambi, lo sappiamo bene, condividendo la conoscenza delle arcane scienze che sono prerogativa di ben pochi iniziati, siamo giunti alla medesima conclusione, né è possibile attendere ancora, ché se così agissimo, ci comporteremmo invero stoltamente”.
Akhôrahil trasalì allorché udì le parole pronunciate così avventatamente dalla donna: ella osava paragonarsi ad uno degli immortali capitani di Sauron! Tanta audacia non poteva essere lasciata impunita! Egli formulò allora rapido nella propria avvizzita mente le parole che avrebbero costretto la Numenoreana a strisciare sul lurido suolo della caverna, simile ad un cieco verme che si agiti, inerme, nell’oscurità: furente, levò la mano, eppure, chiare e distinte gli giunsero altre parole, pronunciate per un diverso fine, ma che ebbero il potere di arrestare la sua ira. “Mia signora – aveva domandato Ëargon, incuriosito dalla sua affermazione precedente – qual è il tuo consiglio in questa ora buia per il tuo popolo?”
Khûriel tossì leggermente – aveva ormai superato il duecentottantesimo anno di vita ed il suo corpo iniziava lentamente, ma costantemente, ad indebolirsi, sebbene fosse ancora lucida di mente – e così rispose: “Giovane Ammiraglio, sei stato risoluto allorché hai affrontato Dôkhôr senza mostrare esitazione alcuna, ché se la Principessa delle Terre Orientali non fosse intervenuta al tuo fianco – e qui si inchinò leggermente dinanzi ad Adûnpahel, la quale, condividendo l’opinione del Quinto Nazgul sul destino che avrebbe voluto riservare alla donna, fu costretta, suo malgrado, a mostrare per il momento la medesima cortesia, in attesa che il Re degli Stregoni, che ora era nuovamente immerso in profonda meditazione, mostrasse quale fosse la sua opinione al riguardo – non avrei avuto alcuna tema a prendere il suo posto, né sarei stata tanto clemente così come lo è stata lei, ché l’avrei ucciso seduto stante ed egli non avrebbe potuto oppormi alcuna resistenza, ché, osservatemi, io non sono disarmata”. Rapida, Khûriel levò allora in alto uno spadino che aveva occultato nelle pieghe del suo scialle nero, sicché finanche coloro tra i Numenoreani avevano manifestato ilarità dinanzi alla sua dichiarazione, furono costretti a ricredersi e più non risero. Soddisfatta dall’aver visto negli occhi dei suoi camerati la paura, la donna proseguì ed ella si rivolse a tutti loro: “Se non fosse stato per lady Adûnaphel, tutti voi saresti morti due volte: la prima volta, a causa del cieco terrore che si era impadronito delle vostre membra e che avrebbe prostrato ogni volontà di resistenza; la seconda, per i colpi che vi sareste inferti l’un l’altro senza più discernere l’amico dal nemico, il saggio dallo sciocco. Stolti! – rimproverò loro con quanta forza aveva in corpo – conoscete così poco dei vostri avversari da non capire quanto essi siano deboli e divisi al loro interno? Credete forse che nell’Accademia dei Paladini, ove essi risiedono meditando e duellando ogni dì, perseguano tutti un medesimo scopo? No, camerati, vi sono gravi motivi per ritenere che vi siano fratture al loro interno, delle quali potremmo approfittare se agiremo tempestivamente e con forza”.
Udendo quelle parole, l’ira di Akhôrahil decadde ed egli considerò sotto una nuova luce la donna: sino a quel momento, infatti, aveva finto di essere a conoscenza di informazioni utili a distruggere il nemico senza, tuttavia, avere la minima cognizione di esse, ché suo scopo non era divulgare, ma istigare gli animi dei Numenoreani affinché rivoltassero il governo di Tar-Miriel. Nessuna parola, tuttavia, fu mormorata a proposito di quello che era il vero obiettivo del Re Tempesta: avere la testa di Ërfea Morluin, l’unico ad aver profanato la fortezza dei Nazgûl situata nel profondo delle sabbie dell’Harad, sottraendo loro documenti di importanza vitale, ed egli era molto cauto nel pronunciare il suo nome, per tema che i Numenoreani intuissero le sue ambizioni e comprendessero quanto sarebbe stato meglio celare il più lungo possibile. Per molte leghe tutt’intorno, infatti, erano note le gesta del figlio di Gilnar e, nelle lunghe veglie serali, alcuni soldati erano soliti mormorare che questi fosse venuto a conoscenza di arcani segreti appresi nel lontano Oriente, fra i quali erano compresi la facoltà di domare la mente dei suoi nemici e di arrestare il corso del tempo. Akhôrahil, naturalmente, sapeva che era tutto falso, né gradiva che sul suo acerrimo nemico circolassero voci che avrebbero contribuito a rendere la sua figura ancora più potente a corte: quanto al suo Signore, egli non rivelava alcunché dei suoi pensieri agli altri Nazgûl, a meno che Sauron non avesse espresso parere contrario, e questo perché, come tutti coloro che un tempo erano stati Paladini, Er-Murazôr riteneva poco degno confidarsi con altri che non fossero la propria mente ed il proprio congiunto[1]. Non avendo preso moglie neppure negli anni in cui era stato solo il secondo figlio del re di Numenor, il Capitano Nero custodiva ogni cosa gelosamente e quanto all’indovinare in quale direzione si orientasse il suo pensiero, solo l’Oscuro Sire in persona aveva forza sufficiente a scoprirlo.
Khôrazid, credendo di aver trovato un’alleata nell’anziana donna, così l’apostrofò: “Deh, parla dunque! Cosa ti spinge a credere che i Fedeli siano divisi quanto lo siamo noi?” e qui la sua bassa voce si alterò in modo orribile ad udirsi, affinché tutti potessero cogliere l’intrinseca ironia sottesa a quelle parole.
Khûriel non fu parca di spiegazioni: “Sappiate, o camerati, che fra i nostri nemici, solo Amandil gode di una popolarità tale fra il popolo da poterlo spingere, un giorno, a ribellarsi all’autorità della regina, se volesse impadronirsi del trono o favorire l’ascesa di un suo compagno; tuttavia, mai egli avrà in mente un tale desiderio, essendo la sua stirpe la più prossima fra quelle che servono Tar-Miriel ed i legami di sangue con lei troppo profondi per poter essere spezzati senza aver tema di attirare su di sé la vendetta dei Valar, cui Amandil, come tutta la sua gente, è molto devoto”.
Ëargon allora interloquì: “Eppure, non posso fare a meno di ritenere Ërfea l’ostacolo più imponente che ci separa dalla vittoria. Forse che io erro prestando fede a ciò che il mio cuore mi suggerisce?”
Khûriel replicò: “Non sbagli, figlio di Morlok; tuttavia, è stato detto che l’errore coesiste spesso con la verità ed un giovane Paladino di Numenor dovrebbe conoscere questo precetto, che è uno dei più importanti fra i Precetti dell’Ordine”.
Pharazôn, il quale era sorpreso da una simile dichiarazione, non avendo mai militato fra i Paladini, dei quali il padre aveva avuto una pessima considerazione, così interrogò la donna: “Sai questo? Come è possibile?”
Trascorse molto tempo prima che la donna rispondesse, infine, quando la maggior parte dei camerati si era convinta che si fosse ormai tramutata in una roccia grigia per effetto di un perverso incantesimo, parlò e la sua voce parve, per qualche istante, provenire dagli algidi abissi al di là del tempo: “Sono stata una Paladino, molti anni fa, quando i vostri nemici erano giovani”; infine si scosse, e parve che il suo spirito fosse ritornato nel loro mondo provenendo da universi senza nome: “I Paladini sono invisi al popolo e tardivo si è rivelata l’apertura dei cancelli dell’Accademia anche a quanti non sono di sangue reale”.
“Eppure – interloquì perplesso Pharazôn – Amandil stesso è un Paladino ed il suo nome è onorato da tutti”.
“Sì, lo è – rispose la donna – ma solo perché il popolo vede in lui l’erede primigenio di Elros Tar-Minyatur[2] ed egli è stato abile a porsi al di sopra delle due fazioni in diverse occasioni, sembrando l’uomo più indicato per porre fine alla guerra civile che ormai da troppi secoli persevera nella nostra isola. I miei informatori riferiscono che Amandil è un moderato e non intende entrare nella lotta tra partiti, ambendo solo al bene del suo popolo; ciò significa, non di meno, che dovremmo considerarlo sin d’ora un nostro nemico, perché egli si opporrà con violenza alla nostra marcia su Armenelos e difenderà la cugina con ogni mezzo.”
“Sono stato un fraterno amico di Amandil, allorché avevamo entrambi un minor numero di primavere sulle spalle, prima che la condanna di mio padre all’esilio ci allontanasse e conosco la sua umiltà e la sua determinazione; ammetto, invece, di conoscere poco Ërfea, sebbene pochi anni ci separino ed egli sia uno dei miei nemici più acerrimi, anche per questioni che in questa sala non menzionerò[3] – ammise Pharazôn – “tuttavia, non condivido il medesimo parere di Khûriel e ritengo che il figlio di Gilnar rimanga pur sempre l’avversario più temibile fra quanti si frappongono fra noi ed il trono”.
“Non nego la tua ultima affermazione – replicò la donna – eppure, sai meglio di me che a difendere un reame la spada di un solo Paladino, per quanto micidiale, non è sufficiente.”
“Ritieni dunque – le domandò, inquieto, Ëargon – che nessuno fra i Paladini accorrerebbe in difesa del Morluin se noi dovessimo minacciare la vita della sovrana?”
Khôrazid, che sino a quel momento aveva meditato in silenzio su quanto ascoltava, espresse il suo dissenso ad una soluzione che portasse alla morte di Tar-Miriel e questo perché, come ammise egli stesso – “per molti anni, quando era un’infante, ero solito tenerla sul mio grembo, come fosse stata una delle mie figlie, ed ora il mio cuore, al solo pensiero che la luce dei suoi biondi capelli possa essere soffocata dal rosso sangue, trema ed è preso da grande sgomento”.
Akhôrahil, che era sul punto di scagliare una pesante invettiva contro l’anziano principe, allorché scorse serpeggiare un grande disagio tra quanti erano della fazione moderata, mutò parere e si limitò a rispondergli con ironia mista a sarcasmo: “È nel fato degli uomini incontrare quando meno se l’attendano la morte ed abbandonare questo mondo; se la tua gente, tuttavia, inorridisce dinanzi a tale realtà, non è affar mio o di quanti mi sostengono; in fondo – ammise, mentre una nuova malvagia idea gli sorgeva nella mente – non è necessario che la regina muoia”.
Il volto di Khûriel si illuminò allorché si rese conto che, finalmente, il consigliere di Pharazôn era giunto alle sue medesime conclusioni: “Non lo è, infatti; anzi, se così agissimo, non faremmo altro che infliggerci da soli una pesante sconfitta. Non dobbiamo in alcun modo condannare a morte la sovrana, o altrimenti scateneremmo nel popolo una feroce reazione dinanzi alla quale nessun muraglione, bastione o torre potrebbe esserci d’aiuto. Tar-Miriel sarà parte integrante del Nuovo Ordine, quando questo sarà costituito”.
“Sono d’accordo con quanto affermi – interloquì allora Ëargon – tuttavia ancora non hai dato risposta alla mia domanda: nessun Paladino interverrà in aiuto del Morluin, se, anziché rivolgere le nostre armate contro la sovrana, dovessimo rivolgerle contro i Fedeli, aprendo una nuova fase della guerra civile che ormai perdura da diversi secoli? Quale sarà, inoltre, il parere di Tar-Miriel, allorché il suo generale più valido – e, diciamolo pure, il suo amante – sarà attaccato?”
“I quesiti che poni sono strettamente intrecciati, figlio di Morlok, ed ad essi verrà data risposta. Ërfea sarà sostenuto dalla sua gente ed essi, per quanto possano essere valorosi, sono pur sempre in numero minore rispetto alle genti delle altre contrade, né gli mancherà l’appoggio di Brethil ed egli, in verità, può contare su un sostegno ancor più esiguo da parte del suo popolo: le mie fonti, infatti, riferiscono che quasi tutti i cittadini del Mittalmar abbiano abbandonato le loro ancestrali dimore, trasferendosi nella grande città di Armenelos, ove sono stati tosto sedotti dai nostri agenti, rinfoltendo, in questo modo, le nostre fila di guerrieri. Per quanto concerne la tua seconda domanda, posso adesso rivelare che mai la regina ha trovato in Brethil un fedele compagno, prediligendo piuttosto i servigi che il duca Morlok, tuo padre, non ha risparmiato di offrirgli”.
“È vero che mio padre ha sempre tenuto in grande stima la sovrana – ammise pensieroso Ëargon – e questa sua preferenza ha costituito sovente motivo di contrasto tra le mie e le sue opinioni a tal riguardo; tuttavia, credevo che, spinta dall’affetto per il suo amante ritrovato, ella sarebbe stata più indulgente nei confronti di Brethil, il più anziano tra i suoi Grandi Ammiragli”.
Khûriel replicò: “Giovane comandante, non ti nascondo che nei giorni scorsi anche io ho nutrito il tuo medesimo dubbio, tuttavia, infine, le mie perplessità sono svanite allorché ho riflettuto su di un episodio avvenuto molti anni fa, quando tu non eri ancora nato, e che coinvolse un cugino di Brethil, Arthol il Superbo”.
Il figlio di Morlok annuì: “Se è il medesimo Arthol di cui mi hanno narrato i miei precettori, allora non dirò che la sua vicenda mi sia sconosciuta; cosa avrebbe a che fare, tuttavia, questa antica storia con quanto deve ancora essere?”
La donna sogghignò: “Arthol, Brethil ed Ërfea erano un tempo molto legati, costituendo un terzetto inseparabile, sicché Brethil, sebbene fosse in età maggiore rispetto agli altri due ragazzi, pure era ad essi molto legato. Come alcuni tra noi ricorderanno – e qui il suo sguardo si diresse su Akhôrahil – Brethil accompagnò suo cugino all’investitura di Cavaliere del Regno e per molto tempo ebbe per lui parole degne di ammirazione: ogni legame di amicizia e di rispetto, tuttavia, fu reciso allorché Arthol e sua sorella Gilmor furono coinvolti nell’oscuro complotto per eliminare Tar-Palantir e sua figlia, ché Brethil ed Ërfea, il quale, pure, era stato di Gilmor l’amante, denunciarono i loro sospetti a Gilnar e forse allo stesso Tar-Palantir, ché costui sembrava essere stato messo a conoscenza di quanto era accaduto ancor prima che il caso fosse dibattuto pubblicamente nell’assemblea del Senato, ed essi provvidero affinché i congiuranti fossero arrestati e giudicati. Tar-Miriel, nonostante l’indubbio legame che continua a legarla al Morluin, non ha mai dimenticato la parentela che intercorreva fra Arthol e Brethil, diffidando da quel giorno in poi di questo ultimo, né il Comandante dell’Esercito sembra abbia perdonato alla regina e a suo padre di non aver mai voluto accertare le responsabilità di coloro che, a sua detta, pur avendo preso parte al complotto, erano ancora liberi. Brethil non si fermò alle minacce, ma si diresse al Palazzo Reale, ove mostrò alla corte stupefatta un elenco dei probabili mandanti del complotto, senza però che la sua proposta fosse seriamente valutata, a causa della mancanza di prove; quanto a Brethil stesso, interrogato più volte da Amandil a proposito, non volle mai rivelare dove avesse appreso quei nomi, per tema che codesti uomini potessero essere messi sull’avviso e fuggissero da Numenor”.
Ëargon interloquì: “Non ero a conoscenza di questi avvenimenti ed è un bene per tutti noi che la tua presenza in questo consesso non sia venuta a mancare oggi; se a quanto dici si aggiunge l’invidia crescente fra Brethil e mio padre, per la sua nomina a Tesoriere del Regno, allora si intuisce che la frattura fra i principi fedeli alla corona è in realtà molto più grave di quanto non si possa credere a prima vista”. Khûriel, che era giunta al termine della sua narrazione, sorrise al giovane ammiraglio e fece ritorno al suo scranno, in attesa che altri prendessero la parola.
Pharazôn, che aveva ascoltato ogni singola parola pronunciata dalle anziane labbra della donna, prese a riflettere sui nuovi elementi che aveva testé appreso; egli, infatti, se da un lato aveva da sempre mirato a colpire i paladini più che la regina stessa, ignorava molte delle lacerazioni delle quali aveva discusso Khûriel, e credeva che queste, laddove fossero state presenti, si sarebbero ricucite per far fronte alla minaccia che i suoi uomini avrebbero portato allo Stato. Infine, dopo aver così ponderato, parlò ed espresse i suoi pensieri: “Supponiamo, per un solo istante, che Ërfea sia abbattuto, la sua gente condotta in catena per il divertimento dei miei guerrieri e Minas Laure ridotta ad un cumulo di macerie; supponiamo, altresì, che gli altri Paladini non accorrano in suo aiuto e che decidano di non immischiarsi in questioni che ritengano non essere di loro interesse; supponiamo, infine, che ogni nostra speranza si realizzi e che la Regina si mostri indulgente nei nostri confronti e disposta ad offrirci la sua collaborazione: a cosa condurrebbe tutto ciò? Al nostro successo, forse? No, ché questo sarà possibile solo quando uno tra noi – e qui il suo sguardo cadde malizioso su ognuno dei principi presenti – reclamerà ed otterrà per sé la corona di Numenor; tuttavia, se prima non facciamo chiarezza su questo punto, nessun fato sarà tanto benigno da permetterci di trionfare”.
Turbati, i Principi dei Numenoreani scrutarono nelle tenebre che circondavano gli alti scranni neri sui quali sedevano e presero a meditare sulla proposta, implicita e tuttavia fin troppo palese, che Pharazôn proponeva loro: accettare il suo dominio e sostenerlo nella lotta contro i Paladini; dapprima esitanti, essi infine furono spinti a pronunciare giuramenti ed a presentare i loro vessilli ai piedi del cugino della sovrano, ché il desiderio di trucidare Ërfea, Brethil ed i loro compagni si era accresciuto nei loro cuori ed essi non avevano più alcun timore di prestare obbedienza ad alcuno, purché si fosse mostrato in grado di ottenere la vittoria sui Fedeli. Smaniosi ed esultanti, i Principi supersiti, fra i quali Ëargon e Khûriel erano in prima fila, presero ad intonare canti bellici in onore del loro futuro re e non si avvidero, colti com’erano da questa improvvisa euforia, che i tre Nazgûl, riunitisi alle spalle del trono di Pharazôn, avevano preso a scambiarsi sguardi che esprimevano una palese soddisfazione, ché il primo obiettivo del loro Signore si era realizzato ed ora la sua vendetta su quanti l’avevano in passato sconfitto, sebbene fosse ancora lungi dal concretizzarsi, sarebbe divenuta realtà».
Note
[1] Secondo il Codice dell’Ordine, dieci erano le indicazioni che i Paladini dovevano sempre tenere a mente: 1) Non coltivare pensieri perversi; 2) la Via consiste nell’addestramento; 3) coltivare parecchie Arti diverse; 4) cercare di conoscere le vie e le modalità relative a qualsiasi mestiere o attività; 5) saper discernere il successo dal fallimento nelle questioni mondane; 6) esercitare l’intuizione e la capacità di giudizio in ogni attività; 7) saper percepire le cose che non si vedono; 8) prestare attenzione perfino alle cose marginali; 9) non fare cose inutili; 10) tenere segreta la mente ed ogni suo pensiero a quanti non sono a conoscenza del proprio nome. È evidente, per altro, che Er-Murazôr aveva obliato alcune indicazioni del Codice, prestando giuramento solo a quelle che riteneva utili per raggiungere i suoi scopi.
[2] Dopo l’editto prolungato da Tar-Aldarion, anche alle donne fu permesso di salire al trono di Numenor; Silmariel, perciò, ava di Amandil e primogenita del sangue reale, avrebbe anch’ella ottenuto la corona se fosse vissuta in tempi successivi, né questo particolare, nell’epoche turbolente che seguirono la scissione dei Numenoreani, fu dimenticato dai Fedeli, sebbene Amandil in persona avesse tentato sino all’ultimo di rifiutare la maestà delle genti occidentali.
[3] Qui segue una nota frettolosamente riportata sul margine sinistro del manoscritto da Ërfea e che Ëruo volle includere nella revisione finale del testo: “In verità, è evidente che il Re (Ar-Pharazôn) ambiva ottenere la mano di Tar-Miriel non solo perché il matrimonio fra i due avrebbe aperto la sua strada verso il trono, ma anche perché era attratto dalla regina e desiderava ottenerla per soddisfare le sue brame; non è improbabile, infine, che egli abbia voluto in questo modo rendermi profondamente infelice ed ottenere così vendetta sul mio rifiuto di sostenerlo nella sua lotta per ottenere lo scettro”.