Scrivere di Tolkien, con Tolkien…per Tolkien: pro o contro le fan-fiction?

Scrivo questo articolo perché intendo affrontare un argomento che trovo particolarmente stimolante: le fan-fiction di ambito tolkieniano.
Sarò piuttosto schietto: non amo particolarmente questo termine, forse perché, quando ho iniziato a scrivere i miei racconti, tanti anni fa, le fan-fiction non esistevano così come sono intese adesso. O meglio – per essere più precisi – non esistevano quei circuiti di comunicazione, spesso on-line, attraverso i quali possono oggi essere lette centinaia di fan-fiction ambientati negli universi letterari più disparati: da Harry Potter alle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, a Star Wars.
E anche Tolkien, certo. Già. E qui iniziano le noti dolenti.
L’appassionato tolkieniano manifesta generalmente un atteggiamento ambivalente nei confronti dell’universo creato dal professore di Oxford: per un verso lamenta la mancanza di approfondimenti di personaggi e di eventi che vengono solo accennati all’interno delle sue storie, per un altro si dimostra, in molti casi, ostile nei confronti di chiunque osi mettere mano all’impressionante mole di racconti che compongono il legendarium tolkieniano. Non ho potuto fare a meno di notare, inoltre, come questo atteggiamento di ostilità sia diretto soprattutto nei confronti di coloro che intendono allargare l’orizzonte dal punto di visto contenutistico, mentre, in generale, ho osservato una maggiore benevolenza nei confronti di quanti si occupano dell’aspetto linguistico delle sue opere. Intendiamoci: non ho alcuna intenzione di sminuire questo carattere basilare del legendarium tolkieniano; anzi, si potrebbe tranquillamente affermare che la creazione dei vari linguaggi abbia proceduto l’elemento storico e descrittivo della Terra di Mezzo. Nessuna meraviglia, sotto questo aspetto: la formazione accademica di Tolkien era quella di un filologo, ragion per cui non c’è da stupirsi che fosse molto attratto dalla componente linguistica.
Ciò che mi lascia perplesso, invece, è il grado di «sospensione della realtà» che molti cultori tolkieniani esercitano nei confronti di quanti ne hanno sviluppato e arricchito l’apparato linguistico, pur sapendo perfettamente che, in molti casi, si tratta di rielaborazioni che partono, senza dubbio, dagli scritti di Tolkien, per poi cercare, tuttavia, inevitabilmente, di arricchirne le forme e i contenuti lessicali. Personalmente non sono contrario a questi studi: ammetto di non essere particolarmente attratto dai linguaggi (probabilmente anche per via dei miei studi), ma ritengo che sia un’azione lodevole quella di approfondire le basi portanti del legendarium tolkieniano. Il quesito che vorrei porre a questi appassionati tolkieniani è semmai il seguente: perché accettate che questo o quello studioso contemporaneo «vada oltre» le indicazioni di Tolkien stesso quando si tratta di un approccio linguistico e invece siete meno interessati (e in qualche caso vorrei dire meno tolleranti) nei confronti degli scritti che intendo approfondire il suo legendarium? (Per carità di patria, taccio su quanti accettano tutte le modifiche apportate da Jackson alla trama del Signore degli Anelli, e poi disprezzano qualsiasi tipo di fan-fiction perché non «è come nel libro» [cit.]).

Immagino già la prima risposta (o almeno una delle più plausibili): chi indaga sulle lingue si preoccupa (giustamente) di studiare approfonditamente le basi delle favelle elfiche prima di avanzare nuove ipotesi relative alla sintassi, al lessico ecc. delle lingue tolkieniane. Chi scrive fan-fiction, invece, (in molti casi) lo fa per dare spazio ai suoi sogni reconditi, alla capacità di calarsi nella Terra di Mezzo dall’alto «per vedere – come recitava una vecchia canzone – l’effetto che fa». In linea teorica, non sono contrario a queste scritture: l’unica cosa che non comprendo è come gestire un percorso narrativo che rischia di stravolgere tutto quello che ha scritto Tolkien stesso. Mi spiego meglio: anni fa, iniziai la lettura di una di queste storie nella quale Boromir, anziché essere ucciso dagli Orchi di Saruman, finiva coll’essere salvato da suo fratello Faramir e dai suoi soldati…e confesso di non aver voluto proseguire. Non sono riuscito a capire il senso di questa storia (non entro nella questione dello stile, perché, ad essere sinceri, non lo ricordo più): che senso ha cambiare un passaggio chiave di una narrazione per poi inventare un percorso che finisce collo stravolgere del tutto la narrazione stessa? Mi si risponderà: perché ho sempre desiderato che Boromir non morisse, oppure che Eowyn sposasse Aragorn o ancora che gli Elfi non abbandonassero la Terra di Mezzo…e potrei continuare a lungo. Forse, al di là dei gusti personali, queste storie potrebbero essere intese – con un significato diverso da quello tradizionalmente attribuito – come vere fan-fiction, nel senso che raccontano dei legami intercorsi fra lettori e i loro personaggi preferiti, senza però badare al grado di realizzabilità dei loro progetti rispetto alla cornice generale.
Questo sviluppare (e diffondere) racconti che non si preoccupano minimamente di salvaguardare la coerenza del legendarium tolkieniano mi avvilisce, perché, nella loro ingenuità, finiscono col trascinare verso il basso tutti quelli che cercano di apportare contributi nuovi alla Terra di Mezzo, senza tuttavia rimetterla in discussione.

Negli anni scorsi, tuttavia, ho anche avuto modo, per fortuna, di leggere racconti molto originali ambientati nella Terra di Mezzo: uno narrava di una fanciulla del popolo Haradrim che, dopo una serie di traversie, si recava nel regno di Gondor e apprendeva l’arte della Guarigione nelle Case che da essa prendono il loro nome. Un altro racconto, invece, era costruito come una sorta di dialogo fra un figlio e un padre, numenoreani, che discutevano intorno alla follia di Pharazon. Spiace dover constatare che, purtroppo, a causa dei vari trasferimenti che ho vissuto, non sono riuscito più a recuperare questi scritti.
Non credo, beninteso, che esista una «formula magica» obbligatoria per scrivere questo genere di racconti: mi limiterò a offrire una serie di suggerimenti di buon senso, che potrebbero essere utili a chi volesse provarci.

1) Scegliete con attenzione quali personaggi/eventi volete approfondire. Sconsiglio di dedicarvi alla parte finale della Terza Era, perché costituisce il nocciolo del «Signore degli Anelli» e di altri scritti collaterali: ammetto, naturalmente, che esistano degli spazi ancora «bianchi», come per esempio il destino della Bocca di Sauron o quello di Radagast, tuttavia sono inferiori rispetto a quelli offerti da altri contesti; a meno che, ovviamente, non desideriate approfondire soggetti ed eventi non particolarmente legati alla Guerra dell’Anello (e alle regioni nelle quali si combatté), come, ad esempio, Umbar a sud oppure il Forochel a Nord. La Seconda Era, da questo punto di vista, si caratterizza per poter essere indagata con una maggiore «libertà» d’azione narrativa rispetto alla Prima e alla Terza.

2) Scegliete con attenzione lo stile da utilizzare. Nessuno pretende (o può pretendere da voi) di essere un emulo di Tolkien, ci mancherebbe, però una certa coerenza di stile renderebbe il vostro racconto più fedele allo stile del professore di Oxford e maggiormente riconoscibile come «tolkieniano». Sarebbe stimolante – lo ammetto – anche utilizzare, di contrasto, uno stile totalmente diverso, però ritengo che sia più difficile farlo: bisognerebbe padroneggiare a tal punto la materia tolkieniana per poterla, in qualche modo, ribaltare…un po’ come faceva Picasso con la sua arte rispetto a quella tradizionale (e, ammettiamolo, di Picasso in giro per il mondo non ce ne sono tanti!)

3) Dosate con equilibrio la miscela esistente fra personaggi «tolkieniani» e personaggi «non tolkieniani», cioè inventati da voi. Per esperienza personale, trovo sia meglio avere un/a protagonista «non tolkieniano/a» per godere di migliore libertà d’azione. Al limite, vi suggerisco di «adottare» un personaggio poco trattato da Tolkien in modo da avere una cerniera ideale tra i suoi scritti e i vostri. Non abusate, invece, di personaggi come Frodo, Aragorn, Gandalf, Sauron etc.; non perché non siano interessanti – ci mancherebbe! – ma perché la loro trattazione richiederebbe la conoscenza di tutte le fonti disponibili (anche di quelle eventualmente inedite in Italia). Un compito, questo, che potrebbe atterrire chiunque. Se volete concedere loro un cameo, fatelo pure – renderà certamente il vostro racconto più famigliare agli occhi di chi legge – ma senza fare di questi personaggi…i vostri personaggi.

4) Ultimo consiglio: non siate mai – e sottolineo il termine mai – ostili a priori nei confronti di qualsiasi racconto o fan-fiction: se ne avete voglia e modo, provate a leggerli…e mal che vada, lasciate perdere. Nessuno ve ne farà una colpa, anzi: un vostro commento (ben motivato, s’intende!) potrebbe aiutare chi scrive a migliorarsi. L’indifferenza, anche in questo settore, è sempre una gran brutta bestia.

Mi piace concludere questo articolo con un invito e un auspicio: si può scrivere di Tolkien, con Tolkien e per Tolkien stesso avendo però a mente le parole che pronuncia Gimli a Legolas in merito ai suoi progetti di trasferire una parte dei Nani nelle Caverne Scintillanti:

«Abbatti tu, forse, boschetti di alberi in fiore per raccoglier legna in primavera? Noi cureremmo queste radure di pietra fiorita, non le trasformeremmo in miniere. Con cautela e destrezza, un colpetto dopo l’altro, un’unica piccola scheggia di roccia e nient’altro, forse, in tutta una giornata ansiosa: tale sarebbe il nostro lavoro, e col passar degli anni apriremmo nuovi sentieri, scopriremmo nuove stanze lontane e ancor buie che s’intravedono ora come un vuoto dietro fessure nelle roccia. E le luci, Legolas! Creeremmo luci, lampade come quelle che risplendevano un tempo a Khazad-dum; e secondo il nostro desiderio potremmo allontanare la notte che sommerge le caverne da quando furono innalzati i colli, o lasciarla rientrare per cullare il nostro riposo».