La Battaglia della Dagorlad – Il catalogo delle forze alleate e nemiche

Care lettrici, cari lettori,
siamo ormai giunti alla grande battaglia che decise i destini della Terra di Mezzo al termine della Seconda Era. Sarà una battaglia epica, come la maggior parte di voi se la saranno immaginata, e non mancheranno eroismi e drammi. Prima di lasciare lo spazio al campo di battaglia, vorrei spendere due parole sull’evento storico che ho preso a modello di questo scontro. Non è stato facile pensare a uno scontro che riassumesse al suo interno le caratteristiche di una battaglia simile a quella combattuta fra Sauron e l’Ultima Alleanza. Alla fine ho optato per la Battaglia di Zama (202 a.C.), affidando la parte dei Romani ad Elfi e Uomini e quella dei Cartaginesi a Sauron e ai suoi alleati. In sostanza si trattò di una battaglia di attrito, nella quale il Capitano degli Eserciti di Sauron, per vincere, aveva una sola possibilità: consumare le forze nemiche contrapponendo loro armate via via più forti ed esperte, sino a consumarle, un assalto dopo l’altro. Inutile dire che la parte dell’avanguardia, destinata a facile massacro, sarà costituita dagli Orchi e che ai Numenoreani Neri, pesantemente armati, toccherà il ruolo di retroguardia. Ho progettato una serie di schemi che spero potranno aiutarvi a comprendere lo schieramento delle forze alleate e nemiche e che saranno pubblicati nei prossimi articoli.

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[immagine in evidenza: Jean Jesu Fumeres (fumeresart) su Instagram e artstation].

«Rapida, la notte calò sulle schiere dell’Alleanza e nessun suono osò disturbare il loro sonno, ché poteri quali gli Eldar poche volte avevano mirato e di cui gli Edain non conservavano che un pallido ricordo, erano all’opera; il mattino seguente, destatesi alle prime luci dell’alba, i soldati scorsero nuove milizie accorrere presso lo stendardo delle libere genti; erano costoro le possenti creature della terra, orsi dalle montagne del nord, cavalli selvaggi dalle steppe dell’oriente, minuscole formiche provenienti dagli antri profondi, e altre bestie quali il vasto mondo racchiude in seno.

Meraviglia si dipinse sul volto degli Eldar, degli Edain e dei Naugrim, ché essi miravano raccolte sotto i vessilli dei Capitani dell’Ovest un esercito quale mai avevano scorto nel corso delle loro esistenze e che mai più avrebbero visto; soli, fra quanti esprimevano il loro palese stupore, Cirdan, Gil-Galad ed Elrond sorridevano, ché non avevano obliato quanto era accaduto migliaia di anni prima.

Le cronache di quei giorni ricordano che l’esercito che si schierò dinanzi ai lugubri cancelli neri di Mordor fu inferiore per possanza e per numero solo a quello che abbatté Thangrodim al termine della Prima Era. Invero, veritiere sono tali affermazioni, né vi fu stirpe i cui guerrieri non si trovarono l’uno contro l’altro in quello scontro: solo gli Eldar furono fedeli a Gil-Galad e a lui soltanto, ad eccezione di Celedhring che rinnegò il suo popolo e servì l’Oscuro Signore sino alla sua morte, essendo, tuttavia, troppo vile per affrontare in singolare tenzone le armate dei Noldor.

Le stirpi di Uomini e Nani, invece, scelsero di schierarsi nell’uno e nell’altro esercito, gli uni privilegiando la libertà, gli altri una schiavitù infame ed eterna: gli eredi dei Fedeli di Elenna, militarono nelle schiere di Elendil e dei suoi figli, mentre coloro che erano stati seguaci di Ar-Pharazon il Dorato ed erano sopravissuti alla Caduta, seguirono i voleri di Sauron e servirono sotto i vessilli degli Ulairi; gli Uomini del Nord, ad eccezione delle schiere originarie del regno di Urdar, prestarono giuramento all’Alto Theng del Rhovanion, Aldor Roch-Thalion, ed essi erano numerosi e bene armati dai fabbri di Gondor, cui erano legati da antichi vincoli di fedeltà; gli Orientali si scissero fra coloro che erano nelle file di Herìm, ed erano costoro minori nel numero ma non nel valore, e fra quanti, spinti dal terrore degli Spettri dell’Anello e da seducenti menzogne del Nemico, si schierarono con il Nemico. Poco o punto note sono le vicende delle genti che vissero nelle ampie ed inesplorate contrade che si estendono a sud di Mordor; pure, fu detto che le stirpi su cui gli Ulairi avevano grande influenza militarono sotto gli stendardi di Mordor: fra esse, vi erano i Wolim del continente e dell’isola di Waw, i guerrieri delle tribù provenienti da Hent, i Chey delle lande desertiche che si estendono tra il Khand e la contrada di Ciryatandor, gli Haradrim accorsi da ogni loro feudo del sud, i Variag di Mordor e del Khand, ed altre genti di cui non sopravvive più alcun ricordo ai giorni nostri. In massa esse risposero all’appello del Signore di Mordor e sebbene le loro armi non fossero paragonabili a quelle che forgiavano i popoli liberi, pure esse si dimostrarono non meno letali nel lacerare la carne e trafiggere usberghi di acciaio e di cuoio intessuti, ché i fabbri di Barad-Dur presero a forgiare in quei giorni ormai lontani ogni strumento bellico di cui l’esercito del loro signore avesse abbisognato.

Pochi furono i Nani che presero parte al conflitto, ché alcune stirpi vivevano lontano dagli eventi che accadevano nella Terra di Mezzo nord-occidentale e si curavano poco o punto di quanto parevano ai loro orecchi niente altro che leggende da narrare intorno ai fuochi durante le veglie dell’inverno; pure, fu detto che fra coloro che servirono il Nemico, vi fu una stirpe che era fuggita dall’estremo oriente nei primi anni della Seconda Era, stabilendosi negli Ered Lithui, ove le loro menti ed i loro corpi furono fatti prigionieri dall’oscura malizia di Sauron. Bavor era il signore di tale schiatta ed essi, seppure desiderosi di  partecipare a battaglie campali, ché molto avevano in odio le altre casate, combatterono raramente, essendo intenti alla fabbricazione di strumenti bellici di ogni sorta; fra coloro che schierarono le loro schiere dinanzi ai Cancelli Neri, grande menzione ebbero i Naugrim di Durin IV e dell’antica roccaforte di Belegost, di cui oggi non sopravvivono altro che spoglie rovine; spietati erano i loro volti ed i guerrieri di Mordor sempre temettero i rampolli di Aule, sovente fuggendo in preda al panico allorché avvistavano il vessillo di Khazad-Dum.

Molto si è narrato di quanti, fra i figli di Iluvatar, parteciparono al conflitto che pose termine alla Seconda Era del mondo; pure, finanche le bestie del cielo e della terra si divisero, ciascuna specie secondo la propria volontà. Oscuri sono ormai diventati agli occhi degli uomini le pergamene ove mani sapienti annotarono quanto accadde in quegli anni oscuri, ché molto hanno obliato i Secondogeniti sin da quando Numenor è caduta ed Elendil ed Isildur sono venuti meno, eppure, non tutto è svanito e molto si parla, nelle cronache di quei remoti giorni, delle crudeli creature che servirono i voleri dei Nazgul: serpi dalle fauci velenose, cani e lupi dal morso feroce e pipistrelli dalle cuiose ali. Maggiori furono, tuttavia, le bestie che offrirono la loro vita all’Alleanza ed invero fu solo in questo che il numero di coloro che combatterono la potenza della Terra Nera si mostrò superiore a quello dei loro nemici; delle possenti aquile e degli altri volatili molto è stato detto, eppure esse non furono le uniche creature a seguire i vessilli delle libere genti, ché furono avvistati orsi imponenti e leoni provenienti dalle remote contrade del sud ed altre specie ancora che più le storie ricordano.

Imponente era invero l’armata dei seguaci dei Valar, inferiore solo a quella che aveva raso al suolo Angband e luminosi i vessilli intessuti d’oro e d’argento; eppure, nonostante le numerose genti che avevano giurato ad Orthanc, esigua era la schiera dell’Occidente se paragonata a quella di Mordor. Oltre a coloro che erano della progenie di Iluvatar, infatti, vi erano le creature nate dal folle volere di Morgoth e che, nei segreti recessi della Terra Nera, avevano ripreso a moltiplicarsi: Orchi dallo sguardo bieco e ripugnanti Troll ne costituivano le terribili avanguardie; pure, ignote ai comandanti dell’Alleanza, vi erano altre creature, escogitate dalla perfidia e dalla malizia di Sauron, che attendevano trepidanti l’ora dello scontro, esseri la cui perfidia la luce del sole rifiutava di mostrare agli incauti occhi delle libere genti, tanta era la malvagità e l’orrore che covava nei loro sguardi.

Cosa temessero, ciascuno nel profondo del proprio animo, i signori degli Eldar, degli Edain e dei Naugrim è cosa assai ardua da dire; poche parole furono infatti pronunciate durante il cammino che essi percorsero per raggiungere le contrade di Mordor, sia per tema di attirare l’attenzione dei servi del Nemico, sia perché l’aree era divenuta grave e le gole riarse ed offese. A lungo marciarono i fanti dell’Alleanza, infine si avvidero che il percorso che essi avevano sin lì seguito si apriva in un esteso spiazzo, battuto dai gelidi venti del Nord e da quelli secchi dell’Est; non fu tuttavia la natura selvaggia ed inospitale di tali luoghi ad attrarre l’attenzione di quanti erano ivi giunti, bensì le imponenti fortificazioni che si estendevano dinanzi ai loro attoniti sguardi: lugubri, le nere torri e i foschi minareti si ergevano sulla sommità dei crinali montuosi degli Ephel Duath e degli Ered Lithui. I guerrieri dell’Alleanza si fermarono ed i loro sguardi furono ricolmi di inquietudine e di timore, né erano infondati i loro sospetti, ché esalazioni velenose si levavano simili ad esili spirali contorte dall’agonia di quelle contrade martoriate, sicché parve loro che oscuri fantasmi si agitassero dinanzi ai bianchi vessilli».

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Care lettrici, cari lettori,
l’esercito dell’Alleanza è ormai pronto a sfidare le truppe di Sauron dinanzi ai Cancelli Neri di Mordor. Prima di affrontare il Nemico, tuttavia, esse saranno raggiunte da una serie di inaspettati Alleati, che contribueranno a rafforzare le loro file. Nel Silmarillion, scrivendo a proposito della composizione dell’Alleanza, Tolkien sostiene un’idea «potenzialmente» di grande respiro narrativo, ma che si presta – come vedremo – a molteplici interpretazioni. «Tutte le creature viventi quel giorno presero partito, e in entrambi gli schieramenti ve n’erano d’ogni genere, sia quadrupedi che pennuti, l’unica eccezione essendo costituita dagli Elfi, i soli che non si fossero divisi» (p. 370). Cosa significano queste parole? L’espressione «tutte le creature» deve essere intesa in senso assoluto o relativo? Nel primo caso – il più affascinante, forse, dal punto di vista speculativo, ma, allo stesso tempo, il più tremendo da gestire nei panni di chi si accinge a scrivere di questa battaglia – avrebbero potuto essere presenti Draghi, Balrog, e perché no? perfino gli Hobbit. Nel secondo caso, l’autore avrebbe inteso una presenza di creature note a chi scriveva il Silmarillion, ossia i Noldor, escludendo pertanto una serie di specie viventi all’epoca ancora non note (per esempio gli Hobbit). La questione è complessa, e non è escluso che presto possa dedicare un articolo a questo enigma, nel quale esporrò le mie suggestioni e ipotesi. Per il momento, dopo lunga e sofferta valutazione, mi sono orientato verso una posizione intermedia, nella quale, naturalmente, non potevano mancare le creature parlanti più antiche della Terra di Mezzo: gli Ent, i Pastori degli Alberi, e i loro rappresentanti più anziani, tra i quali spicca Barbalbero.

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L’immagine in alto è di Ted Nasmith: «Barbalbero e l’Entconsulta»

«Secche, giungevano alle orecchie dei soldati le parole dei loro capitani ed essi erano ansiosi di muovere guerra alle truppe di Mordor, né v’era bisogno di parole per spronare i loro gesti, ché molti avevano ancora impresse nella mente i cadaveri, mutilati ed abbandonati nella piana di Osgiliath, mentre altri, pur non avendo assistito a quanto mente mortale e immortale è impossibilitata dall’obliare, avevano ascoltato i raccapriccianti racconti di coloro che erano sopravvissuti e avevano partecipato del dolore che aveva colto i propri compagni d’arme.

Lance furono issate, spade sguainate e faretre empite di dardi acuminati; allorché le armate dell’Alleanza furono schierate, Gil-Galad si voltò e nel suo cuore si impresse, a ricordo imperituro di quel giorno, la maestà dei figli di Iluvatar; allora, il suo cuore fu empito dalla gioia ed egli, sguainata la lama dal fodero impreziosito da eleganti intarsi in mithril, cantò nella lingua dei padri: melodiose, eppure virili, erano le parole che egli pronunziava e perfino chi non comprendeva il Quenya, rimase affascinato, sicché presto l’animo di ciascuno fu saldo e la mente libera dalla paura dei servi di Mordor.

Era il tramonto allorché le schiere dell’Alleanza presero a marciare dirette a Mordor e nessun nemico osò contrastarne la marcia, ché gli esploratori di Thranduil bene conoscevano quelle contrade ed essi evitarono le distese acquitrinose ove i guerrieri dei Silvani avevano trovato triste morte. Rapide, le schiere dell’Alleanza si mossero lungo l’antica strada, realizzata dai servi di colui che si apprestavano a combattere; stupiti, esse miravano una gran quantità di bestie del cielo e della terra unirsi a loro, e, sebbene si interrogassero l’un l’altro, pure non riuscivano a comprendere per quale ragione accadesse un simile fenomeno.

Possenti aquile, le cui maestose ali empivano il cielo, erano sopra i figli di Iluvatar, né esse erano gli unici volatili, ché tosto si accompagnarono a costoro candidi cigni, il cui piumaggio splendeva sotto la rossa luce del freddo tramonto. Lieti in volto, gli Eldar presero a mormorare che costoro erano i congiunti di Elwing e il loro spirito fu rallegrato dalla loro comparsa; non meno gioiosi, tuttavia, erano i Secondogeniti, ché innumerevoli gabbiani dal canto malinconico erano comparsi all’orizzonte e sovente essi si posavano sugli elmi dei soldati di Gondor, sicché questi parevano davvero essere decorati dalle ali di tali uccelli.

Se maestosi erano i voli degli araldi di Manwe e di Varda nel vasto cielo, non meno nobili erano tuttavia i pastori di Yavanna e l’aree era colmo dei loro profondi e rauchi richiami; stupefatti i figli di Iluvatar miravano gli Ent, gli antichi custodi degli alberi, fare seguito ai loro vessilli, sicché parve che un’immensa foresta fosse intenta a marciare; infine, allorché la sera calò e i soldati furono intenti ad edificare i ricoveri per la notte, tre fra i Pastori degli Alberi[1] si approssimarono all’accampamento, chiedendo di poter discorrere con i Capitani dell’Alleanza: anziane erano le loro membra, ma ancora vigorose, e lucidi gli imperscrutabili occhi; a lungo attesero in silenzio, infine uno fra loro avanzò e parlò con voce lenta e profonda.

“Hum, salute a voi, giovani rampolli del seme di Iluvatar! Alcuni fra voi – e così dicendo, si inchinò leggermente a Gil-Galad ed Elrond – hanno scorto in passato i miei passi nelle contrade oggi devastate dalla crudeltà dei servi di Sauron e udito l’eco delle nostre tristi canzoni allorché l’oggetto del nostro disio scomparve e più non fece ritorno alle antiche dimore; tuttavia, sebbene i nostri cuori ancora sanguinino per il ricordo di tali vicende, pure non sono giunto dinanzi a voi per ricordare il passato, ma per preservare il futuro delle contrade che amiamo”.

Lesti, i signori delle libere genti si inchinarono e Gil-Galad prese la parola: “Grati sono i nostri animi, o possente fra gli Onodrim, per quanto tu e la tua gente avete compiuto per la salvezza dei liberi popoli; non vi è alcuna parola, in nessuna lingua, per esprimere adeguatamente la riconoscenza per quanto i vostri possenti corpi hanno condotto a termine; senza la vostra azione, infatti, le genti di Gondor non avrebbero avuto alcuna dimora nella quale rifugiarsi durante il rigido inverno e l’afosa estate”.

Divertito parve l’Ent ed i suoi compagni risero cortesemente: “Hum, suvvia, re dei Noldor! Non è per ricevere gentili ringraziamenti da parte tua che abbandonammo i boschi a nord, bensì per sostenere la causa dei reggenti di Arda e di colui che è sopra essi; quanto a ciò che accadde nel fresco Ithilien, sappi che non costò al mio popolo alcuna fatica, ché gli orchi erano terrorizzati dalla nostra presenza, sebbene la stessa cosa possa dirsi riguardo ad alcuni delle vostre stirpi!”

Rise ancora e la sua letizia fu come un fremito del vento di primavera tra i suoi fronzuti rami; infine si arrestò e prese nuovamente a parlare, questa volta con tono curioso: “Gli uccelli del cielo hanno sussurrato alle mie orecchie che quivi sarebbe un capitano fra gli uomini, quali i miei occhi mirarono anni or sono; dov’è dunque Erfea, figlio di Gilnar, che voi chiamate Morluin?”

Messaggeri furono inviati alla ricerca del Sovrintendente di Gondor, ché nessuno sapeva dove egli fosse in quell’ora: non fu necessario, tuttavia, attendere a lungo, ché un cavaliere si approssimò alle massicce figure degli Onodrim e, sceso dal suo destriero, si inchinò dinanzi a loro:

“Ben m’avvedo di essere in ritardo, Signore fra i Pastori degli alberi, tuttavia non ti domando perdono, ché altri servigi hanno reso le mie braccia mentre tu discorrevi con i principi delle libere genti, e la pugna è prossima ad iniziarsi”.

Divertito l’osservò l’Ent, infine, chinato graziosamente il possente capo, lo salutò a sua volta: “Non desidero le tue scuse, ché rapida fugge via la tua esistenza, Numenoreano e molte sono le azioni che desideri ancora compiere nella Terra di Mezzo. Lieto sono nel discorrere con te, Erfea Morluin, ché lunghi anni trascorsero dal nostro ultimo incontro e, sebbene il peso degli inverni gravi sulle tue spalle ancora forti, sappi tuttavia che prossimo è il momento in cui riporrai il fardello e il dolore fuggirà via dalle tue membra”.

“Pure, Fangorn, tale ora è ancora distante, né vi è meraviglia nei miei occhi per quanto le tue parole hanno rivelato, ché si dice che il tempo scorra diversamente per i mortali e per quanti calcano queste contrade da epoche remote e che nessuno fra noi Secondogeniti ricorda”.

Sospirò l’Ent e le foglie che ne adornavano il capo furono scosse da una leggera brezza: “Invero, sagge sono le tue parole, ché troppo spesso oblio quanto appresi su coloro la cui sorte non è vincolata al destino di Arda; tuttavia, poiché altre faccende richiedono la mia presenza, vi porgo i miei saluti, rimembrando a ciascuno dei presenti quanto incomprensibili siano i voleri del fato, sicché non convenga affannarsi alla ricerca della comprensione di un sapere quale è pericoloso per i figli di Iluvatar ottenere”.

Rapidi si mossero gli Ent, sparendo nella bruma della notte; incredulo in volto, così parlò allora Aldor: “Pastori degli alberi! Mai avrei creduto che nel corso della mia esistenza avrei mirato le creature di Yavanna, le cui vicende sono note al mio popolo solo attraverso antichi poemi cantati nelle fredde notti di inverno. Benedetti siano questi giorni, ché, se molto è stato perduto e nuovi lutti subiranno le libere genti del mondo, pure è di grande conforto sapere che gli dei non hanno obliato i figli di Iluvatar che dimorano nelle vaste contrade di Endor”.

Rispose Glorfindel: “Rallegrati, dunque, figlio del Nord, ché oggi hai assistito ad un prodigio quale mai gli Eldar hanno scorto sin da che il Beleriand fu sommerso dai flutti del Grande Mare: gli Onodrim, i Pastori degli Alberi, sono infatti giunti in tali remote contrade per contrastare le schiere del Maia caduto e dei suoi servi”.

Annuì l’Eothraim, né egli era l’unico ad aver scorto quelle creature per la prima volta: “Molto si parla nelle leggende del mio popolo dei Pastori degli alberi, sebbene le vicende in cui siano implicati non costituiscano motivo d’orgoglio per la stirpe di Nogrod. – interloquì Groin, figlio di Bòr – Quali altre meraviglie scorgeranno dunque i miei occhi in questi giorni ricolmi di terrore ed incanto?”

Lungimiranti furono allora le parole che Cirdan pronunciò: “Il mattino recherà seco eventi quali i miei occhi, che pure sono molto anziani, non miravano dal giorno in cui Morgoth fu abbattuto ed Endor liberata dalla sua malvagia influenza, seppure per breve tempo”».

Note

[1] Erano, costoro, i più anziani fra gli Onodrim: Fangorn, Finglas e Fladrif erano i loro nomi nella lingua degli elfi grigi e Barbalbero, Ciuffofoglio e Scorzapelle nelle favelle degli uomini del nord.

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Care lettrici, cari lettori,
con questo articolo siamo ormai prossimi al momento cruciale della narrazione, ossia alla battaglia finale tra gli Eserciti dell’Ultima Alleanza e le forze dell’Oscuro Signore. L’arrivo di Thranduil e dei superstiti delle sue schiere ridà slancio alle armate dei Popoli Liberi, convinte ormai che lo scontro sia inevitabile e che per questa ragione sia necessario approntare un piano di battaglia perfetto e forse non del tutto ortodosso, come avrete modo di leggere in questo articolo…

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«Sospirò Gil-Galad, ché ora comprendeva quali eventi si sarebbero presto scatenati e rimpianse ancora una volta di non aver saputo impedire ad Oropher e ad Amdìr di prendere le armi contro Sauron sì avventatamente. Elendil, tuttavia, comprese i suoi pensieri, sicché gli parlò per rincuorarlo: “Nello sguardo di Amdìr noi tutti leggemmo la morte ed egli ne era consapevole; non rimpiangere chi, o re, ha compiuto il suo destino soddisfacendo il suo volere, fosse questo folle o meno”.

“Pure, sovrano dei Dunedain, il mio cuore versa lacrime amare, ché non solo quelli che caddero dinanzi alle porte di Mordor, ma anche i nostri destini la vanagloria di Oropher ha condotto a tale destino infausto; se anche alcuni fra loro fossero riusciti, infatti, ad avere salva la vita, pure saremo costretti a modificare ogni nostra strategia, avendo subito gravi ferite ancor prima che l’assedio avesse inizio”.

“Non perdere ogni speranza, mio signore – interloquì allora Elrond, saggio fra gli Eldar quanto fra gli Edain – ché, sebbene il Nazgul non mentisse, i destini ultimi di coloro che intraprendono azioni avventate sono sconosciuti ai figli di Iluvatar così come a coloro che ne contrastano i voleri; se è vero – e questo temo che nessuno fra noi potrebbe negarlo – che in codesta sacca siano contenute le spoglie mortali di Oropher, pure nessuna notizia è ancora giunta di Thranduil o di Amdìr ed è possibile che essi siano scampati al massacro e che possano presto far ritorno ai nostri accampamenti”.

Tali furono le parole che il figlio di Earendil pronunziò in quell’ora oscura, né alcuno gli ripose, ché essi condividevano le medesime paure dell’Alto re dei Noldor e si dolevano per non esser riusciti ad impedire al folle Sindar di desistere dai suoi folli intenti.

Fredda trascorse la notte e cupi furono i sogni dei condottieri dell’Alleanza; pure, il mattino giunse foriero di buone novelle, ché essi furono destati da alte grida di giubilo e corsero fuori dall’accampamento, ansiosi di apprendere quanto stava accadendo. Un elfo era innanzi a loro, simile, eppur dissimile a quello che, alcuni giorni prima, aveva pronunziato parole ostili nei confronti di quanti avevano, saggiamente e vanamente, tentato di contrastare il folle progetto del padre; ammaccata era la sua armatura e bende rosse ornavano le ferite che egli non aveva tema di mostrare; pure, chino divenne il suo capo, allorché Gil-Galad gli si approssimò e colme di vergogna erano le sue parole:

“Re dei Noldor, gli eventi di recente accaduti mi hanno mostrato come sia superiore fra quanti professano di aver appreso l’arte del comando colui che è in grado di condurre le proprie schiere alla vittoria senza nulla cedere al nemico; inferiore a questi, se pur di poco, è chi sia ben disposto ad obbedire al saggio e lungimirante consigliere: infimo è infine colui che si vanta di essere glorioso comandante ancor prima che la pugna ne abbia rivelato il suo valore e che non si mostri favorevole ad accettare nel suo cuore la saggezza che altri posseggono. Cieco è stato il mio animo, ché esso non si è avveduto che Iluvatar non l’ha dotato di sufficiente lungimiranza per condurre i propri soldati alla vittoria; tuttavia, poiché non si dica che la mia mente oblii quanto i miei occhi hanno scorto, pure io desidero rimettere il mio destino nelle mani dell’Alto Re degli Eldar in esilio, perché egli abbia pietà di me e possa insegnarmi l’arte del comando.”

Piacquero al figlio di Fingon le parole che Thranduil gli aveva rivolto, sicché, sollevato il capo che costui teneva chino, così gli rispose: “Re degli elfi di Bosco Verde il Grande, hai testé dichiarato, innanzi ai Capitani dell’Alleanza, quanto orrore provi il tuo animo per gli infausti gesti che compisti alcuni giorni fa, né io proclamerò l’autorità presso la tua gente decaduta, ché invero il mio cuore mi dice che grande saggezza acquisirai dal ricordo di quanto accaduto ed i tuoi giorni saranno lieti e gloriosi. Vendichiamo ora la sconfitta dei tuoi padri e più regnino le discordie tra coloro che seguono un’unica causa!”

Lieto divenne allora il viso di Thranduil ed egli si riappacificò con quanti le sue parole avevano offeso; leste, le schiere corsero ad armarsi, consapevoli che era giunta l’ora del confronto ed esse non avrebbero atteso che il Nemico piombasse sui loro accampamenti, trucidandoli mentre erano immersi in un sonno inquieto. Un’ultima riunione si tenne allora fra i Capitani dell’Alleanza e Gil-Galad rivolse loro la parola: “Signori dei Popoli Liberi, prima che la spada e la lancia prendano il posto delle parole, lasciate che io vi metta in guardia contro le schiere di Mordor; temo, infatti, che l’oscuro comandante delle truppe di Sauron sia ancora colui che un tempo alcuni fra noi combatterono ad Osgiliath ed egli è invero uno spirito d’odio e astuzia intriso”

Rapidi, allora, gli sguardi si volsero verso colui che per ben due volte aveva osato affrontare il Signore dei Nazgul ed essi lo videro ergersi silenzioso accanto al suo signore, Anarion figlio di Elendil; nessuna parola pronunciò il figlio di Gilnar, ma Bòr della stirpe di Durin, che gli era accanto, notò un severo brillio negli occhi del Dunadan e comprese che l’antico vigore non era svanito dalle membra del Sovrintendente di Gondor ed egli avrebbe combattuto valorosamente; saggezza e lungimiranza si erano accresciute in lui nel corso degli anni ed i nemici sarebbero fuggiti innanzi alla sua gelida lama. Sorrise allora il capitano dei Naugrim ed Erfea annuì lentamente con il capo, quasi che avesse scorto ogni pensiero del nano; infine si levò e prese la parola:

“I nostri esploratori riferiscono che le schiere di Sauron sono state suddivise in due armate; la prima, composta da circa quattrocentomila soldati, è accampata presso i Cancelli Neri ed ivi attende, paziente, agli ordini degli Ulairi; nessuno fra noi, neppure Thranduil, le cui schiere si sono spinte fino ai recessi montuosi degli Ered Lithui e degli Ephel Duath, è in grado di asserire con certezza chi sia il capitano di tale armata; eppure, se il mio cuore non mi inganna e i miei occhi non sono divenuti ciechi dinanzi ai propositi dell’Avversario, oserei dire che il Signore dei Nazgul sarà colui che dovremo affrontare e temere sopra ogni altro nemico, ad eccezione del Padrone della Terra Nera. Ad occidente, invece, una seconda armata – inferiore di numero rispetto alla prima – attende dinanzi alla bella città di Minas Ithil che un tempo il nemico conquistò e diede alle fiamme, come voi ricorderete; meno di centomila soldati presidiano il varco di Cirith Ungol ove vi aggirano creature infami e di cui più nessuno ricorda il nome. Sebbene il pericolo prema sui nostri destini da entrambi i fronti, pure mi sembra che quello a sud sia minore; infatti la guarnigione di Minas Ithil è stata rinforzata da ventimila soldati provenienti dai feudi meridionali ed essi sono comandati dai figli maggiori di Isildur: coloro che servono il Maia Caduto, non oseranno muovere attacchi alla Città della Luna, sapendo che a nord vi sono ancora duecentomila guerrieri da affrontare e che essi sono ora uniti da un medesimo intento.

Qui, ove ora discorriamo ancora ignari di quanto accadrà nel campo di battaglia, saranno decise le sorti della Terra di Mezza e sapremo se coloro che verranno dopo di noi conosceranno la schiavitù ignominiosa oppure godranno del dolce nettare della libertà. Qui, alle porte di Mordor, si combatterà la più grande fra le pugne che il sole e la luna abbiano mai scorto dacché Morgoth fu abbattuto dal suo oscuro trono ed i Signori degli Eldar credettero che i suoi servi fossero stati per sempre allontanati dai nostri lidi. Qui, le nostre stirpi conosceranno la gloria o il disonore”.

“Sagge sono le tue parole, Numenoreano – interloquì Herìm, signore degli Orientali –  ed i nostri animi sono ansiosi di scontrarsi con le schiere di Mordor; pure, se tale sarà il nostro destino, sarà bene che si raggiunga fra noi un accordo su quali posizioni occupare con le nostre armate allorché saremo di fronte ai servi di Mordor. Quali sono, dunque, gli intenti dei Dunedain e degli Eldar?”

“In verità, Herìm, erede di Bor, quanto tu affermi è saggio, ché i nostri nemici non sono ignari dell’arte del comando e, sebbene i loro sottoposti siano schiavi e non già uomini liberi, pure i loro intenti sono ormai palesi ed essi vengono crudelmente aizzati dalle fruste del Signore di Mordor – gli rispose Gil-Galad, svolgendo sotto gli occhi di tutti i presenti una pergamena che raffigurava la terra dell’Oscuro Signore – Le nostre compagnie di fanti si schiereranno innanzi ai Cancelli Neri, mentre la cavalleria si disporrà alle ali per contrastare Haradrim ed Esterling; allorché gli Orchi retrocederanno, i cavalieri del tuo popolo, del Lindon e del Rhovanion caricheranno e impediranno alle creature della Tenebra di ripiegare a Mordor, sterminandoli”.

Perplessi erano tuttavia alcuni fra i Capitani dell’Occidente ed essi, dopo aver riflettuto per alcuni attimi, espressero i loro dubbi; primo fra tutti, parlò Erfea: “Mio signore, tale schieramento risulterebbe efficace se dinanzi a noi avessimo da affrontare solo Orchi privi di capitani di grande esperienza; così non è tuttavia, e invero vana risulterebbe ogni nostra difesa allorché gli Ulairi ordinassero le schiere di Mordor secondo l’uso dei nostri padri, ché essi, ahimè, hanno appreso nel corso dei secoli. Se il Re degli Spettri schierasse i Numenoreani Neri alla retroguardia – ché io temo essere questi i suoi intendimenti – le nostre forze, posto che avrebbero la forza di sconfiggerne l’avanguardia, si troverebbero dinanzi al muro di scudi e di lance dei seguaci di colui che un tempo sottrasse con l’inganno il trono di Elenna alla sua legittima sovrana: come potrebbero dunque opporsi i nostri soldati, molti dei quali provengono dai campi e dalle botteghe, ad un simile nemico? Lesti, i veterani dell’Oscuro Signore respingerebbero i guerrieri dell’Alleanza ed essi retrocederebbero a costo di grandi perdite; posto che essi riuscissero a radunarsi nuovamente, sarebbero infine circondati dai mumakil che solitamente Indur o i suoi capitani schierano all’ala sinistra e contro i quali i nostri cavalieri, seppure fieri nell’animo e nei propositi, non sarebbero in grado di opporre una valida resistenza”.

“All’ala destra – interloquì lesto Aldor, Signore dei Cavalli – sono schierati cavalieri dell’Harad e carrieri del Rhovanion; se vi fosse uno scontro frontale tra la nostra cavalleria e quella del nemico, è possibile che le mie schiere e quelle di Herìm abbiano la meglio, tuttavia esse sarebbero sempre costrette a retrocedere dinanzi ai mostruosi troll di Mordor, ché i destrieri del Nord, infatti, non ne tollererebbero il fetido odore e sarebbero perciò sconfitti”.

“Non vi sono solo i troll, Signore degli Eothraim, che renderebbero vana ogni carica sull’ala destra – fece notare Thranduil – ché i segugi di Dwar potrebbero assalire i cavalli ancor prima che essi giungano a scontrarsi con i nostri avversari”.

Un silenzio gravido d’attesa cadde allora nella sala e parve a tutti, finanche a coloro che avevano inizialmente sostenuto la proposta di Gil-Galad, che il Nemico non avrebbe potuto essere sconfitto per mezzo delle strategia tradizionali. Rassegnato, allora, il Re dei Noldor si levò in piedi e, ottenuta l’attenzione di quanti erano presenti, parlò in tali termini:

“Se ho ben compreso quanto i Signori degli Uomini hanno testé riferito dinanzi a tale concilio, non vi è speme di ottenere la vittoria contro le schiere di Sauron seguendo le mie indicazioni. Vi è dunque un capitano, fra quanti giurarono ad Orthanc, che voglia adottare una strategia differente? Tiranno è ormai il tempo a nostra destinazione e celere deve essere il suo discorso, sì da poter schierare le truppe senza che esse siano colte di sorpresa dagli eserciti di Mordor”.

A lungo il figlio di Fingon posò il suo sguardo su quello di Erfea, memore di quanto il principe dell’Hyarrostar aveva rivelato alle sue orecchie alcune settimane prima; infine, conscio delle proprie responsabilità dinanzi al Consiglio di Guerra, Elendil si scosse e, levatosi in piedi, parlò:

“Mio signore, se il mio animo non fosse provato dal dolore di questi tempi infausti, udiresti un riso amaro levarsi dalle mie labbra, ché i mali del passato pesano sugli eventi del presente; a lungo, infatti, gli esuli di Numenor hanno creduto che Sauron fosse scomparso da Endor e che il suo oscuro sembiante fosse stato travolto dalla furia di Iluvatar, sicché egli non avrebbe mai più condotto le sue schiere in battaglia. Sette anni fa, tuttavia, ci avvedemmo che tale nostra speme era andata smarrita, come la patria alla quale ancora oggi ci appelliamo, e che il maggior servo di Morgoth era sopravvissuto ad Atalante. Inquieti divennero allora i nostri cuori ed essi presero a mormorare le paure che i Secondogeniti temono sovra ogni cosa: eppure, Re dei Noldor, e voi principi di Endor, se il fato ci è stato benevolo in quell’occasione, non sarebbe ora sciocco dover rinunziare a quanto le nostre mani hanno realizzato e temere le nostre indecisioni più del Nemico stesso?”

Penosi, gli sguardi di ciascuno presero a cercare conforto l’uno nell’altro, ed i loro pensieri andarono ove la malizia della Tenebra non poteva giungere e per qualche istante parve di udire solo l’eco di lontani ricordi; infine, poiché si avvide che l’ora era tarda e nessun accordo era stato raggiunto, così esortò i capitani dell’Alleanza Groin Corpodipietra, figlio di Bòr e Signore del popolo di Durin:

“Vi sarà un tempo per commemorare quanto perdemmo e per dolerci dei morti, tuttavia, esso non è ancora giunto e forse mai giungerà, ché scorgo distanti le vostre menti. Bene hanno parlato coloro che mi hanno preceduto, né sarò io a negare ogni loro affermazione; pure, mi sembra che esse abbiano impedito ai nostri animi di prendere quella decisione che a lungo abbiamo ritardato”.

Scosso da tali saggi avvertimenti, Isildur, figlio di Elendil, si levò dal suo scranno e parlò: “Veritiere sono le tue parole, Groin, ché non vi è più tempo per esitare. Tale sarà dunque la mia proposta ed essa verrà messa ai voti, ché io non mi ritengo il sovrano di Endor e non desidero imporre la mia volontà su quelle altrui”.

Annuirono quanti erano con il Signore di Gondor e presero a discutere quanto le sue parole rivelavano ai loro orecchi: a lungo si protrasse il concilio, ché, nonostante la celerità mostrata da ciascuno, pure vi erano questioni impellenti e che non potevano essere definite brevemente. Infine, quando ogni cosa fu pronta ed ognuno parve soddisfatto dell’accordo raggiunto, Gil-Galad diede ordine al suo araldo, Elrond di Rivendell, di suonare nell’olifante appartenuto al padre Fingon e di riunire le schiere all’aperto».

[L’immagine in copertina è tratta dall’Atlante della Terra di Mezzo di Karen W. Fonstad]

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Un’alleanza difficile

Gil-Galad, l’Alto re degli Elfi

Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio»

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I dedicate this short post to all my national and international followers, thanks to each of you! You have grown a lot in the last week!
I dedicate this beautiful illustration by Giulia Nasini and a small passage from my stories translated into English.

«Its beauty was similar to the clear summer night, when Ithil shines high on the white mountains of Avallone; bright was the white light of Earendil, which was born during the midsummer night, when Vingilot let his silver tears fall on the lands of mortals». Miriel, daughter of Palantir, last queen of Numenor. 

Miriel_2

Dwar a colloquio con i Signori dell’Ovest

Care lettrici, cari lettori,
in questo articolo continuo la narrazione degli eventi che condurranno alla prima caduta di Sauron e allo smarrimento dell’Unico Anello. Dopo aver sconfitto pesantemente le truppe degli Elfi Silvani e Sindar comandate da Amdir e Oropher, Dwar di Waw, il Terzo Nazgul in possanza, reca un’ambasciata ai Signori dell’Ovest per chiedere la loro resa.
La risposta…beh, potrete leggerla in questo articolo!

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

L’immagine è opera di Fabio Porfidia

«Inquieti erano gli animi dei comandanti dell’Alleanza, ché essi non avevano ricevuto alcun messaggio proveniente da Oropher, né avrebbero potuto ignorare i motivi per i quali le missive tardavano a giungere. Cinque giorni erano trascorsi dacché le sue schiere avevano abbandonato gli accampamenti invernali, allorché le vedette avvistarono un corteo di cavalieri giungere dinanzi alle porte delle loro dimore; speranzosi in volto, i condottieri dell’Alleanza si fecero loro incontro, ma tosto i loro visi furono distorti dallo disgusto e dall’odio.

Un cavaliere avanzava verso i Signori dell’Occidente, attorniato da mostruosi cani da combattimento e orchi dallo sguardo bieco; lesti, i capitani delle libere genti posero mani alle loro armi, tuttavia i loro intenti furono frustati allorché fu innalzata una bandiera bianca, segno che codesta era un’ambasciata dell’Oscuro Signore. Baldanzosa avanzava la sinistra figura sul suo nero destriero ed ella sembrava farsi beffa dei suoi nemici; sconosciuto era il suo sembiante a Gil-Galad e ad Elendil, eppure Erfea non aveva obliato quanto aveva appreso allorché, molti anni addietro, era riuscito a penetrare nella fortezza dei Nazgul, occultata nelle remote piane dell’Harad; lesto allora si approssimò al suo signore Anarion e pronunziò simili parole: “Egli è Dwar di Waw, Terzo in Possanza fra gli Ulairi; Signore dei Cani lo chiamano i suoi accoliti ed i segugi che lo circondano ringhiando sommessamente sono la sua laida prole”. Annuì lentamente il figlio minore di Elendil, ché mai aveva mirato uno degli Spettri dell’anello ed invero possente era quel giorno la figura del Comandante dell’armata di Udun, sicché egli incuteva timore in quanti lo miravano.

A lungo l’unico suono che si udì fu il sommesso latrare dei segugi del Nazgul, infine, costui, rivelando apertamente il suo disprezzo per i suoi interlocutori, posò uno sguardo terribile a sostenersi su ognuno di loro e parlò:

“Costoro sarebbero dunque gli sfidanti del mio glorioso signore? Chiunque, osservando i loro cenciosi stracci elfici e i loro miserevoli usberghi di maglia potrebbe credere che essi non siano altro che dei ladri appropriatisi delle ricchezze lasciate incustodite da qualche ricco e sciocco signore! Ben m’avvedo come nei vostri sguardi si celi la volontà di trucidare me e quanti compongono il mio seguito, sicché la vostra codardia possa sembrare inferiore e la gente possa dire, stupefatta, che essi hanno sconfitto uno fra i capitani di Sauron il Dominatore della Terra di Mezzo; ebbene, io non mi opporrò certo, se codesta sarà la vostra volontà! Trucidateci pure, ché non rechiamo armi con noi; eppure, sopravverrebbe in voi terribile vergogna, se tale desiderio fosse realizzato, ché conosco bene le vostre leggi ed esse vietano di levare le armi verso coloro che, disarmati, giungono innanzi alle dimore dei Signori dell’Occidente”.

Rise, ed orribile fu ad udirsi tale suono, sicché molti, all’interno degli accampamenti, si coprirono le orecchie con le mani, desiderando che gli stranieri tosto si allontanassero; pure, i cuori dei comandanti dell’Alleanza non vennero meno ed essi non tremarono dinanzi al servo di Mordor. Erfea prese dunque la parola e tale fu la sua risposta al crudele spettro:

“Alcuni fra noi, Dwar di Waw, potrebbero affermare che la parola sia di per sé un’arma temibile, ché essa scuote gli animi di coloro che le prestano ascolto; nulla hai tuttavia da temere dalle nostre persone, sin quando la bandiera bianca del tuo schiavo resterà ritta, ché nessuno dei tuoi falsi pensieri ha corrotto il nostro cuore, né la parola di uno degli schiavi di Sauron è temuta in tale luogo! Parla, dunque, se tale desio soddisfa la tua sconcia volontà; sappi tuttavia che non vi sarà alcun tuo gesto o affermazione che possa costringere i voleri di quanti ti contrastano a venire meno al giuramento stretto due anni or sono!”

Lesto si posò lo sguardo del Nazgul sul Sovrintendente di Gondor e parve a tutti che sul suo volto si leggesse incredulità e timore; infine egli rise nuovamente e ostentò il suo disprezzo per colui che aveva parlato:

“Sei dunque tu il portavoce di questi folli, Morluin? Non credere che io sia sorpreso, ché l’eco delle tue stolte azioni è giunto sino a Barad-Dur ed esse non costituiscono per me motivo di meraviglia”.

“Se tale è il tuo parere, servo di Sauron, per quale motivo hai abbandonato la fortezza del tuo padrone? Non dubito che tu sia giunto in tale luogo per compiere qualche azione abietta, eppure non vedo cosa possa chiedere a coloro che hanno giurato di sterminare tutte le armate di Mordor”.

Rise ancora una volta il Signore dei Cani, e sul suo volto era visibile soddisfazione, quasi che avesse desiderato ardentemente che gli fosse rivolto un tale quesito; infine rispose e lo stridio della sua lugubre voce fu udito in tutto l’accampamento:

“Domandare? Molta pazienza il mio glorioso signore ha dimostrato, accogliendovi, armati, nella sua dimora, eppure vi sono stati alcuni fra voi che hanno insudiciato la sua contrada, osando condurre la guerra sino alle sue porte. Egli, tuttavia, è invero uno spirito lungimirante e magnanimo, né gradirebbe che le cenciose schiere di coloro che chiamano sé stessi Signori dell’Occidente possano trovare una indegna morte per mano di coloro che non furono saggi a sufficienza da comprenderne gli scopi.
No, figlio di Gilnar, il Re del mondo non ha nulla da domandare a coloro che impunemente lo contrastano; sì grande è stata tuttavia l’offesa che egli ha subito, ché io sono stato inviato presso di voi per mostrare cosa accade a chi commette azioni malvagie”.

Attoniti, i condottieri dell’alleanza lo videro scagliare un triste fardello nella cupa notte e ascoltarono parole di odio e sarcasmo intrise: “Se l’ospite incauto oblia cortesia e onore, riceverà un trattamento adeguato alla sua scelleratezza”.

Lesto gli rispose tuttavia Erfea:  “Se il tuo signore spoglia l’ospite di ogni suo bene, sappia allora che la sua ingordigia si dimostra maggiore della sventura che colpisce chi, per sorte o per follia, calpesta le sue oscure contrade”.

“Non sprecare parole con il Nazgul, numenoreano! Sauron non mi ha condotto innanzi a voi per mostrarvi quanto sia grande il suo potere, ché qualunque brigante proveniente dalle vostre contrade potrebbe consegnare la testa del proprio nemico vinto a coloro che ne compiangerebbero il triste fato! Il Signore di Endor desidera che i vostri occhi possano, invece, scorgere quanto grande sia la sua pietà, ché se non siete stati ancora trucidati lo dovete solo alla sua infinita pazienza; ritirate dunque i vostri eserciti e non una freccia, né una lancia si leveranno contro le vostre carni; rifiutate e nessuno fra voi scorgerà sorgere la luna nel prossimo plenilunio!”

Crudele fu il riso di Dwar e cupi i latrati delle sue fiere; tosto, allora, egli si allontanò, avendo soddisfatto la missione che il suo signore gli aveva comandato; non aveva, però, percorso che pochi passi, allorché una lancia vibrò alle sue spalle, andando a conficcarsi nell’asta che il suo bieco accolito reggeva nella grinfia. Stupefatto, egli si voltò e ascoltò la chiara voce di Aldor Roch-Thalion librarsi nell’aree: “Riferisci al tuo padrone, schiavo di Mordor, ché gli eserciti dell’Alleanza si ritireranno solo quando la sua oscura torre sarà rasa al suolo ed egli avrà trovato un destino di morte. Sei ancora un ambasciatore e non posso trafiggerti con la mia lama: valga perciò come monito per coloro che sostengono la tua bieca causa quanto il mio poderoso braccio ha compiuto innanzi a te. Allontanati dunque, e non darti pena di estrarre il mio giavellotto dall’asta del tuo servo, ché sarà mia premura recuperarlo di persona!”

Furente, Dwar si voltò e pronunziò tali parole di commiato: “E sia! Se i vostri voleri guerrafondai desiderano la pugna, allora soddisferemo i vostri insani desideri!” e lanciata una maledizione nella lingua degli schiavi di Mordor, si lanciò alla carica, seguito dai suoi accoliti».

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Dwar di Waw, il Terzo, il Signore dei Cani

Il Ciclo del Marinaio