Ariel. Daughter of Aran, Lady of the Amazons, descendants of those women who had found refuge, at the end of the First Era, in the woods of the Rast Vorn peninsula. She rushed to Osgiliath’s defense and heroically fell, slaying the great dragon Ando-Anca that threatened the city. She appears in the tale: The Sailor and the Witch King.
Care lettrici, cari lettori, continuo in questo articolo la narrazione delle versioni precedenti de «Il Ciclo del Marinaio», nelle quali, come vi ho raccontato in precedenza, non erano ancora inclusi personaggi che, al contrario, avrebbero avuto una grande importanza nelle storie più recenti, come ad esempio Miriel. Nel «Lai (vale a dire “il lamento”) della perdita», Erfea, dopo un naufragio, riesce a raggiungere a stento la città elfica di Edhellond, dove conosce Elwen la mezzelfa e Morwin, rispettivamente l’amata e l’antagonista di questi primi racconti. Potrete leggere qui la versione successiva di questo racconto: I dubbi di una scelta difficile: Elwen, Morwin ed Erfea e divertirvi a fare un confronto fra le due versioni: per il momento, vi lascio con il testo introduttivo al «Lai della perdita», che spiega alcuni dettagli interessanti altrove mai raccontati e con le prime strofe del poema.
Buona lettura, aspetto i vostri commenti!
«Questo racconto è il secondo dell’intera opera e un prezioso indicatore per la storia della Terra di Mezzo. Innanzitutto, anche se nel testo non viene chiaramente esplicitato, Erfea non si ritrovò casualmente ad Edhellond: la sua nave, infatti, era stata sabotata al largo delle foci dell’Anduin e solo grazie alla sua forza era riuscito ad approdare sulla terraferma, dove aveva conosciuto gli Elfi che ivi dimoravano. Tuttavia era logico aspettarsi che passasse qualche tempo prima che Erfea fosse invitato ai banchetti dei nobili del luogo; probabilmente fino ad allora era stato ospite di pastori silvani, che poi avevano comunicato al loro signore Morwin la venuta di quell’uomo dall’Ovesturia. A proposito dell’odio dimostrato da Morwin nei confronti degli Uomini, significativa è stata in tal merito una nota ritrovata al margine di uno dei fogli, scritta da Erfea in persona: «Egli era uno dei discendenti di Fingolfin, sebbene non erede diretto: fin da piccolo in lui si era radicato profondamente l’odio verso i mortali, a causa del tradimento perpetuato da questi nella Battaglia delle Innumerevoli Lacrime (alla quale, tuttavia, i miei avi non avevano preso parte, continuando a servire i signori degli Eldar), il cui esito infausto aveva poi spinto Fingolfin ad affrontare Morgoth in duello per vendicare l’onore perduto degli elfi, trovandovi infine la morte». A tal proposito, va anche detto che Erfea e Morwin si dovevano essere conosciuti già da qualche tempo, cosa che tutto plausabile perché dimostrerebbe la familiarità che aveva Erfea – principe di Numenor e di alto lignaggio – con i nobili di Edhellond. Riguardo Elwen la mezzelfa, il discorso è invece più complesso, non solo a causa delle molteplici versioni che del personaggio ci sono state tramandate, ma anche e soprattutto per l’evoluzione che questo subisce. Nei primi codici ella è indicata come elfa della stirpe dei Noldor, mentre solo in seguito appare come mezzelfa dagli avi sconosciuti (anche se, a giudicare dai ritratti pervenutici, è innegabile che vi fosse un’ascendenza Noldor). Tutto ciò non è sufficiente però a dimostrare che effettivamente vi fosse stato un legame con Morwin, anche se i due non appaiono sicuramente estranei. È probabile che Elwen, all’epoca ancora giovane secondo gli standard elfici, abbia rifiutato l’amore di Erfea a causa della sua posizione divenuta pericolosa, nonché per un suo intrinseco desiderio di immortalità, che solo il matrimonio con Morwin le avrebbe concesso di realizzare. Perduto è poi anche il racconto in cui ella mutava sentimenti e decideva di rivolgere il suo cuore ad Erfea, così come nulla si sa circa i viaggi di Erfea fino al momento di ritornare ad Edhellond».
«Giovani erano le stelle e nel cielo si affacciavano sorelle ammiccando fra loro splendevano più dell’oro quand’ecco di gran carriera giungere il prode Erfea.
Veloce il suo passo e alto il portamento della stirpe di Sauron il tormento ché ad Occidente dimora aveva da Numenor tosto giungeva nella Terra di Mezzo splendente per ammirare l’antica gente.
Poi bussò ad una porta ed ecco di voce nobile la risposta: «Benvenuto sotto il mio tetto» e così dicendo gli fu aperto ma entrando di gran passo ahimé, non fece caso al suo misfatto.
Ché il suo saluto educato volse a principi e principesse volti da lungo conosciuti gli parevano ormai vetusti ma ecco il suo cuore gli ordinò: «Voltati, o presto morirò».
Care lettrici, cari lettori, rincuorato dai vostri messaggi di supporto che mi avete espresso a margine dell’articolo Questioni aperte…, da questa settimana passerò a pubblicare il primo dei racconti in versi che costituivano, per così dire, la versione «alfa» del Ciclo del Marinaio. Potete leggere la versione «beta» qui: La caduta di Numenor e divertirvi a fare un confronto. È con un certo affetto ed emozione, non lo nascondo, che trascrivo queste parole e questi versi che risalgono all’ormai lontano 2001…
Buona lettura!
Nota alla Caduta
Questo testo è uno dei più antichi e pertanto ho ritenuto che dovesse essere il primo a dover figurare nella raccolta dei racconti della Terra di Mezzo. In questa versione appare palese il ruolo svolto da Erfea Morluin: egli è il capitano di una o più navi, numenoreane naturalmente, e di conseguenza la sua è una posizione tutta di prestigio. Questo episodio è sicuramente antecedente agli altri, nonché all’incontro con Elwen perché si evince benissimo che qui Ar-Pharazon non sia ancora presente. In caso contrario, infatti, non avrebbe concesso il permesso ad Erfea di sbarcare nella Terra di Mezzo: è logico ritenere dunque che nel momento in cui si svolge il racconto il sovrano fosse ancora Tar-Palantir, il previdente, colui che aveva tentato di riunire ancora una volta Elfi ed Uomini. Con tutta probabilità fu il suo successore Ar-Pharazon ad esiliarlo in seguito al rifiuto di Erfea di comandare la flotta imperiale, che come ben prevedeva, avrebbe presto mossa guerra ai Valar.
Dai Racconti della Terra di Mezzo – La Caduta
«Ancora non vi era sentore di lotte ed Erfea viaggiava stanco nella notte. L’oscurità premeva sui vascelli e poco mancò che non divenner fuscelli combattendo tra onde e avversi venti videro infine l’aurora e ne furon contenti salutando il sole senza timore ché giunti eran a Numenore
Canti al di là del mare ascoltarono e tristi gli uomini si rincuorarono spingendosi innanzi con rinnovato ardore furono accolti da grande stupore ché la Terra di Mezzo avean lontana dai porti al di là dell’Ocean pari all’oro il suo splendore ma oscurata, ahimè, da triste dolore.
Di Orchi e Troll era la magione ridotta – ahimé – ad amara prigione dopo il peregrinar Erfea giungeva per dare notizia di quanto accadeva inorridito a lungo da tale aggressione solo un attimo durò l’indecisione ché alzati spada e scudo l’Oscurità per anni mise in ignudo
Spade udimmo risuonare rosse le lame al tramontare bianche al sorgere della luna combatterono senza remora alcuna gravi i loro sguardi e saggi i portamenti ché di Luthien e Beren eran discendenti sulle ali tempestose arrivarono e la speranza nei cuori ridestarono
Ma superbia e angoscia gli animi oscurarono e infine dell’Ombra succubi diventarono ché i Nove Anelli già forgiati alla rovina condussero Elenna e i suoi nati Dolore e sconforto gli Uomini conobbero l’un contro l’altro si rivolsero e di questo Sauron era artefice ché odiava Erfea e la sua specie
D’un tratto non fu più giorno ma Oscurità cadde tutt’intorno su alti palazzi e bianche mura si rovesciarono nubi di sventura penoso è dir quanto dolore sconvolse l’amata Numenore ché torri e navi rovinarono mentre alti lamenti si alzarono
Tempo passò dal cataclisma amara mai eguagliato da altro evento raro onde grigie sulle sponde amare dei Mortali ricordano il peregrinare ma ancora traccia vi è degli eletti raminghi sui colli a loro diletti osservano il crepuscolo senza domandare dove fosse Numenor e l’origine del mare».
“Touch this Man and your blade will have to be stained with a double crime!”; so beautiful the sovereign of Numenor appeared, despite the wound on her head darkening the warm light of her hair, that even the Black Numenorean stopped her blade, seized by doubt and remorse; then, gripping Sulring – who, fortunately, was lying not far from me – I shook a single upward blow with desperation, while with the injured limb I pushed Tar-Miriel away from the Black Numenorean. Eargon backed off, astonished, and touched himself the wounded chest; then he looked at the great carnage that was going on in the lower room and his gaze expressed despair mixed with repentance”.
Care lettrici, cari lettori, in queste settimane – anche se molto a rilento – proseguo nella scrittura del racconto «La Rosa e il Ragno», dedicato all’adolescenza di due personaggi fondamentali del Ciclo del Marinaio, vale a dire Miriel e suo cugino Pharazon. Contemporaneamente, tuttavia, mi sto dedicando a un altro racconto – anche se qui siamo ancora a una fase embrionale – nel quale verrà spiegato quale ruolo ebbe Miriel nell’accettare la proposta – o dovrei dire l’obbligo? – impostole da suo cugino affinché gli cedesse scettro e la sua stessa persona. Questo punto, come ho già avuto modo di scrivere in passato, è piuttosto oscuro e dolente perché mette in luce un episodio doloroso della vita di Miriel: quello che posso anticiparvi per il momento, è che si tratterà essenzialmente di un racconto femminile, nel senso che le protagoniste saranno quasi tutte donne, ad eccezione di Pharazon, naturalmente. A rendere le cose ancora più complesse, devo rivelarvi che qualche settimana fa, rimettendo ordine in casa in occasione delle festività natalizie, è saltata fuori una vecchia agenda ncontenente appunti e racconti scritti in versi, risalenti a una concezione originaria del «Ciclo del Marinaio» nella quale, come ricorderà chi ha letto questo articolo In principio era…Othello, ovvero come nacque il Ciclo del Marinaio, Miriel non era stato ancora inserita tra i protagonisti, a vantaggio di Elwen, che era allora la principale figura femminile dei miei racconti. Cosa mi consigliate di fare in proposito? Vi piacerebbe leggerli, anche se sono componimenti per certi versi superati? Attendo il vostro responso, ringrazio fin d’ora chi vorrà dire la sua!
Care lettrici, cari lettori, quest’oggi ho il grande piacere di mostrarvi l’ultima bellissima illustrazione disegnata da Livia De Simone. Il soggetto ve l’avevo anticipato qualche settimana fa, sollevando la vostra curiosità (A new character…). Adesso posso svelarvi l’identità del misterioso soggetto: si tratta della seducente e letale Adunaphel, l’incantatrice, una numenoreana corrotta da Sauron che ebbe un ruolo di rilievo nella caduta di Numenor (qui potrete rileggere la sua biografia: Adunaphel l’Incantatrice. La Settima). Per fortuna del nostro eroe, sembra che la bellissima donna fosse così simile a un suo «errore di gioventù» come si suol dire (scoprirete di chi si tratta in questo articolo: Ombre sinistre su Numenor…) da evitargli sinistre tentazioni…a volte, insomma, anche gli errori possono tornare utili!
Un saluto, alla prossima!
Ecco come appariva Adunaphel agli occhi di Ëargon, un numenoreano seguace di Pharazon.
«L’ospite, infatti, non era un uomo, come molti avevano creduto, bensì una donna di indicibile bellezza. I Principi di Numenor ed i loro servi, gente scaltra e senza alcun ritegno, al solo guardarla furono vittime della lussuria e sussurrarono tra loro commenti che qui non saranno riportati; le Signore di Andor, invece, presero subito a detestarla, perché la donna il cui sembiante era stato ora scoperto, rappresentava ai loro occhi molto di quanto avevano perso in gioventù e che sapevano fin troppo bene non avrebbero più riottenuto. Giovane era e non dimostrava avere superato la maggiore età[1], ché la sua chiara pelle era vellutata come seta e la sua capigliatura emetteva riflessi bluastri alla luce delle torce, tanto era scura. Per nulla seccata o intimorita dagli sguardi, ora lascivi, ora invidiosi che le venivano rivolti, la donna, con femminile grazia, si acconciò la chioma, leggermente scomposta a causa del lungo viaggio che aveva dovuto compiere per giungere fino a codesto luogo, e tutti ebbero modo di scorgere la sua affusolata mano carezzare dolcemente il capo; terminato che ebbe questo compito, ella rivolse i suoi azzurri occhi, sì splendenti che nessuno ne aveva mai visto un paio simili, al suo affascinato pubblico ed essi le furono soggiogati. Lentamente, l’ospite si levò nuovamente dallo scranno sul quale mollemente si era adagiata, lasciando cadere il nero mantello che l’aveva avvolta, simile ad una nube che oscura la luna nel plenilunio; un secondo mormorio colmo di stupore, ammirazione ed astio si levò, allora, ed il cuore di Ëargon fu trafitto, senza che egli potesse opporre una valida resistenza alla brama di lei che di istante in istante diveniva più forte nel suo animo. Superbamente bella, la donna si mostrava ora nella sua seducente femminilità: un lungo abito bianco le cingeva morbidamente il corpo, aderendo sui suoi seni e sui suoi fianchi, simile ad un abbraccio che un amante tenti di rivolgere all’oggetto del suo disio, mentre da una nera cinta, i cui intarsi argentati splendevano lugubri nella notte rischiarata dalla bellezza della donna, pendeva una leggera lama, la cui foggia, tuttavia, a molti parve essere simile a quelle portate dalle donne numenoreane – poche in verità – che erano esperte nell’arte della scherma e la cui elsa, ricavata da un unico frammento di ametista, risplendeva anch’essa nella notte. Un grazioso diadema era posto sul capo di colei che aveva ridotto al silenzio un uditorio che sino a pochi istanti prima era sconvolto da dispute e da rancori ed Ëargon si avvide che la medesima pietra preziosa che costituiva l’elsa della sua lama era posta al suo centro: incapace di parlare, egli non poté, tuttavia, evitare di pensare che la bellezza di codesta dama superava di gran lunga quella di qualunque altra donna avesse conosciuto, finanche di Miriel, che pure era da ogni Numenoreano considerata il fiore più grazioso che fosse mai stato concepito sull’isola sin dai tempi di Elros Tar-Minyatur. Affascinato, il figlio di Morlok osò mirarla nei suoi glaciali occhi e scorse, in un turbinare di sensi, la spietatezza dell’acciaio, la ferocia di una tigre del lontano meridione, l’intelligenza dello sparviero che sorvola le cime dei monti immersi nella bruma e la malizia della furtiva volpe che erra raminga nei campi di grano: sospirò d’amore e di desiderio e la volle per sé ed ella in verità, non fu tarda nel concedersi ai suoi desideri, sebbene, come fu chiaro in seguito, non agì seguendo il medesimo desiderio che ora si agitava furioso nel petto del Numenoreano, quanto piuttosto la sua lussuria ed il suo freddo raziocinio, ché ella era Adûnaphel l’Incantatrice, Settima fra i Nazgûl e Spadaccina di indicibile valore ed esperienza».
[1] Si ricordi che presso i Numenoreani il conseguimento della maggiore età avveniva al compimento del trentacinquesimo anno di età.
Care lettrici, cari lettori, con questo articolo concludo la narrazione della tragedia relativa alla figura di Celebrimbor, il forgiatore dei Grandi Anelli del Potere. In attesa di vederlo prossimamente sui piccoli schermi nella serie prodotta da Amazon, spero di avervi incuriosito su questo complesso personaggio, sul quale è difficile dare un giudizio morale. Questo, in fondo, è il bello dei personaggi creati da Tolkien: sono «realistici» e al loro interno Bene e Male convivono, spesso in modo drammatico, come la vicenda di Celebrimbor insegna. Dalla prossima settimana riprenderò la narrazione dei racconti di Erfea & Co. A questo proposito, mi piace concludere questo lungo ciclo di articoli svelando una piccola curiosità: il testo della tragedia che avete letto in queste settimane fu ascoltato da Erfea stesso, quando, giovanissimo, trascorse alcuni anni nella casa di Gil-Galad, l’Alto Re degli Elfi. Sarò rimasto turbato dal triste epilogo di questa storia? Chissà… Non ricordate quando è accaduto? Potete rileggere quella storia qui: L’incontro fra Erfea e Gil-galad
Buona lettura, aspetto i vostri commenti!
Narratore: Dopo la forgiatura dell’Unico Anello, Sauron chiese ai fabbri elfici che gli fossero restituiti i rimanenti Anelli, dal momento che, egli sosteneva, erano stati creati per mezzo della sua arte e dunque gli appartenevano di diritto. Al prevedibile rifiuto dei Noldor, con una rapidità impressionante, Sauron mosse dalla sua fortezza di Barad-dur e marciò con le sue armate alla volta del regno dell’Eregion, ove attaccò la città di Ost-in-Edhil.
Soldato elfico: Mio signore, le vedette hanno scorto un numeroso esercito approssimarsi alla nostra città; l’assedio è dunque prossimo ad avere inizio! Quali sono i tuoi consigli, in questa ora buia per la gente dell’Eregion? Celebrimbor (scuro in volto e accarezzando l’elsa della propria lama): Riferisci ai tuoi compagni che non vi sarà altro conforto per noi che le spade, né altro rifugio che non sia quello costituito dalle nostre cotte di maglia. Venga pure Sauron, se questo desiderio corrisponde alla sua volontà, cosicché possa osservare le sue armate vacillare ed infine tremare dinanzi alla furia dei possenti Noldor!
Narratore: Infiniti atti di valore furono compiuti dai guerrieri elfici, ma essi non potettero arrestare a lungo la furia delle schiere di Sauron: dopo giorni di estenuante battaglia, la città fu presa e gli elfi massacrati dagli orchi.
Soldato elfico: Mio Signore, Ost-in-Edhil è caduta e gli orchi presto giungeranno in queste sacre aule. Celebrimbor: Fuggi, fuggi e non voltarti indietro! Soldato elfico: Se agissi come voi mi consigliate, verrei meno al mio onore di guerriero e di elfo. Celebrimbor (sorridendo tristemente): L’unico elfo sul quale cadrà impietosa la vendetta dell’Oscuro Signore giace qui, innanzi a te. Non temere: altrove la speranza sopravvivrà, se gli elfi potranno ancora testimoniarla! Soldato elfico: Questo è il mio destriero; afferratene le briglie e conducetolo lontano, ove le stelle ed il sole vi condurranno; maggiore sarà l’ira dell’Avversario, se egli si avvedrà che il suo maggior nemico è fuggito ed ha recato seco gli oggetti del suo bieco disio. Celebrimbor: Maggiore sarebbe la mia vergogna, se dovessi abbandonare questo campo di battaglia, ove giacciono sì tanti orchi ed elfi che io più riuscirei ad identificarne i volti. Quanto a me, lascia che il mio corpo perisca in questa strage di Primogeniti, ché non si debba dire che Celebrimbor sia fuggito dinanzi a un nemico sì infame e codardo da non mostrarsi per nulla durante l’assedio. Solo in questo modo, dunque, riacquisterei l’onore perduto, ché il mio animo mostrerebbe a quanti offesi con parole poco degne del mio eloquio che Celebrimbor agì stoltamente, ma che combatté sì valorosamente e resistette ove erano i suoi gioielli, gli unici la cui luce seppe creare ad imitazione della maestà di coloro che sono al di là del mare e di colei che qui soggiornerà, fin quando il mondo non sarà mutato ed il suo destino giunto a termine.
Narratore (Girandosi in direzione degli spettatori): Voi, voi che avete udito questa sera narrare la storia di Celebrimbor, non dite che il figlio di Curufin cadde perché tradì la sua gente per vano orgoglio e per scarsa lungimiranza, ma che egli fu tradito a causa dell’infelice amore che nutrì per una bionda dama elfica: tuttavia, chi ama non è mai perduto ed il suo sacrificio non sarà mai vano.
Coro finale: Sventura colse coloro che i Grandi Anelli forgiarono Nulla è nella Natura che non debba mutare il suo corso Come le foglie nel grigio Autunno Così le fragili esistenze dei figli di Iluvatar avvizziscono Sventura sul figlio di Curufin Che la mano osò levare sul biondo oro e sul freddo diamante Sventura sul popolo dell’Eregion Che i biechi lacci del ciacciatore non seppe evitare Sventura sull’oscuro discepolo di Morgoth Ira e rancore mossero i suoi passi su vacui sentieri Ed egli qui pervenne Ché la rovina dei Noldor fosse completa.
She looked at me, without uttering a word; yet, her clear eyes seemed to ask me for forgiveness and she replied with an ancient saying, which the Numenoreans use in very serious situations: “I gave hope to the Dunedain, but I have not kept one for myself”. She was silent for a few moments, finally she sighed and took my hand so she spoke: “Would you like, then, to break the orders of your sovereign? Do not lie to me, Erfea, for I see in your gaze the doubt and fear that my words have aroused in you; and yet, if the loyalty of my commanders were to fail, I would perish and others would suffer immense suffering ”. I watched her, coldly, because, although my heart was bleeding profusely, yet I could not ignore how much her words had, in vain, tried to conceal: “You are deceived, Miriel, if you believe that our loyalty to Numenor has come less; know, however, that we will only respond to it, when the time has come and no other”. Then she dropped my hand and her soul went cold: “Go, son of Gilnar and may your loyalty not fail when the time comes”.
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