Care lettrici, cari lettori,
rincuorato dai vostri messaggi di supporto che mi avete espresso a margine dell’articolo Questioni aperte…, da questa settimana passerò a pubblicare il primo dei racconti in versi che costituivano, per così dire, la versione «alfa» del Ciclo del Marinaio. Potete leggere la versione «beta» qui: La caduta di Numenor e divertirvi a fare un confronto. È con un certo affetto ed emozione, non lo nascondo, che trascrivo queste parole e questi versi che risalgono all’ormai lontano 2001…
Buona lettura!
Nota alla Caduta
Questo testo è uno dei più antichi e pertanto ho ritenuto che dovesse essere il primo a dover figurare nella raccolta dei racconti della Terra di Mezzo. In questa versione appare palese il ruolo svolto da Erfea Morluin: egli è il capitano di una o più navi, numenoreane naturalmente, e di conseguenza la sua è una posizione tutta di prestigio. Questo episodio è sicuramente antecedente agli altri, nonché all’incontro con Elwen perché si evince benissimo che qui Ar-Pharazon non sia ancora presente. In caso contrario, infatti, non avrebbe concesso il permesso ad Erfea di sbarcare nella Terra di Mezzo: è logico ritenere dunque che nel momento in cui si svolge il racconto il sovrano fosse ancora Tar-Palantir, il previdente, colui che aveva tentato di riunire ancora una volta Elfi ed Uomini. Con tutta probabilità fu il suo successore Ar-Pharazon ad esiliarlo in seguito al rifiuto di Erfea di comandare la flotta imperiale, che come ben prevedeva, avrebbe presto mossa guerra ai Valar.
Dai Racconti della Terra di Mezzo – La Caduta
«Ancora non vi era sentore di lotte
ed Erfea viaggiava stanco nella notte.
L’oscurità premeva sui vascelli
e poco mancò che non divenner fuscelli
combattendo tra onde e avversi venti
videro infine l’aurora e ne furon contenti
salutando il sole senza timore
ché giunti eran a Numenore
Canti al di là del mare ascoltarono
e tristi gli uomini si rincuorarono
spingendosi innanzi con rinnovato ardore
furono accolti da grande stupore
ché la Terra di Mezzo avean
lontana dai porti al di là dell’Ocean
pari all’oro il suo splendore
ma oscurata, ahimè, da triste dolore.
Di Orchi e Troll era la magione
ridotta – ahimé – ad amara prigione
dopo il peregrinar Erfea giungeva
per dare notizia di quanto accadeva
inorridito a lungo da tale aggressione
solo un attimo durò l’indecisione
ché alzati spada e scudo
l’Oscurità per anni mise in ignudo
Spade udimmo risuonare
rosse le lame al tramontare
bianche al sorgere della luna
combatterono senza remora alcuna
gravi i loro sguardi e saggi i portamenti
ché di Luthien e Beren eran discendenti
sulle ali tempestose arrivarono
e la speranza nei cuori ridestarono
Ma superbia e angoscia gli animi oscurarono
e infine dell’Ombra succubi diventarono
ché i Nove Anelli già forgiati
alla rovina condussero Elenna e i suoi nati
Dolore e sconforto gli Uomini conobbero
l’un contro l’altro si rivolsero
e di questo Sauron era artefice
ché odiava Erfea e la sua specie
D’un tratto non fu più giorno
ma Oscurità cadde tutt’intorno
su alti palazzi e bianche mura
si rovesciarono nubi di sventura
penoso è dir quanto dolore
sconvolse l’amata Numenore
ché torri e navi rovinarono
mentre alti lamenti si alzarono
Tempo passò dal cataclisma amara
mai eguagliato da altro evento raro
onde grigie sulle sponde amare
dei Mortali ricordano il peregrinare
ma ancora traccia vi è degli eletti
raminghi sui colli a loro diletti
osservano il crepuscolo senza domandare
dove fosse Numenor e l’origine del mare».