Care lettrici, cari lettori,
come vi anticipavo la scorsa settimana, siamo giunti a una svolta importante del Ciclo del Marinaio: la morte di Erfea. Ovvero, come avrebbero detto i Numenoreani (e da qui il titolo del post), un lungo sonno di morte nel quale essi si abbandonavano quando capivano che era ormai giunto il momento di abbandonare la vita. Questa parte del racconto prende inizio subito dopo la sconfitta di Sauron ad opera dell’Ultima Alleanza: potrete leggere o rileggere la descrizione di questo episodio qui: L’ultima battaglia della Seconda Era.
È stato emozionante, in questi quattro anni di attività del blog, raccontarvi le storie di Erfea, di Miriel e degli altri personaggi – di finzione o no, rispetto al legendarium tolkieniano – che ho avuto modo di presentarvi. Spero di essere riuscito a trasmettervi non solo la mia grande passione per la Terra di Mezzo, ma anche un senso di famigliarità nei confronti di questi personaggi.
Ci saranno ancora tante altre storie da raccontare…devo completare il racconto sull’adolescenza di Miriel e Pharazon…provare a dare una risposta ad alcune domande – una su tutte: che fine hanno fatto gli sfortunati possessori degli Anelli minori, ossia delle «prove» che gli artigiani elfici avevano forgiato prima di procedere con la creazione dei Grandi Anelli? Sono diventati anch’essi degli spettri? – eliminare alcuni errori (per esempio il rapporto tra un giovanissimo Erfea e il suo mentore Numendil, che in realtà era molto più vecchio di lui)…
Prima o poi, dunque, tornerò con i miei racconti…e chissà, sarà anche l’occasione per commentare insieme gli episodi della nuova serie di Amazon che sarà ambientata proprio nella Seconda Era.
Grazie di cuore.
Vi lascio con un’immagine inedita che rappresenta la partenza di Bilbo e Frodo verso Occidente e con il video della canzone «The last goodbye» che chiude il terzo capitolo cinematografico dell’Hobbit…avrà tanti difetti quella trilogia, ma la colonna sonora è all’altezza delle migliori composizioni musicali.
«La rovina degli eserciti di Sauron fu totale, e coloro che sopravvissero alla sua caduta fuggirono nelle remote contrade del levante, ove si narra che anche gli Úlairi e il nero spirito del Maia umiliato trovassero scampo per lunghi secoli, finché non ebbero acquisito forza a sufficienza per tornare a reclamare quanto avevano perduto al termine della Seconda Era. Invero, fu quella una vittoria incompleta, ché l’Anello non andò distrutto, come avrebbe dovuto essere, ma fu concupito da Isildur, il quale, nonostante i saggi ammonimenti degli altri comandanti, reputò di avere forza di volontà sufficiente per dominarlo e lo portò seco al Nord, ove fu trucidato dagli Orchi due anni dopo la morte del padre.
Glorfindel ed Erfëa, tratti in salvo dalle aquile assieme agli altri signori dell’Ovest allorché la terra tremò e vomitò fiamme possenti, furono condotti nella contrada di Udûn, ove erano gli accampamenti dei loro soldati e quivi ritrovarono quanti avevano disperato di poter incontrare nuovamente: Aldor Roch-Thalion e Groin accolsero festanti il Sovrintendente di Gondor e gli altri guerrieri, sì che, per lungo tempo, essi furono occupati nel festeggiare con banchetti e danze la vittoria sull’Oscuro Nemico del mondo. Al termine dell’Estate, dunque, le armate dell’Ovest, dopo aver incendiato e distrutto ogni fortezza costruita da Sauron nella sua dimora, fecero ritorno a Osgiliath, ove furono accolte dalla popolazione festante: numerosi idiomi furono ascoltati allora per le vie della città degli Uomini del mare e per molti giorni la gioia e il diletto allietarono i cuori dei Figli di Ilúvatar.
Giunsero Galadriel e Celeborn e la loro figlia Celebrían, il sovrano di Khazad-Dûm, Durin IV e altri principi e re quali mai Osgiliath aveva mirato nel corso della sua pur breve esistenza. Canti furono composti in quei giorni ed essi narrarono delle vicende che avevano condotto alla caduta di Sauron; eppure, i Signori degli Eldar, nonostante condividessero la letizia dei bardi, scuotevano il capo allorché udivano tali canti echeggiare nelle vaste sale della reggia di Isildur, ora divenuto sovrano dei Dúnedain, ché sapevano quanto era accaduto allorché Sauron era svanito e ritenevano che, seppur informe, egli avrebbe fatto ritorno alla sua contrada, allorché fosse giunto il tempo e molto temevano per la sorte di Isildur. Allorché costui, tuttavia, morì e l’Anello del Potere fu smarrito, essi ritennero che fin quando non fosse stato ritrovato, i loro reami avrebbero continuato a prosperare, sebbene i più lungimiranti avvertissero nei loro cuori il presagio di un grande mutamento e iniziassero ad avere tedio del mondo e di quanto ivi accadeva.
Tale, però, non era il parere di Elrond e di Celebrían, ché in loro l’amore per Endor non era ancora venuto meno e numerose erano le contrade che desideravano conoscere, ora che Sauron dormiva e le sue armate erano distrutte. Al termine di uno di questi viaggi, essi si recarono a Osgiliath, ché molto desideravano incontrare Erfëa, né essi si meravigliarono che fosse ancora in vita, ché conoscevano l’antica profezia che Manea gli aveva rivelato allorché era ancora in fasce. Lo trovarono che egli si attardava a mirare il rosso tramonto dalla sua finestra a occidente e dava loro le spalle; tuttavia, allorché questi si avvide che costoro avevano fatto il loro ingresso, si voltò e il suo anziano volto fu lieto nel vederli ancora una volta.
Si discusse a lungo degli eventi cui avevano preso parte negli anni precedenti, infine Elrond sospirò e mirando il volto di Erfëa, pronunziò tali parole: “Ebbene, figlio di Gilnar, felice è stato il tuo cammino, se ti ha concesso di giungere ove il tuo animo potrà trovare riposo e le tue ferite essere sanate, colmo di saggezza e della fama che le tue nobili imprese ti hanno procurato”.
Sorrise il figlio di Gilnar: “Invero, figlio di Eärendil, molto ho ottenuto nel corso della mia lunga esistenza e grato volgo il mio pensiero a coloro che hanno protetto i miei passi; ancor più accetto è tuttavia il dono di Ilúvatar, ché molto sono stanco e forte è divenuto in me il desiderio di rivedere colei che abbandonai allorché il mio cuore non era ancora pronto ad amare”.
Lentamente annuì Celebrían e le sue parole echeggiarono leggere nell’aria vespertina: “Grande sarà la memoria che gli Eldar preserveranno del tuo nome e del tuo sembiante, Erfëa Morluin, ché invero hai trionfato anche nella tua ultima prova e ora il tuo spirito è pronto ad abbandonare i mortali lidi della Terra di Mezzo”.
Levatosi dallo scranno ove aveva discorso con i suoi più cari amici, Erfëa si distese allora sul letto che gli imbalsamatori avevano approntato per lui e si congedò dal sovrano Meneldur e da quanti egli aveva amato e che gli sarebbero sopravvissuti. Consegnò a Elrond un voluminoso tomo e lo pregò di recarlo al Signore della torre di Orthanc, ché questi l’avrebbe custodito nelle recondite sale della fortezza e infine si addormentò. Lento, il Sole si tuffò nel profondo occaso e ad Erfëa parve di udire un remoto canto giungergli da Númenor perduta nei flutti, sicché si premurò di seguirlo e il suo spirito si allontanò dalla città di Osgiliath, che molto gli era stata cara, recandosi ove il suo volere desiderava giungere, ed egli spirò lieto».
Spunti di lettura: Erfea, o degli eroici imperfetti; Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio»; Cronologia della vita di Erfea e dei racconti del Ciclo del Marinaio