L’organizzazione delle Armate di Mordor nella Seconda Era – II parte

Care lettrici, cari lettori,
quest’oggi vi propongo la seconda parte del racconto relativo all’organizzazione dell’esercito di Sauron durante la Seconda Era. In quest’ultima parte saranno indagati gli anni compresi fra la Caduta di Numenor e la sconfitta di Sauron al termine di quell’era. Trovate la prima parte qui: L’organizzazione delle armate di Mordor nella Seconda Era – I parte

Buona lettura, aspetto i vostri commenti! Vi anticipo che la prossima settimana pubblicherò qualcosa di molto speciale…stay tuned!

«Nel secolo che seguì la distruzione di Numenor, l’esercito di Mordor fu ulteriormente suddiviso e ad Umbar fu costituita la quarta armata, al cui comando vennero destinati Indur ed Akhorahil, in qualità di ammiragli dell’Oscuro Signore, mentre Adunaphel assumeva il grado di luogotenente dell’armata di Gorgoroth presso il Re Stregone.

I nove spettri degli anelli costituirono un corpo ben distinto di generali all’interno della rigida gerarchia militare di Mordor ed essi soli ebbero la qualifica di Genon (Lingua Nera/L.N.: Grande Comandante): immediatamente sottoposti ai loro voleri vi erano gli Urdanuk (L. N. Capitani), il cui ruolo prevedeva che essi assumessero il comando di una divisione di ottomila uomini, definita nel Linguaggio Nero come Belegrim (Armata Potente) o di diecimila orchi, indicata anche come Urhoth (L. N. Grande Armata): costoro prendevano parte ai consigli di guerra ed avevano facoltà, seppure fortemente limitata, di assumere decisioni autonome, una volta preso atto dei comandi ordinati dai Nazgul. Gli Urdanuk provvedevano ad attuare le disposizioni dei superiori mediante i loro collaboratori, chiamati nel Linguaggio Nero Afukaush (Marescialli), i cui compiti consistevano nel provvedere all’equipaggiamento e al vettovagliamento delle armate di Mordor e nel far pervenire i dispacci del Re Stregone ai Kritar (L. N. Sergenti): costoro, responsabili delle comunicazioni tra reparti mediante segnali di fumo e l’utilizzo dei corvi delle Montagne Nebbiose (Crebain), comandavano reparti inferiori di numero, costituiti da circa mille unità, in modo da permettere maggior rapidità di movimento durante le manovre di avanzata o ripiegamento.

Il Re Stregone dispose altresì che nessun orco potesse esercitare una carica superiore a quella di Kritar, ché temeva la superficialità e la mancanza di autocontrollo con le quali tali creature si lanciavano all’attacco, reputandoli indegni di indossare l’effigie dei comandanti di Mordor: unica eccezione a tale regola era costituita dal sovrano del regno di Gundaband, la cui città, pur trovandosi nella contrada controllata da Hoarmurath di Dìr, godeva di notevole autonomia, in quanto rappresentava la capitale degli orchi di Endor; desideroso di evitare faide intestine e atti di insubordinazione in una terra sì lontana dalle sue roccaforti, il Re Stregone dispose che il sovrano di Gundaband fosse ammesso a titolo onorifico tra gli Urdanuk, assicurandosi in tal modo la lealtà dei suoi sudditi.

Molti signori della guerra tra gli orchi venivano solitamente arruolati come Durothar (L. N. caporali), con la funzione di reclutare le proprie truppe per la causa di Mordor e assicurarsi che esse comprendessero gli ordini dei comandanti; al loro fianco cooperavano gli Ujak (L. N. guerrieri), responsabili di soli dieci soldati, sovente incaricati di costituire drappelli di esplorazione durante le avanzate in territorio nemico.

Tale era la complessa e accurata organizzazione dell’esercito di Mordor, che l’Oscuro Signore in persona non credeva possibile che esso avrebbe fallito il suo obiettivo; eppure ciò accadde, ché, nonostante le migliorie apportate dal Capitano Nero, vi erano conflitti latenti all’interno degli stessi alti comandi, causati da rancori antichi, dissidi che la minacciosa presenza dei Nazgul occultava solo parzialmente. Gli orchi non tolleravano gli uomini, deridendone la loro fragilità in battaglia, mentre i Secondogeniti asserviti a Sauron non mancavano di esprimere tutto il loro palese disgusto allorché si trovavano a dover condividere il rancio o l’alloggio con la prole di Morgoth. Non mancavano, infine, rivalità tra gli stessi uomini, ché gli Haradrim non smettevano di detestare i Numenoreani Neri, accusandoli di aver sottratto loro le terre migliori durante le guerre precedenti, mentre questi non tolleravano la presenza di stirpi umane a loro detta inferiori: tali contrasti, tuttavia, svanivano allorché veniva issato il vessillo dell’Occhio avvolto da una corona, l’effige del Re Stregone, signore degli eserciti di Mordor».

Per maggiori informazioni:

Gli anni dell’assedio di Gondor. Una cronologia

Cronologia della vita di Erfea e dei racconti del Ciclo del Marinaio

Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio»

L’organizzazione delle armate di Mordor nella Seconda Era – I parte

Care lettrici, cari lettori,
quest’oggi vi presenterò uno scritto nel quale ho provato a immaginare come fossero organizzate le armate di Sauron nella Seconda Era. Si tratta di uno scritto dalla natura “tecnica”, nel quale sono presentate due peculiarità che resero estremamente vulnerabile l’esercito dell’Oscuro Signore: la grande variabilità etnica delle sue schiere, all’interno delle quali militavano esseri umani e creature delle Tenebre, poco avvezze a combattere fianco a fianco e la presenza di una marina militare inferiore per qualità e quantità rispetto a quella dei Popoli Liberi…e come scriveva Tucidide nelle sue Storie, il controllo delle vie marittime era fondamentale per conservare la supremazia militare. Per ragioni di lunghezza ha suddiviso il mio scritto in due sezioni: la prima parte, che leggerete quest’oggi, sarà relativa all’organizzazione delle armate di Sauron dall’inizio della guerra contro gli Elfi sino alla corruzione degli Uomini ottenuta tramite la distribuzione dei Nove Anelli del Potere.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Dopo la sconfitta subita nell’anno 1700 della Seconda Era ad opera delle armate degli Eldar e dei Dunedain, durante la prima delle guerre condotte da Sauron contro gli elfi, l’Oscuro Signore fuggì dall’Eriador e si trincerò nella sua Torre Oscura, ove meditò a lungo sui motivi che avevano condotto il suo esercito verso l’annientamento pressoché totale.

Nei successivi secoli le armate di Mordor furono profondamente rinnovate, ché Sauron comprese come la loro impreparazione e la scarsa coordinazione tra popoli fra loro estranei, incapaci spesso di comprendere l’uno la lingua dell’altro, avessero condotto i suoi nemici alla vittoria: egli si rendeva conto che non vi era, tra i suoi capitani, uno stratega capace di elaborare una tattica tale da favorire il miglior dispiegamento delle sue eterogenee forze, ché gli orchi, seppur dotati di notevole forza fisica, mancavano di intuizione ed erano, in numerose occasioni, travolti dalla loro stessa cieca furia. Pochi uomini all’epoca militavano nelle sue schiere e questo perché la corruzione dei Numenoreani era ancora lontana dall’attuarsi e i nove anelli dei secondogeniti giacevano nei forzieri di Barad-Dur. I capitani delle tribù del Khand e dell’Harad punto o poco conoscevano le arti della guerra dei popoli occidentali e i loro contingenti, male armati rispetto ai loro avversari, erano spesso travolti ancor prima di poter estrarre le loro rozze scimitarre in bronzo dai foderi sdruciti. Durante l’occupazione di Ost-In-Edhil, le truppe di Sauron erano state comandate da un Troll, il cui nome era Ghulush: forte ed ambizioso, questo essere aveva trucidato numerosi Elfi, guadagnandosi in breve tempo l’ammirazione delle proprie truppe; esse, tuttavia, sovente cadevano in preda al panico, allorché il loro comandante era distante, ché molto temevano la collera degli Eldar, né Sauron poteva vantare altri condottieri di tale rango tra le sue file. L’intera armata di Mordor, incapace di combattere in schiere ordinate e compatte, procedeva in maniera piuttosto confusa durante la carica iniziale, smarrendo tuttavia ogni iniziativa allorché il nemico, se pur in numero inferiore di numero, anziché mostrare la terga, non cedeva ai suoi furiosi attacchi.

Ghulush aveva compreso che non era nelle sue capacità quella di apprendere l’arte della guerra dei suoi avversari e lo stesso rispetto che le sue truppe gli mostravano nasceva in gran parte dal condividere, seppure in dimensione minore, la stessa forza bruta che assaliva il comandante allorché si scagliava contro le schiere nemiche, urlando loro tutto il suo odio. L’unica tattica degna di nota che egli era stato in grado di apprendere e di trasmettere ai suoi subordinati consisteva nel tentare l’accerchiamento del nemico con una manovra rapida, in modo da permettersi in seguito la vittoria; tale strategia, tuttavia, fallì durante l’attacco dei Numenoreani, allorché, schierati su diverse fila distanziate l’una dall’altra, costoro resistettero al primo attacco delle armate di Sauron e in seguito massacrarono i loro avversari.

Durante gli anni che seguirono la sconfitta delle armate di Mordor ad opera dei Numenoreani, l’odio di Sauron per tale stirpe si accrebbe ed è plausibile che tra i motivi che lo spinsero a corrompere i cuori degli orgogliosi Dunedain, vi fosse anche la necessità impellente di carpire i segreti militari che costoro gelosamente custodivano: con l’investitura di Er-Murazor, secondogenito di Tar-Ciryatan, sovrano di Elenna, a Signore di Morgul e primo comandante delle armate di Mordor, il principale obiettivo dell’Oscuro Signore si era realizzato, ché il Capitano dei Nazgul possedeva invero uno spirito razionale e una mente acuta, in grado di elaborare strategie degne della sua stirpe.

Numerosi Numenoreani si volsero allora al male e Sauron gioì nel profondo del suo cuore nero, ché essi avrebbero apportato al suo reame le conoscenze ereditate dagli Eldar e ricchezze al di là di ogni immaginazione, necessarie per permettergli di attuare i suoi piani di conquista della Terra di Mezzo.

A partire dall’anno 2260 della Seconda Era, con l’asservimento totale dei nove portatori degli anelli degli uomini al suo volere, Sauron poté disporre di un corpo di luogotenenti degni di questo nome, ché essi erano stati scelti in base alle abilità militari dimostrate durante la vita terrena e alle conquiste ottenute duranti gli anni del loro dominio. Er-Murazor, divenuto il Signore dei Nazgul, operò un profondo rinnovamento all’interno dell’esercito di Mordor, consentendo che fossero realizzati, per la prima volta, dei corpi di armata, assegnati ai suoi commilitoni e di cui egli era il primo comandante.

Negli anni precedenti la cattura di Sauron da parte delle armate numenoreane, il Re Stregone portò a compimento i suoi piani, suddividendo l’esercito di Mordor in tre armate: di queste, la prima, in ordine crescente di importanza e di effettivi, era l’armata di Gorgoroth, di cui fu proclamato luogotenente Akhorahil, il quale era dello stesso lignaggio del suo signore. La seconda armata includeva ogni soldato incaricato di sorvegliare la piana di Udun e il Cancello Nero e fu affidata a Dwar di Waw, il quale incaricò Hoarmurath di Dir di prendere il comando delle schiere dei regni settentrionali di Endor sottomessi ai Nazgul, in qualità di suo reggente. La terza armata, detta anche di Nurn, coordinava l’afflusso e il trasporto di truppe dalle nazioni vassalle poste nel sud di Endor a Mordor e fu posta sotto il comando di Khamul, mentre ad Uvatha ed a Ren fu assegnato il grado di luogotenenti di quest’ultimo. Adunaphel ed Indur, infine, avrebbero dovuto rivestire la funzione di ammiragli, tuttavia, data l’esiguità della flotta di Mordor, costituita quasi esclusivamente da vascelli numenoreani appartenuti agli Ulairi di tale stirpe, essi furono destinati in un primo momento ad altri ruoli, e divennero i portavoce dell’Oscuro Signore, spesso intraprendendo missioni all’interno e all’esterno del reame per conto di costui».

Continua…

Auguri! E sono tre…

Care lettrici, cari lettori,
sono trascorsi tre anni da quando ho scritto il mio primo articolo per questo blog: Da Numenor alla Terra di Mezzo: benvenuti, lettori de «Il Ciclo del Marinaio»! Da allora sono trascorsi 36 mesi ricchi di soddisfazioni che ho ricevuto grazie ai vostri apprezzamenti, alle vostre domande e alla vostre riflessioni. Nell’ultimo anno siete cresciuti sempre di più, sfiorando, in pochi mesi, quasi 600 followers!
Lo scorso anno, come ringraziamento per la vostra assidua frequentazione del mio blog, vi dedicavo una recitazione di una sezione del mio racconto «Il marinaio e il Messere di Endore», che potrete ascoltare o riascoltore qui: …Eccoci al bis! 2 anni di blog. Quest’anno, invece, ho deciso di dedicarvi una piccola animazione di uno dei personaggi più affascinanti dei miei racconti, la bellissima quanto letale Adunaphel l’Incantatrice, disegnata da Livia de Simone: Adunaphel l’incantatrice a colori.
Con la speranza che questo piccolo dono possa essere di vostro gradimento, vi esprimo ancora una volta tutta la mia gratitudine e spero di continuare a interessarvi con le mie storie e le illustrazioni dei miei racconti!

Alla prossima!

Adunaphel l’incantatrice a colori

Care lettrici, cari lettori,
quest’oggi ho il grande piacere di mostrarvi l’ultima bellissima illustrazione disegnata da Livia De Simone. Il soggetto ve l’avevo anticipato qualche settimana fa, sollevando la vostra curiosità (A new character…). Adesso posso svelarvi l’identità del misterioso soggetto: si tratta della seducente e letale Adunaphel, l’incantatrice, una numenoreana corrotta da Sauron che ebbe un ruolo di rilievo nella caduta di Numenor (qui potrete rileggere la sua biografia: Adunaphel l’Incantatrice. La Settima).
Per fortuna del nostro eroe, sembra che la bellissima donna fosse così simile a un suo «errore di gioventù» come si suol dire (scoprirete di chi si tratta in questo articolo: Ombre sinistre su Numenor…) da evitargli sinistre tentazioni…a volte, insomma, anche gli errori possono tornare utili!

Un saluto, alla prossima!

Ecco come appariva Adunaphel agli occhi di Ëargon, un numenoreano seguace di Pharazon.

«L’ospite, infatti, non era un uomo, come molti avevano creduto, bensì una donna di indicibile bellezza. I Principi di Numenor ed i loro servi, gente scaltra e senza alcun ritegno, al solo guardarla furono vittime della lussuria e sussurrarono tra loro commenti che qui non saranno riportati; le Signore di Andor, invece, presero subito a detestarla, perché la donna il cui sembiante era stato ora scoperto, rappresentava ai loro occhi molto di quanto avevano perso in gioventù e che sapevano fin troppo bene non avrebbero più riottenuto. Giovane era e non dimostrava avere superato la maggiore età[1], ché la sua chiara pelle era vellutata come seta e la sua capigliatura emetteva riflessi bluastri alla luce delle torce, tanto era scura. Per nulla seccata o intimorita dagli sguardi, ora lascivi, ora invidiosi che le venivano rivolti, la donna, con femminile grazia, si acconciò la chioma, leggermente scomposta a causa del lungo viaggio che aveva dovuto compiere per giungere fino a codesto luogo, e tutti ebbero modo di scorgere la sua affusolata mano carezzare dolcemente il capo; terminato che ebbe questo compito, ella rivolse i suoi azzurri occhi, sì splendenti che nessuno ne aveva mai visto un paio simili, al suo affascinato pubblico ed essi le furono soggiogati. Lentamente, l’ospite si levò nuovamente dallo scranno sul quale mollemente si era adagiata, lasciando cadere il nero mantello che l’aveva avvolta, simile ad una nube che oscura la luna nel plenilunio; un secondo mormorio colmo di stupore, ammirazione ed astio si levò, allora, ed il cuore di Ëargon fu trafitto, senza che egli potesse opporre una valida resistenza alla brama di lei che di istante in istante diveniva più forte nel suo animo. Superbamente bella, la donna si mostrava ora nella sua seducente femminilità: un lungo abito bianco le cingeva morbidamente il corpo, aderendo sui suoi seni e sui suoi fianchi, simile ad un abbraccio che un amante tenti di rivolgere all’oggetto del suo disio, mentre da una nera cinta, i cui intarsi argentati splendevano lugubri nella notte rischiarata dalla bellezza della donna, pendeva una leggera lama, la cui foggia, tuttavia, a molti parve essere simile a quelle portate dalle donne numenoreane – poche in verità – che erano esperte nell’arte della scherma e la cui elsa, ricavata da un unico frammento di ametista, risplendeva anch’essa nella notte. Un grazioso diadema era posto sul capo di colei che aveva ridotto al silenzio un uditorio che sino a pochi istanti prima era sconvolto da dispute e da rancori ed Ëargon si avvide che la medesima pietra preziosa che costituiva l’elsa della sua lama era posta al suo centro: incapace di parlare, egli non poté, tuttavia, evitare di pensare che la bellezza di codesta dama superava di gran lunga quella di qualunque altra donna avesse conosciuto, finanche di Miriel, che pure era da ogni Numenoreano considerata il fiore più grazioso che fosse mai stato concepito sull’isola sin dai tempi di Elros Tar-Minyatur. Affascinato, il figlio di Morlok osò mirarla nei suoi glaciali occhi e scorse, in un turbinare di sensi, la spietatezza dell’acciaio, la ferocia di una tigre del lontano meridione, l’intelligenza dello sparviero che sorvola le cime dei monti immersi nella bruma e la malizia della furtiva volpe che erra raminga nei campi di grano: sospirò d’amore e di desiderio e la volle per sé ed ella in verità, non fu tarda nel concedersi ai suoi desideri, sebbene, come fu chiaro in seguito, non agì seguendo il medesimo desiderio che ora si agitava furioso nel petto del Numenoreano, quanto piuttosto la sua lussuria ed il suo freddo raziocinio, ché ella era Adûnaphel l’Incantatrice, Settima fra i Nazgûl e Spadaccina di indicibile valore ed esperienza».


[1] Si ricordi che presso i Numenoreani il conseguimento della maggiore età avveniva al compimento del trentacinquesimo anno di età.

Altre illustrazioni di Livia De Simone:
La più bella delle Numenoreane. Miriel
Ritratti – Elwen di Edhellond
400 followers! I’m happy!

Adunaphel, the Sorceress. The Seventh Nazgul.

Princess of Forastar in Numenor, lady Adunaphel was born in the year 1823 of the Second Age in the city of Armenelos, daughter of Initildun, prince and commander of the king’s fleet; from an early age she was distinguished from her companions by a sharp mind and a beauty similar to that of elven women: growing up, Adunaphel refined her talents, and numerous Men asked her hand, seduced by her charm and her will to steel. Adunaphel, however, disdained such proposals, not considering them to be up to her reputation. She feared death very much and never forgot the sufferings that her elderly father had suffered during the slow agony that had led to his death, caused by his mad desire to abjure death itself, persisting in his mortal body. There was little affection between the lady of Forastar and her mother, who supported the cause of the Eldar and was opposed to the king’s party, to which her daughter adhered enthusiastically: at the court of the sovereign she met Prince Atanamir, and her heart was filled with passion towards him, considering him superior to those he had rejected in the past; great was her anger when the Heir to the throne rejected her and she swore on her father’s memory that she would get the prince’s head. In 1914 S. A., Adunaphel abandoned Numenor to found a colony in Middle-earth and subdue its inhabitants; for a long time she traveled west, until she found herself in the lands of Variags, where she imposed her law: for some years the kingdom of Ard the Vain, as she called herself, expanded its borders to the east and south, until , tired of having to pay tribute to her king, she took the opportunity to declare her independence. Atanamir, meanwhile becoming ruler of Numenor, decreed her death sentence and she fled to the East, while her kingdom was occupied by the armies of Numenor. Anger and wrath broke out in her heart and long wandered in the deserts of Khand, until the day she was captured by a tribe of Variags, whose lord made her their favorite slave; she was patient until she seduced her master’s guards and was not sure she had learned the arts of the sword and the spear. After a year Adunaphel slaughtered the king of the Variags in his sleep and proclaimed himself queen of that people: Sauron then heard of the lady of Numenor and summoned her to Mordor, promising her revenge against the warriors of Atanamir. Adunaphel accepted the Dark Lord’s offer and received the Seventh Ring of Men, swearing eternal loyalty to his master, in the 2004 year of the Second Age. Over the next thousand years, the Nazgul lived in the capital of his empire, which in the elven language was called Minas Gulwen (Tower of the Witch Maiden), plotting the fall of Numenor; in the year 3277 Sauron sent her to Umbar, where she seduced the lieutenant of Ar-Pharazon, so that the influence of the Fallen Maia spread to the port. Erfea Morluin visited the stronghold of Adunaphel two years later and defeated its servants with the help of the elven prince Morwin: furious, Adunaphel then confronted the two warriors and would have won victory, if at that moment the Sun had not risen in all his mighty humiliating her black spirit. After Atalante, the armies of Adunaphel took the city of Minas Ithil and headed for Osgiliath, being severely defeated during the first siege: later, she was close to achieving her goal, when the armies of the other Ulairis arrived and Gondor seemed to collapse; however, the arrival of the Alliance forces upset her plans and she fell back to Dagorlad, where she was defeated again. In the last years of the siege she participated with the other Nazgul in the defense of Barad-Dur, falling into oblivion when Sauron fell.

Suggerimenti di lettura:
Adunaphel l’Incantatrice. La Settima
Ritratti – Adunaphel l’Incantatrice

La Battaglia della Dagorlad – Una vittoria apparente…

Care lettrici, cari lettori,
eccomi al consueto appuntamento settimanale per presentarvi un nuovo brano de «Il Racconto del Marinaio e della Grande Battaglia». Nel precedente articolo avete letto del primo attacco condotto dall’avanguardia di Sauron contro le forze dell’Alleanza, terminato però con la sua sconfitta. In questo articolo proseguirò la descrizione del primo atto della battaglia e dimostrerò come in guerra nulla debba essere mai dato per scontato…e che un glorioso e rapido successo può tramutarsi altrettanto velocemente in una sconfitta…

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Lieti in volto, Gil-Galad ed Elendil compresero che le ali del Nemico erano state messe in fuga, ché i loro capitani non avevano saputo comprendere quale strategia sarebbe stata adoperata contro le loro schiere ed invero letale si era rivelata la mossa di Erfea di posizionare sull’ala i fanti armati di picche. Al centro, tuttavia, essi sapevano di aver innanzi un comandante quale mai i loro eserciti erano riusciti a sconfiggere in campo aperto, intriso della malizia di Sauron e profondo conoscitore delle tattiche e delle arti belliche dei popoli dell’Occidente; non appena il Re Stregone si avvide della grande rovina che le sue schiere avevano subito alle ali, diede ordine ad Akhorahil di condurre i suoi fanti sulla sinistra, ché essi erano bene armati e si sarebbero opposti con successo ai nani e agli elfi colà schierati, mentre Adunaphel inviò i suoi servi sull’ala destra, ove avrebbero incrociato le proprie lame contro i soldati di Elrond ed Erfea. Dopo aver operato secondo tali intenzioni ed aver impartito altri comandi ai cavalcalupi che conducevano la sua avanguardia, il primo Capitano di Mordor mosse all’attacco.

Lesti, i mastini di Dwar si scagliarono contro le linee dei fanti dell’Alleanza, ma essi perirono in gran numero, ché furono trafitti dai leggeri giavellotti scagliati dagli Elfi Silvani; inutilmente le schiere del Signore dei Cani tentarono di raggiungere i loro mortali avversari, ché costoro si rifugiarono all’interno delle linee centrali ed esse, logore per il gran correre, finirono trucidate dalle lunghe lame degli uomini di Arnor; tripudio e gioia si dipinsero allora sul volto dei soldati ed essi presero ad avanzare, convinti che non fosse saggio offrire nuovamente al nemico l’iniziativa.

Avvedutosi di quanto era accaduto, il Re Stregone ordinò alle schiere degli Orchi di avanzare a linee serrate, sperando che la superiorità numerica di costoro fosse sufficiente per spezzare lo schieramento nemico; a nulla valsero tuttavia la cieca furia e il grande odio che animavano codesti esseri, ché essi furono abbattuti dalle spade dei Dunedain e dagli acuti dardi degli arcieri elfici.

La paura sorse allora nel cuore dei servi di Mordor ed essi vacillarono, ché avevano subito notevoli perdite laddove le schiere del nemico erano rimaste pressoché integre, sicché l’armata di Mordor prese a indietreggiare, in principio molto lentamente, in seguito rapidamente, dando l’impressione in chi avesse assistito a tale manovra che la loro fuga si sarebbe interrotta solo dinanzi ai Cancelli Neri o, forse, al loro interno. Tosto, le schiere centrali dell’Alleanza avanzarono, galvanizzate dall’improvvisa fuga degli eserciti del Nemico ed avendo premura di sterminarli ancor prima che giungessero al di là delle muraglie che si estendevano tra gli Ered Lithui e gli Ephel Duath; inutilmente, dalle retrovie giunse un grido angoscioso ad udirsi, ché Thranduil non aveva obliato quanto era accaduto alle sue armate solo alcuni giorni prima e si avvedeva che codesta era una trappola».

Suggerimenti di lettura:

La battaglia della Dagorlad – La carica dei Mumakil

La prima fase della battaglia della Dagorlad

Il discorso di incitamento di Gil-Galad ai soldati dell’Ultima Alleanza

La Battaglia della Dagorlad – Il catalogo delle forze alleate e nemiche

La Battaglia della Dagorlad – L’arrivo degli Ent

I piani di battaglia per la Dagorlad

Dwar a colloquio con i Signori dell’Ovest

Il coraggio di Morwin e la morte di Oropher e Amdir

Il primo attacco ai Cancelli Neri

Un giuramento infranto. La follia di Amdir e Oropher

Un’alleanza difficile

Gil-Galad, l’Alto re degli Elfi

La battaglia della Dagorlad – La carica dei Mumakil

Care lettrici, cari lettori,
proseguo, in questo nuovo articolo, la narrazione della battaglia finale combattuta dinanzi al Cancello Nero al termine della Seconda Era. La scorsa settimana avevo spiegato quali posizioni avessero assunto le diverse armate schierate nella piana della Dagorlad (leggi qui). In questa fase, invece, vi racconterò della prima carica delle schiere di Sauron e della resistenza dei Numenoreani e dei Noldor.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Leste, le figure che erano all’orizzonte si approssimarono dinanzi ai guerrieri dell’Alleanza, sicché costoro si avvidero che erano i servi di Mordor, ché ora erano ben visibili i loro oscuri ed osceni stendardi e l’aria era offesa dagli strepiti e dalle urla degli schiavi dell’Oscuro Signore; rapidi, costoro avanzavano sulla desolata piana e la polvere sollevata dalle ruote dei loro carri e dalle feroci bestie che ne costituivano l’avanguardia oscurava il sole. Tosto la terra tremò e l’Orodruin eruppe in una terrificante eruzione, sicché lapilli e scorie furono scagliati nel cielo e la tenebra avvolse nel suo mortale abbraccio Anor; tali erano le intenzioni di Sauron, ché egli sperava potesse venire meno l’ardore e la fierezza che avevano condotto i suoi nemici ove mai avrebbe creduto sarebbero giunti; ma nessun sortilegio, nessun inganno poté incutere timore nel cuore dei figli di Iluvatar ed essi attesero, impavidi come le scogliere del vasto mare allorché Osse ruggisce furioso, che le schiere di Mordor si approssimassero.

Imponente era l’armata che il Signore di Mordor aveva radunato, sicché parve che l’intera piana non potesse accoglierla tutta nel suo seno: in prima fila erano i mastini di Dwar ed essi correvano lesti, ansiosi di affondare i possenti canini nelle gole degli Uomini e degli Elfi; a breve distanza, seguivano le legioni di Orchi e altre creature originate nei profondi pozzi di Barad-Dur, ed essi erano una moltitudine, i biechi visi distorti dal feroce odio che animava le loro membra. A destra erano i temibili Carrieri e i rapidi cavalieri del Nemico, le cui letali scimitarre e le acute lance si sarebbero presto scontrate contro le pesanti armature d’acciaio dei fanti dell’Alleanza. A sinistra avanzavano, lenti nel loro maestoso incedere, i mumakil di Indur ed egli spronava con secchi ordini gli Haradrim che conducevano i possenti animali alla carica, sicché apparve chiaro che essi sarebbero stati i primi ad attaccare fra quanti seguivano l’avanguardia di Dwar. Ancora invisibili agli occhi dei Secondogeniti, ma non già a quelli degli Elfi, Numenoreani neri e Troll di caverna procedevano lentamente a formazione serrata, consapevoli che non era ancora giunto il tempo in cui si sarebbero scontrati con le armate dell’Ovest.

Dei nove spettri dell’Anello, ben sette erano presenti allorché la battaglia della Dagorlad, che molti destini decise, ebbe inizio: oltre a Dwar e ad Indur, erano anche Khamul all’ala destra e Hoarmurath, laddove, coloro che erano stati in vita Signori di Numenor, sostavano alla retroguardia e il Signore dei Nazgul era con loro, terrificante a vedersi sul suo nero destriero mentre impartiva gelidi ordini nella lingua degli schiavi di Sauron. Leste, le prime schiere avanzarono a passo di carica, le spade denudate dai sudici foderi e le lance abbassate: ancor più rapidamente, tuttavia, essi proruppero in angosciose grida, ché i dardi scagliati dagli arcieri dell’Alleanza trafissero i loro corpi, sicché in molti trovarono la morte all’inizio della pugna.

All’ala sinistra dello schieramento nemico, i Mumakil erano nel frattempo giunti a misurarsi contro i manipoli di fanti ed arcieri elfici; allora si udì una gran fanfara di corni e tamburi, ed i Nani avanzarono dalla retroguardia, mostrando ai conducenti degli animali le terrificanti maschere che essi adoperavano per proteggere il volto dagli attacchi nemici e per incutere in loro il terrore. Sconvolti da tali apparizioni e disorientati dal frastuono che gli araldi provocavano con i loro strumenti, i mumakil si smarrirono e si sbandarono, incuneandosi profondamente fra i passaggi che erano stato lasciati aperti tre le schiere dell’alleanza appositamente a tale uopo. Agonizzanti, furono uditi i loro gridi di morte ed essi caddero trafitti dalle frecce e dalle lance che gli Eldar scagliarono loro contro, mentre coloro che erano alla retroguardia, in preda al panico per quanto era accaduto a coloro che ne guidavano il branco, fuggirono terrorizzati, travolgendo nell’impeto della loro fuga gli stupefatti servi di Mordor; invero grande fu la strage che i Mumakil provocarono tra le file degli eserciti di Sauron sicché per lungo tempo l’ala sinistra del nemico cedette e gli Ulairi furono impegnati nel restaurare l’ordine tra le fila.

A destra, ove erano Khamul e Hoarmurath, grandi furono lo stupore e la gioia allorché costoro si resero conto che non vi erano cavalieri del nemico ad opporsi loro, ché essi massimamente temevano le genti del Lindon e del Rhovanion: lesti, simili a rapidi strali che il cielo impietoso versi sul capo dei mortali, i cavalieri di Mordor si lanciarono in una folle corsa, denudando le scintillanti lame e alzando le robuste lance, eppure i loro progetti naufragarono rapidamente, ché essi non avevano fatto i conti con la sapiente disposizione tattica che i Signori dell’Occidente avevano escogitato. Coloro che erano, infatti, alla retroguardia, furono abbattuti dai dardi infuocati che gli archi d’acciaio di Numenor scagliarono contro di loro; impauriti dal fuoco, i cavalli si imbizzarrirono e a stento furono ricondotti all’ordine da coloro che li cavalcavano. Quanti erano, invece, all’avanguardia, per un breve istante esultarono, ché avevano evitato di essere colpiti dai dardi nemici ed erano ora vicini alle linee dei fanti dell’alleanza, sicché spronarono i loro destrieri, sperando che l’impeto della loro cavalcata avrebbe atterrito gli arcieri e che costoro si sarebbero rifugiati dietro le linee dello schieramento centrale, abbandonando, in tal modo, l’intera posizione nelle loro mani; eppure, ogni loro attesa svanì allorché essi furono trafitti dalle picche che i fanti gondoriani impugnavano, né nulla potevano le loro esili armi contro le armature forgiate secondo gli antichi insegnamenti che Aule aveva impartito ai suoi figli sicché in gran numero perirono, disperdendosi nella bruma della notte».

Suggerimenti di lettura:

La prima fase della battaglia della Dagorlad

Il discorso di incitamento di Gil-Galad ai soldati dell’Ultima Alleanza

La Battaglia della Dagorlad – Il catalogo delle forze alleate e nemiche

La Battaglia della Dagorlad – L’arrivo degli Ent

I piani di battaglia per la Dagorlad

Dwar a colloquio con i Signori dell’Ovest

Il coraggio di Morwin e la morte di Oropher e Amdir

Il primo attacco ai Cancelli Neri

Un giuramento infranto. La follia di Amdir e Oropher

Un’alleanza difficile

Gil-Galad, l’Alto re degli Elfi

L’assedio di Minas Ithil (parte VII). La reggenza di Erfea

Care lettrici, cari lettori,
riprendo con questo articolo la narrazione dell’assedio di Gondor da parte delle armate del nazgul Adunaphel. Nel precedente articolo L’Assedio di Minas Ithil (parte VI). Una tragica ritirata avete letto dell’abbandono della Città della Luna da parte dei civili e dei soldati numenoreani, ormai ridotti in condizioni tali da non poter più opporre resistenza ai nemici soverchianti. Questo sarà l’ultimo capitolo di questa serie: a partire da questo momento, infatti, i lettori che vorranno seguire le avventure di Erfea a comando dell’esercito di Gondor, dopo il ferimento e successivo stato di coma raggiunto da Anarion, avranno a disposizione una nuova serie di articoli che riguarderanno gli sviluppi della situazione bellica: i combattimenti, infatti, dopo la caduta di Minas Ithil, si spostarono verso la Città delle Stelle, come era allora chiamata la capitale del Regno di Gondor. Potrete, dunque, continuare la lettura qui: In difesa di Osgiliath (I parte).

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Meneldur, erede di Anarion, ricevette Erfea, allorché costui ebbe terminato il proprio turno da guardia, nella sala del trono ed ebbe con il Sovrintendente un breve colloquio. “La sovranità del regno di Gondor resterà nelle mani dei discendenti di Isildur, a meno che un oscuro flagello non conduca tutti noi verso un’amara morte; tuttavia vorrei che Erfea Morluin assumesse il comando delle armate di Osgiliath e di tutti i nostri bastioni in tale contrada, ché tale sarebbe stato anche il desiderio di mio padre se egli fosse stato cosciente; notevole fama hai acquisito in questi lunghi anni di esilio e fra i soldati della Guardia corre voce che nessuno sia più lesto di te nel manovrare la spada. Possa tu condurci alla vittoria finanche in tale ora oscura”.
Dopo essersi inchinato, Erfea parlò: “Se tale è la volontà dell’erede del re di Arnor e Gondor, ebbene, non sarò io a metterla in discussione. Farò quanto tu chiedi e possa la grazia dei Valar permettere a tuo padre di sopravvivere ai mali di quest’epoca”.
Nessun’altra parola fu pronunciata fra i due né quel giorno, né i giorni seguenti, ché il Sovrintendente presenziava numerosi consigli, intento a programmare la difesa della città di Osgiliath, mentre Meneldur giaceva accanto al capezzale del proprio padre, silente come le statue del Rith Dinen[1] e pallido in volto.
Il giorno seguente l’evacuazione da Minas Ithil, un messaggero giunse alla Città delle Stelle, recando con sé notizie gravi, sebbene ormai prevedibili; una possente flotta, quale non se ne vedeva una simile da numerosi anni, aveva assaltato Pelargir nel Sud; la città era stata sguarnita e la sua popolazione si era rifugiata a Dol Amroth e ad Edhellond.

“Non fu tuttavia il terrore delle vele provenienti da Umbar a colmare il nostro cuore di panico, né l’udire il suono di centinaia di corni echeggiare nella calma aria del mattino – riferì il messaggero – ma la visione di due oscure figure, quali mai la nostra gente aveva scorto dacché la città era stata fondata. Esse si ergevano sulla poppa di una fra le navi più splendide che i miei occhi abbiano mai mirato; lunga quaranta metri, le sue lucide fiancate nere lambivano l’acqua e tuttavia sembravano sfiorarla appena; letale era però il suo equipaggiamento bellico e le sue baliste ripetutamente crivellavano di colpi i nostri bastioni. Feroce fu l’attacco ma non meno disperata la nostra difesa; scagliammo frecce in gran quantità e numerose navi presero fuoco, sicché parve che le acque del fiume stesso bruciassero.
Il nemico, tuttavia, non sembrò tenere in gran conto la nostra minaccia, e continuò l’attacco per quattro giorni e quattro notti, sempre, così parve, con il suo malefico occhio volto a settentrione. Due notti fa, le vedette sulle mura avvistarono una grande nube di fumo levarsi da nord e gli animi di tutti, pur nulla sapendo di quanto avveniva in tal contrade, furono presi da grande terrore e sgomento; le schiere dell’avversario, al contrario, presero ad esultare e la furia del loro attaccò sembrò centuplicata: macchine forgiate nelle loro fucine comparvero sul ponte delle loro navi ed esse erano ignote ai nostri occhi; fin troppo presto, tuttavia, ne apprendemmo lo spaventoso uso che il nemico si apprestava a farne, ché esse scagliarono contro le nostre mura un gran quantità di proiettili di svariate dimensioni, gli uni più piccoli, gli altri più grandi, finché numerose crepe non si aprirono al loro interno e i nemici non si furono impadroniti del cancello e dei bastioni che si ergevano attorno ad esso, sicché la nostra difesa divenne impervia e tutti coloro che non potevano impugnare un’arma furono costretti ad abbandonare la città, le cui fiamme spettrali si riflettevano sulle acque del mare per molte miglia intorno.
Invano sperammo che rinforzi potessero giungere in nostro soccorso da Osgiliath; infine, al sorgere del nuovo sole, la nostra gente si mise in viaggio ed ora dimora nelle grotte che si ergono nei colli a nord; i soldati, tuttavia, non vollero abbandonare le armi e proseguirono nella lotta, ritirandosi in buon ordine nelle cerchie interne della città, ove l’assedio ancora prosegue. Io fui mandato da Herugil, signore di Pelargir, a domandare l’aiuto dei nostri sovrani in un’ora sì buia per la nostra città”.
“Riferisci al tuo signore che non vi è altro conforto per il vostro popolo che la spada, né un destino differente dalla guerra, ché le armate di Mordor sono prossime alla città di Osgiliath; Minas Ithil è caduta quattro giorni fa e molti soldati sono stati uccisi nella sua difesa e durante la ritirata che a essa ha fatto seguito”.
Tali furono lo sgomento e il timore che si dipinsero sul volto del messaggero, che costui abbandonò la sala senza pronunciare parola; Erfea, tuttavia, non lo fermò, ché non vi sarebbe stata parola tale da poter arrestare il corso degli infausti eventi. Lesti, i soldati della Guardia si schierarono sui bastioni e lungo le mura di Osgiliath, mentre solo la voce del vento si udiva in tutta la pianura; forte echeggiava il vento del Sud in quella ora oscura, sicché ogni altro suono venne ridotto al silenzio; e, tuttavia, fu un bene, ché se il suo canto fosse venuto meno, gli uomini avrebbero ascoltato solo il terrore albergare nei loro cuori e lo spavento echeggiare negli oscuri antri della mente.

La grande città di Osgiliath era stata edificata sulle due rive del fiume Anduin ed i suoi alteri palazzi, le sue imponenti torri e le austere terrazze erano difesi da bastioni e fortificazioni che correvano lungo il suo perimetro esterno: non vi erano che due soli accessi per entrare nella città, ed entrambi erano stati collocati da mani sapienti al termine di due imponenti strade, le quali, inerpicandosi lungo i bastioni esterni, conducevano ai cancelli orientale e occidentale; qualunque nemico che avesse voluto raggiungere i massicci portoni in quercia che si ergevano alla sommità dei due percorsi fortificati, avrebbe dovuto esporsi al tiro di numerosi arcieri collocati all’interno di invisibili torri e lungo i camminamenti che ne univano le strutture.

Bella, eppure micidiale, la capitale del regno di Gondor ammaliava il forestiero con la medesima grazia con la quale gli si sarebbe accanito contro, qualora costui avesse voluto farne scempio; nessun mortale avrebbe avuto la follia di prendere d’assalto i suoi poderosi bastioni o le sue imponenti torri.

Non era però un rozzo abitante dei colli, né un sudicio Orco di caverna che giungeva a sfidarne la potenza, ma una creatura imbevuta di odio e ambizioni pari a quelle che un tempo mossero Morgoth, l’antico nemico, contro la fiorente città di Gondolin; a lungo gli eserciti di Mordor erano stati addestrati all’uopo e ora giungevano per appropriarsi di quanto desideravano conquistare; torri mobili erano spinte innanzi da creature mostruose, più simili a bestie che ad uomini, mentre fitte schiere di Orchi, ne circondavano le mura, facendo risuonare a lungo gli scudi in segno di sfida; eppure, la città non tremò e il sussulto di paura che era germogliato nel cuore degli Uomini tosto disparve, ché Osgiliath era ben fortificata e finanche la potenza delle schiere del Nemico poteva punto o poco contro di essa: frecce erano scagliate dalle feritoie e dai merli, né gli Orchi riuscivano a superare il fossato senza subire gravi perdite, ed essi non avevano recato con loro alcun natante per superarne le gelide e profonde acque.

Accadde dunque che la città resistette a lungo, oltre le aspettative di Adunaphel, la quale ardeva invero di ottenere la sua vendetta sui Dunedain scampati alla Caduta; al termine del quindicesimo giorno dacché l’assedio aveva avuto inizio, i cavalieri della città uscirono per compiere una sortita a cavallo, al fine di incutere terrore nelle schiere di Mordor; allora i servi di Sauron si sparpagliarono come le foglie nell’autunno e la vittoria arrise ai figli di Gondor.
Lieti furono i cuori dei Secondogeniti quella sera e canti si levarono da ogni vicolo della città; solo Erfea non condivideva tale entusiasmo e il suo animo rimaneva impassibile, ché non aveva obliato la potenza delle armate di Sauron, né aveva ignorato che gli Orchi erano stati condotti dinanzi alla mura di Osgiliath non già per raderla al suolo, ma per verificare la resistenza della Guarnigione e della fortificazioni, allo scopo di mostrare al Nemico quali fossero i punti deboli della Città.
È stato detto che i Numenoreani avessero una vista sì acuta da scorgere un bersaglio a molte leghe di distanze; pure, sebbene tale notizia corrispondesse al vero, solo il Sovrintendente individuò nove remote figure a cavallo stagliarsi sui colli che si ergevano ad Oriente, simili a statue silenti eppure remote; parola non avevano sussurrato, eppure Erfea non ebbe dubbi sull’identità che i loro abiti neri occultavano alla vista degli uomini: essi infatti erano gli Ulairi, gli schiavi dell’Anello e nessun’azione bellica era sfuggita ai loro rapaci occhi, ché vi sono altri sensi oltre la vista e l’udito ed invero i Nazgul erano profondi conoscitori delle arti del Nemico ormai obliate. A lungo i nove capitani di Sauron ristettero sul colle, infine, allorché i loro eserciti furono sconfitti, svanirono ad Oriente e più furono visti per lunghi giorni; ultimo a svanire nella bruma della sera che strisciava dai Monti Bianchi, fu colui che in seguito avrebbe condotto possenti e feroci armate contro la città degli uomini del mare; una ferrea corona ne incorniciava il volto e nulla di questo era visibile, ad eccezione degli occhi, la cui malvagità sembrava irradiarsi a tutto il corpo: ignoto era agli uomini dell’epoca il suo sembiante, eppure, se avessero avuto follia a sufficienza per approssimarsi, tremanti, innanzi al suo spaventoso destriero, avrebbero scorto delle rune intarsiate lungo tutto il suo elmo e infine la sua origine sarebbe stata rivelata, ché codesto era l’elmo di Tar-Ciryatan, undicesimo sovrano di Numenor.
Colui che ora si arrogava il diritto di indossarlo, altri non era che il secondogenito di costui: Er-Murazor era il suo nome tra i Numenoreani Neri ed egli era noto anche come il Signore dei Nazgul, capitano delle legioni di Mordor; per qualche istante il suo sguardo si posò su Erfea che lungi l’osservava, infine svanì nella bruma vespertina, recando con sé letali giuramenti di vendetta contro colui che, anni prima, ne aveva impedito la vittoria.

I giorni successivi furono allietati dalle feste e dai canti che accompagnarono la celebrazione della vittoria sugli eserciti di Mordor, resi ancor più dolci dalle notizie che giungevano da Nord e da Sud: infatti, sebbene la città di Pelargir fosse stata incendiata dalla flotta comandata da Akhorahil ed Indur, i soccorsi prestati ai Dunedain dagli elfi di Edhellond avevano condotto alla resa degli avversari, le cui imbarcazioni giacevano ora nel profondo del mare del Belegaer; al guado di Carrock, inoltre, gli eserciti degli Eothraim scampati ai massacri e ai saccheggi perpetuati da Hoarmurath, si erano alleati agli elfi di Lorien e alle altre stirpi di Uomini che abitavano le vaste contrade del nord e avevano messo in fuga le avanguardie del nemico, impedendo ai suoi Orchi di conquistare la contrada dell’Alto Anduin e le terre del Rhovanion occidentale.

Tali erano dunque gli avvenimenti delle ultime settimane, ché i Popoli Liberi sembravano aver impedito il sorgere di una seconda oscurità su Endor; ma la vigilanza degli Uomini venne meno ed essi si gloriavano per quella che credevano essere stata una grande vittoria sulle forze di Mordor; Isildur, tuttavia, era giunto ai lidi del Lindor ed ivi aveva esternato a Gil-Galad, l’alto re dei Noldor in esilio, e a suo padre Elendil, sovrano di Arnor, le inquietudini che nutriva nel suo cuore, ed essi avevano convenuto con lui che era necessario consentire ai capitani delle liberi genti e ai Saggi di incontrarsi per deliberare sulle sorti di Endor, onde assicurarsi che il pericolo di Sauron fosse o meno reale; indi, rapidi messaggeri erano stati inviati in tutti i reami ove erano ancora ascoltate le parole dei Valar e fu stabilito che il concilio si tenesse ad Orthanc, la poderosa e solitaria fortificazione che i Numenoreani avevano edificato negli anni successivi alla Caduta all’estremo sud delle Montagne Nebbiose.

Le storie di quei giorni ricordano che fra coloro che presero parte al concilio, vi fossero Gil-Galad, Galadriel, Celebrian ed Elrond per i Noldor; Oropher[2] e Cirdan per i Sindar; Elendil, Isildur ed Erfea, in qualità di sovrintendente e rappresentante del regno di Gondor, ché era ancora infermo Anarion, per i Dunedain; Aldor Roc-Thalion per gli Eothraim e gli uomini del Nord e Naug Thalion e Groin per i nani di Khazad-Dum; ma poiché di tale avvenimento si narra altrove[3], qui non se ne trova resoconto completo.

A lungo discussero i sovrani e i rappresentanti dei Popoli Liberi, ché l’attacco di Sauron aveva colto di sorpresa ognuno di loro, eccetto Erfea e Gil-Galad, supremo re dei Noldor, né vi era concordia sulla strategia da adottare per contrastare le mire egemoniche del Nemico, ché vi erano ancora ostilità, solo a stento soffocate da uno sterile formalismo, tra i Naugrim ed i Sindar di Oropher[4], ed i Silvani non desideravano riconoscere come comandanti supremi dei loro eserciti gli orgogliosi Noldor; fu in tale frangente che molti dei frutti concepiti da Eru Iluvatar e benedetti dalle lacrime di Yavanna, germogliarono freschi e limpidi, ché gli spiriti dei Dunedain, non rosi da alcun astio o risentimento verso le altre Libere Genti, si applicarono affinché tali contrasti in seno al Concilio fossero superati in nome del buon senso e dell’impellente necessità di condividere una strategia comune prima che il secondo attacco di Sauron piombasse sulle loro contrade.

Al termine di una settimana, dunque, fu approvata e firmata dalle parti contraenti un’Alleanza, il cui scopo primario era arrestare la minaccia di Sauron ai reami dei figli di Eru Iluvatar, e qualora le condizioni lo avessero reso possibile, di umiliare il nero spirito di Sauron, ricacciandolo nelle Tenebra dalla quale giungeva; ciascun popolo, secondo le proprie possibilità e i propri mezzi, avrebbe contribuito alla costituzione e all’armamento di un esercito quale non si vedeva dai tempi della Guerra d’Ira, allorché Morgoth fu abbattuto ed Endor, per alcuni tempi, liberato dalla lordura dei suoi servi.

Confortato da tali notizie, Erfea Morluin fece ritorno ad Osgiliath di gran carriera, ché notizie non gli erano giunte della sua patria ad Orthanc e il suo cuore molto temeva per la sorte di Anarion che ancora giaceva nell’oblio; nulla, tuttavia era accaduto nella città in sua assenza e Meneldur era sempre al capezzale del padre, le cui ferite, sebbene fossero state curate secondo l’arte dei Numenoreani, la cui scienza all’epoca non era ancora svanita dal mondo, pur recavano nei loro labbri un veleno invisibile ai guaritori della città; pallido era il viso del sovrano e a tratti sconvolto da dolorose smorfie che incupivano l’animo e il cuore di coloro che in quei giorni l’assistevano».

Note

[1] Con tale nome si indicava la strada ove erano situate le dimore dei morti a Minas Anor, oggi nota come Minas Tirith.

[2] Si veda l’Appendice F, “Il Consiglio di Orthanc”.

[3] Sovrano degli elfi silvani di Bosco Verde il Grande e padre di Thranduil, condusse la sua gente a  Sud e  perì durante il primo assalto ai Cancelli Neri di Mordor; si veda anche “Il Racconto del marinaio e della grande battaglia”.

[4] Tali rancori erano dovuti al ricordo, mai obliato dalla stirpe di Oropher, dell’assassinio di Thingol, re degli Elfi, da parte degli artigiani nani provenienti dalla cittadella di Nogrod, avvenuto nella Prima Era a causa del possesso del Silmaril: in realtà, nessuno degli assassini era sfuggito al giusto castigo, ché erano stati trucidati da Beren e dagli Ent; pure i Sindar avevano nutrito da quel dì avversione per i Naugrim, sebbene la stirpe di Khazad-Dum fosse stata estranea a tali vicende.

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La geopolitica di Numenor: le casate reali dell’Isola dell’Ovest.

Quando scrissi Il Ciclo del Marinaio, avrei voluto inserirvi un’appendice contenente una serie di appunti – scritti in tempi diversi, ma coerenti almeno sotto il punto di vista contenutistico – che avrebbero descritto la geopolitica numenoreana all’epoca di Erfea. Non riuscendo, per varie ragioni, a completare questa appendice, ho deciso di riprendere in questa sede almeno una parte di quel materiale inedito per aiutare le mie lettrici e lettori a orientarsi all’interno di un capitolo sconosciuto, ma affascinante, della storia numenoreana. Per un approfondimento, consiglio la lettura della storia di Aldarion ed Erendis, scritta da Tolkien e contenuta nel volume Racconti Incompiuti: alcuni elementi affrontati in questo articolo e nei prossimi che pubblicherò inerenti questo tema, infatti, provengono proprio dagli scarni accenni presentati in quelle pagine in merito al funzionamento del governo numenoreano.

In primo luogo è necessaria una premessa. Al principio della sua storia, il regno di Numenor fu una monarchia assoluta all’interno della quale, tuttavia, il governo del sovrano era mitigato dall’azione di un Consiglio dello Scettro composto dai membri più importanti delle famiglie nobili di Numenor. Non conosciamo molto di queste stirpi: a parte, infatti, quella di Andunie – che discendeva in linea diretta dal primogenito di Elros Tar Minyatur, primo re di Numenor – delle altre sappiamo davvero poco. Per fronteggiare questa mancanza di dati, ho deciso di dare vita a una serie di linee principesche che discendevano dagli altri figli di Elros Tar-Minyatur, secondo questo ordine che vi presento in basso:

1) Casata reale. Vardamir Nolimon, primogenito di Elros, dette vita alla stirpe dei sovrani di Numenor. Dopo alcune generazioni, tuttavia, questa linea regale si scisse in due famiglie principesche: una, che aveva la sua progenetrice nella principessa Silmarien, primogenita del quarto re di Numenor (vi suggerisco, a questo proposito, di leggere questo bellissimo articolo scritto da Lettrice: https://soloperdirelamia.wordpress.com/2019/08/29/silmarien-e-miriel-regine-che-hanno-perso-il-trono/), che fondò la casata di Andunie (vedi sotto) e l’altra che proseguì sino all’ultima coppia di sovrani, Ar-Pharazon il Dorato e sua moglie (nonché cugina di prima grado) Ar-Zimpharel (o Miriel, se preferite, come me, il suo nome elfico). Il simbolo di questa casata era lo stendardo numenoreano, lo stesso che potete notare nei miei commenti e al centro della pagina di apertura di questo blog. Una linea cadetta della casata reale portò a due funesti frutti: il primo dei Nazgul, Er-Murazor, era il secondogenito di un sovrano numenoreano; suo cugino era il terzo nazgul di origine numenoreana, Akhorahil. Se siete interessati alle biografie di questi Nazgul, vi consiglio la lettura di questi articoli: Er-Murazor, il Primo dei Nove e Akhorahil, il Re Tempesta, il Quinto.

2) Casata di Tindomiel. Seconda figlia di Elros, dette vita alla stirpe dei principi di Forostar. Costoro divennero, in seguito, tra i principali sostenitori della fazione nazionalista di Numenor, ostile agli Elfi e ai Valar. Adunaphel l’Incantatrice, la Settima fra i Nazgul, discendeva da questa famiglia principesca (per saperne di più, vi suggerisco la lettura di questo articolo: Adunaphel l’Incantatrice. La Settima). Tale linea, a sua volta, si scisse alla metà della Seconda Era, dando vita alla casata dei principi dello Hyarnustar (vedi sotto), anche questa fervente sostenitrice dei Numenoreani nazionalisti. Khorazid e Antenora, che presero parte al complotto organizzato da Ar-Pharazon per prendere lo scettro, furono gli ultimi rappresentanti noti di questa casata. Il simbolo di questa casata era una luna calante argentata su sfondo blu; questo stendardo, modificato in parte, fu adottato da Adunaphel come suo vessillo da guerra, sostituendo il colore blu con quello rosso.

3) Casata di Manwendil. Terzo figlio di Elros, fu il capostipite della stirpe dei principi di Orrostar. Anche questa linea, come la precedente, in seguito divenne accesa sostenitrice degli «Uomini del Re», come erano chiamati i Numenoreani nazionalisti. Azaran, principe dell’Orrostar, fu uno dei nobili che presero parte al complotto promosso da Ar-Pharazon per rovesciare Miriel; egli era considerato eccezionalmente ricco dai suoi contemporanei, tuttavia il suo oro non lo aiutò a scampare alla morte, avvenuta per effetto dell’incendio della sua dimora, appiccato, sembra, ad opera dei servi del nazgul Akhorahil. Il simbolo di questa casata rappresentava un’ala di gabbiano su sfondo giallo.

4) Casata di Atanalcar. Quarto e ultimo figlio di Elros, fu il principe della regione di Numenor nota con il nome di Hyarrostar. Dopo di lui vi furono 24 principi, fra i quali i più famosi furono il grande ammiraglio Cyritur, che salvò la Terra di Mezzo dall’annientamento durante la prima guerra condotta dai Numenoreani contro Sauron, combattuta nell’anno 1700 della Seconda Era e, naturalmente, Erfea, che fu anche l’ultimo principe di Hyarrostar. Cyritur ebbe due figli: il maggiore continuò il lignaggio della stirpe paterna, mentre il più giovane ricevette dal sovrano il feudo su un’altra regione di Numenor, dando vita alla stirpe dei principi di Mittalmar (vedi sotto). Il simbolo di questa casata era una rosa bianca impressa su uno scudo araldico per metà nero e per metà azzurro.

5) Casata di Andunie: fondata da Silmarien e da suo marito, Elatan di Andunie, questa stirpe principesca reale governò il feudo di Andunie, la regione più occidentale di Numenor, all’interno della quale la maggior parte della popolazione restò legata all’amicizia con gli Elfi – che spesso approdavano su quelle spiagge – e con i Valar. Attraverso i secoli, dalla casata di Andunie emersero Uomini e Donne di grande valore e statura morale: basti pensare a Elendil e ai suoi figli, Isildur e Anarion; o ancora, per restare alle vicende de Il ciclo del Marinaio, a Nimrilien, moglie di Gilnar e perciò madre di Erfea. Da Isildur, attraverso molte generazioni, si giunge infine ad Aragorn e agli eventi raccontati ne Il Signore degli Anelli. Il simbolo di questa casata, prima dell’inabissamento di Numenor, era un delfino bianco su sfondo argentato, contornato da sette stelle e sette palantiri; successivamente assunse i più noti colori neri e argentati, ponendo al centro del proprio vessillo l’Albero Bianco.

6) Casata di Mittalmar: fondata dal secondogenito del grande ammiraglio Cirytur nel XVIII secolo della Seconda Era, questa casata ricevette in feudo dal sovrano una delle regioni centrali e più popolose di Numenor, il Mittalmar. La scelta di attribuire un feudo così importante a una linea cadetta, se pure di origine regale, non deve sorprendere: il sovrano aveva contratto un grande debito nei confronti di Cyritur, perché costui aveva trionfato sulle armate di Sauron, che era ormai giunto sul punto di conquistare tutta la Terra di Mezzo, salvo poche ridotte. I principi di Mittalmar, tuttavia, non furono mai compresi nel «Consiglio dello Scettro», proprio perché la loro linea non era considerata di primaria importanza. Negli ultimi secoli della Seconda Era questa casata si indebolì progressivamente; gli ultimi eredi furono tre principi ambiziosi e di belle speranze: Arthol (coetaneo di Erfea); Gilmor, sua sorella, nata dieci anni più tardi del fratello e, infine, il loro cugino più anziano Brethil, anch’egli molto amico del principe dello Hyarrostar. Oberati dai debiti e prossimi ormai al tracollo finanziario, i due fratelli organizzarono una congiura per uccidere l’erede al trono di Numenor, la giovane Miriel, e prendere così il potere in modo violento. A questo tentato Colpo di Stato non furono estranei neppure i Nazgul di origine numenoreana. Ad ogni modo, grazie alle rivelazioni di Erfea, che aveva scoperto causalmente il complotto, Arthol e Gilmor furono puniti con la pena capitale, mentre Brethil, che si rivelò estraneo alla congiura, fu risparmiato. Da quel momento in poi, tuttavia, memore della parte che la casata dei principi di Mittalmar aveva avuto nel tramare contro la sua persona, Miriel diffidò profondamente di Brethil, osteggiandolo apertamente ogni qual volta le era possibile, giungendo, alla fine del suo breve regno, a privare il principe di ogni carica. Brethil morì poco dopo l’ascesa al trono di Ar-Pharazon e con la sua scomparsa la casata di Mittalmar cessò di esistere. Il simbolo di questa casata era la spada di Cirytur impressa su uno sfondo verde.

7) Casata dello Hyarnustar: fondata da un membro cadetto della casata di Tindomiel, questa casata ottenne un grande feudo corrispondente alla parte sud-occidentale di Numenor, chiamato con il nome di Hyarnustar. Questa casata fu sempre in competizione con quella di Andunie per il possesso del porto di Eldalonde, che si trovava a metà tra i due feudi; ben presto la rivalità commerciale si tramutò in una contrapposizione politica, che vide i principi dello Hyarnustar militare nel partito nazionalista numenoreano. L’ultimo principe noto di questa casata fu Dokhor, un avido e rozzo guerriero che prese parte al complotto ordito da Ar-Pharazon per rovesciare Miriel. Il simbolo di questa casata era un calice d’oro su sfondo nero.

In questa mappa, tratta da L’Atlante della Terra di Mezzo di Karen W. Fonstad, ho inserito i nomi delle casate e i loro orientamenti politici. Non sono un grafico, però mi auguro che le associazioni geopolitiche risultino abbastanza chiare.

Mappa di Numenor

In questo schema, invece, proverò a ricostruire i legami di parentela delle principali famiglie nobiliari dell’Isola dell’Ovest.

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Come si evince dallo schema in alto, Erfea e Miriel erano dunque imparentati, seppure alla lontana. Questa parentela rende ancora più incerta la soluzione dell’enigma relativo alla profezia di Manea la Veggente, che ne Il racconto del Marinaio e della Principessa, mise in guardia i genitori della bella principessa numenoreana in merito al triste destino che avrebbe conosciuto qualora avesse stretto vincolo matrimoniale con un Uomo del suo sangue. Naturalmente, si può immaginare che la Veggente alludesse ad Ar-Pharazon, che era cugino di primo grado della donna, ed era dunque più vicino a lei, dal punto di vista «genetico», di quanto non lo fosse Erfea (e questo era anche il parere di Tar-Palantir, padre di Miriel, come avrete modo di scoprire nel racconto al quale mi sto dedicando in questi ultimi tempi); ciò nonostante, permane, come è d’uopo in tutte le profezie, una certa ambiguità di fondo che rende la questione ancora più affascinante e pone una domanda destinata a restare insoluta: cosa sarebbe accaduto se Miriel ed Erfea si fossero sposati? La profezia di Manea avrebbe colpito anche loro? Nessuno lo saprà mai.

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Care lettrici, cari lettori, in questo articolo proseguo la narrazione degli eventi che condussero le armate di Sauron a conquistare la parte orientale del Regno di Gondor, inclusa la città di Minas Ithil, dove Isildur aveva il suo trono. Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Per dodici giorni la Città della Luna subì un terribile assedio, eppure i suoi difensori non accennavano a deporre le armi, ché molto temevano gli Orchi gli esuli di Numenor e fuggivano terrorizzati allorché scorgevano Sulring brillare nelle tenebre; pure, molti valorosi combattenti erano caduti, vittima della nequizia di Sauron e fra costoro vi erano capitani di grande valore; infine, durante la notte del dodicesimo giorno dell’assedio, grave ed improvvisa sorse una nuova minaccia ad oriente ed essa atterrì i cuori dei Dunedain: un’imponente macchina avanzò, alta cento piedi e lunga il doppio, trainata da massicci Troll e si fermò a meno di una lega dal cancello.

“Quale nuovo artificio del nemico è codesta arma? – gridò Erfea rivolto ad Anarion che combatteva al suo fianco – Non ho mai veduto nulla di simile, eppure il mio cuore teme, ché mai ho obliato le fucine di Amon-Lanc[1] ed esse sono ben poca cosa se paragonate alle immense forge di Barad-Dur, ove i fuochi ardano da mane a sera e infiniti sono gli schiavi ivi torturati dal possente calore che questi generano.”

Non si erano ancora spenti gli ultimi echi di tali parole, che altre scale furono issate e su di esse salirono Orchi imponenti, la cui immonda pelle era ricoperta da grandi cotte di maglia; non erano però costoro ad ottenebrare le menti di coloro che difendevano le mura, ché, nel medesimo istante, si udì un gran sordido brontolio e la terra parve tremare sotto i loro piedi, mentre un’intensa luce brillava ad oriente. Parecchi Uomini e Orchi caddero dalle mura, sfracellandosi al suolo, mentre alte urla di gioia si levavano dall’accampamento di Adunaphel. Inquieto divenne allora il viso di Erfea ed egli si precipitò innanzi al cancello, ove a lungo rimase immobile, quasi che la sua mente si rifiutasse di credere a quanto l’oscura arte del nemico aveva realizzato: un imponente fusto di acciaio, montato su decine di ruote, si ergeva innanzi a lui e molti Uomini gli si accalcavano intorno, gli uni sfregando il nero metallo, gli altri versando al suo interno barili di polvere nera. Nessun racconto ha mai tramandato il nome di codesta poderosa macchina d’assedio ed essa fu utilizzata solo durante l’assedio di Minas Ithil: non vi era però dubbio che provenisse dalle oscure fucine di Barad-Dur, ché rune malefiche ne adornavano la superficie ed esse erano scritte secondo il modo di Mordor. Stupito, il Sovrintendente osservava silente tale artefatto, chiedendosi in quale modo avrebbe potuto arrestare la sua temibile forza distruttiva, allorché, per la seconda volta, una luce brillò, forte e terribile ad oriente, e il Cancello tremò nuovamente, come se migliaia di magli si fossero abbattuti sulle sue porte di ferro. La terra levò un gemito e alcune costruzioni nei pressi della prima cinta muraria caddero al suolo, conducendo nella loro agonia gli sfortunati abitanti.

Lesto come un incendio in estate, il panico dilagò in città e molti soldati indietreggiarono, chiedendosi cosa fosse accaduto: Isildur e Anarion erano infatti dispersi, né vi era tempo sufficiente per indagare sulla loro sorte, ché molti Orchi si radunavano innanzi al cancello e questo non avrebbe retto ancora a lungo; in tale ora buia, la speme tuttavia non disparve ché Elendur, primogenito di Isildur e Uomo di grande valore, prese il comando dei soldati superstiti e riuscì a condurne molti al riparo della seconda cerchia di mura, senza che la sua retroguardia subisse dure perdite: trinceratisi alle spalle dell’imponente muraglia, Elendur si premurò affinché i feriti fossero condotti nella Case di Guarigione e con orrore si rese conto che meno di tremila soldati di Gondor erano con lui in tale frangente; rabbia mista a dolore allora si destò nel suo cuore, ché nessuno era in grado di affermare ove fossero i sovrani di Gondor. Aratan e Cyrion erano tuttavia con l’erede di Isildur, ché erano i suoi fratelli minori ed essi ne amavano la fermezza del carattere e la sua lungimiranza, ed erano temprati dal medesimo fuoco della battaglia; torvi però erano i loro sguardi in quell’ora oscura ed essi parlavano poco finanche con i loro capitani, i quali, impazienti, attendevano ordini.

Tale era stata la manovra di Elendur, che gli Orchi non si dettero pensiero di inseguire i superstiti all’interno della seconda cerchia di mura, ma si accanirono contro il cancello; lenta, sorse un’alba vermiglia ma essa non recò sollievo nel cuore degli uomini, ché pochi erano ancora desti e molti giacevano nei loro miseri ricoveri, nelle piazze, ovunque vi fosse uno spazio sgombro dalle macerie e dai detriti delle mura che crollavano attorno a loro; infine la Guardia levò un grido di stupore e meraviglia, sicché molti soldati si destarono e corsero ad armarsi, temendo che gli Orchi fossero penetrati nella Città: grande fu dunque la loro sorpresa e gioia allorché essi scorsero i figli di Elendil e il Sovrintendente salire lungo le scale interne della seconda cinta di mura; trombe allora echeggiarono nelle aule diroccate e nelle piazze affollate ed Elendur strinse commosso suo padre, mentre costui elogiava il coraggio dei suoi eredi. Nessuno, tuttavia, fu allora in grado di apprendere quale compito avessero portato a termine i tre Uomini, ché essi non ne fecero parola con alcuno, eccetto i figli di Isildur; solo in seguito fu detto che essi avevano impedito che la poderosa arma di Adunaphel potesse far echeggiare nuovamente il suo odio nei confronti di Gondor ed essa giacque distrutta nella pianura, simile all’immonda carcassa di una bestia mostruosa vissuta nelle lande selvagge di Angband, e gli Orchi di Mordor l’evitavano, sicché per qualche ora più gli archi furono tesi e le spade sguainate.

Lesto allora si tenne un consiglio di guerra e la situazione parve subito grave a quanti lo presenziarono. Prima fra tutte si levò la chiara voce di Erfea: “La difesa della città è ormai divenuta impossibile, a meno che non giungano rinforzi da altre contrade. La popolazione di Minas Ithil deve essere fatta evacuare adesso, né è possibile aspettare altro tempo: dobbiamo scegliere se preservare l’onore o le vite di migliaia di donne e bambini.”

Silenti, i capitani di Gondor rifletterono a lungo su quale strada percorrere, ché entrambe le scelte avrebbero potuto condurre ad un triste destino, ché, se gli Orchi fossero stati in numero tale da impedire un ripiegamento del loro popolo ad Osgiliath, essi sarebbe andati incontro ad una carneficina; infine, scuro e irato in volto, Isildur parlò: “A che pro dovremmo fuggire innanzi al nemico? Non sarebbe soluzione più saggia far sì che le truppe di stanza ad Osgiliath e a Minas Anor accorrano in nostro aiuto, piuttosto che presentarci dinanzi ai loro attoniti occhi sconfitti? Un cancello è caduto nelle mani del Nemico, eppure la città resiste ancora! Se il parere dei miei capitani sarà favorevole a tale proposta, invierò dei rapidi messaggeri ad Aldor Roc-Thalion, l’Alto Theng dei popoli del Rhovanion, antichi alleati della nostra gente affinché egli possa condurre le sue schiere in nostro soccorso.”

Elendur sostenne lesto la proposta del padre: “Nessun Orco può vantare di aver mai catturato una città difesa da uomini valorosi quali noi siamo. Perché dovremmo abbandonare le nostre dimore, che edificammo al prezzo di molti sacrifici e di duro lavoro? Se tale è il nostro destino, che il mondo degli Eldar e degli Edain debba perire nella Tenebra, ebbene possano essere l’elmo e la cotta di maglia i nostri orgogliosi sudari!”

Molte voci contrastanti si levarono, le une sostenendo che la proposta di Erfea fosse ragionevole, le altre affermando che il coraggio del sovrano doveva essere premiato dalla fedeltà incondizionata del suo popolo; ancor prima che si giungesse ad una soluzione, tuttavia, lesto fece il suo ingresso un messaggero, il cui viso era provato dall’enorme tensione che si agitava nel suo animo. Stupiti e costernati lo osservarono Isildur e Anarion, ché sembrava evidente che costui recasse con sé novelle foriere di sventura: infine il messaggero parlò e invero le sue parole furono orribili ad udirsi in quell’ora oscura.

“Signori di Gondor, la sventura è caduta sui nostri popoli! Hoarmurath di Dìr, il cui nome sia cento e cento volte maledetto, ha incendiato i campi e gli accampamenti del mio popolo; lunga è stata la pugna, ma al calar della notte le sue schiere hanno infine trionfato, impadronendosi di un ricco bottino in armi e viveri. Inutile è stato contro la potenza del Signore della Terra Nera il coraggio delle schiere dei popoli liberi ed essi ora sono dovuti arretrare, abbandonando l’intero Rhovanion nelle mani dell’infame spettro.”

Silenzio regnò per un lunghissimo istante, infine le voci dei presenti si levarono nel medesimo istante, quasi che una misteriosa volontà avesse ordinato loro di parlare all’unisono: il panico si impadronì di quanti avevano prima sostenuto tale assedio essere la stolta opera di un servo di Mordor e non già del suo Oscuro Signore; alcuni, con la mente sconvolta da tali notizie infauste, gridarono che finanche Osgiliath avrebbe dovuto essere abbandonata, ché l’intera sponda orientale dell’Anduin era ormai indifendibile, mentre altri corsero ad affacciarsi alle finestre a nord, temendo che le schiere di Hoarmurath fossero prossime a reclamare nuovo bottino.

Erfea, tuttavia, soffiò nel suo olifante ed ecco che i cuori degli Uomini si calmarono e il silenzio scese nuovamente fra loro: “Non perdete la speme, uomini di Gondor! Non è forse stato detto che il tempo è tiranno sia con coloro che servono la causa dei Valar sia con coloro che la contrastano? Ebbene, ancor prima che le nostre schiere si scontrino con quelle dell’Avversario, sappiate che entrambi gli schieramenti dovranno vincere la propria battaglia contro il Tempo, che, inevitabilmente, corre verso Occidente.

Questo io ti chiedo di rivelarci, messaggero di Aldor Roc-Thalion: quanti giorni sono passati dacché è crollata l’ultima resistenza nel Rhovanion?”

“Mio signore, trenta lune si sono levate da quel triste giorno: il mio popolo è ora fuggito ad Occidente e dimora nei pressi del Guado del Carrock[2], a molte leghe a nord dalle città degli uomini del Mare.”

Erfea rifletté per un attimo, infine parlò: “Sauron ha dato infine dimostrazione di voler schierare le sue forze in tempi diversi, ché vuole saggiare il morso degli eserciti dell’Ovest prima di scatenare il suo più pericoloso servo; non tutti voi, credo, si rendono conto dell’incredibile fortuna che la Sorte ha riservato ai figli di Eru Iluvatar, perfino in tali sventure.”

Anarion, dopo aver ponderato in silenzio quella che a molti pareva una frase senza alcun senso, ne intese il significato e il suo cuore fu pieno di gioia, ché comprese non essere ancora perduta la guerra.

“Erfea Morluin, sagge e veritiere sono le tue parole, ché il Signore dei Nazgul non è ancora giunto nelle nostre terre; tale è dunque il corso degli eventi che sarà possibile salvare il maggior numero di vite prima che giunga il Capitano degli eserciti di Mordor. Sappiate, tuttavia, che è stata concessa solo tale occasione per evitare che la catastrofe si abbatta su di noi; celere deve essere la nostra azione, ché essa non dovrà insospettire il nemico.”

Isildur rifletté a lungo sulle parole che il fratello aveva pronunciato, infine parlò a sua volta: “Se ho ben compreso il pensiero del Sovrintendente, altre schiere dell’Avversario potrebbero giungere nei prossimi giorni e non è nelle nostre attuali possibilità fermare una tale potenza; è necessario dunque che uno fra noi prenda la via che conduce al mare e di lì al reame di Arnor, affinché Elendil possa essere avvisato del pericolo che corrono le libere genti di Endor e possa soccorrerci con le sue schiere. Tale è la mia volontà, in questa ora oscura, ché prendo su di me la responsabilità di assicurare il buon esito di una missione sì importante per le sorti del nostro popolo.”

Aratan, secondogenito del sovrano, espresse allora il suo pensiero: “Nobile padre, non sarebbe meno rischioso comunicare con il nostro sovrano tramite il palantir di Osgiliath, piuttosto che sfidare la collera di Ulmo?”

“Giovane principe, sebbene l’Oscuro Signore di Mordor non abbia simili strumenti, sarebbe tuttavia capace di interferire con la sua tirannica volontà, qualora uno fra noi, finanche il Signore di Gondor, osasse fare uso del Palantir; forse Sauron si limiterebbe ad osservare, ma se anche egli non pronunciasse parola, tuttavia i nostri piani sarebbero messi a nudo ed egli infine trionferebbe. Ecco dunque il mio consiglio: una piccola spedizione dovrà abbandonare Minas Ithil prima che il sole sorga, ché la luna non sarà visibile questa notte e gli Orchi vagano ancora qua e là, resi inoffensivi dalla paura; essa tuttavia sarà presto occultata dalle promesse di saccheggio e il cuore mi dice che tale giorno non tarderà a giungere. Un vascello sarà allestito ad Osgiliath ed esso condurrà ai porti di Cirdan la speme del popolo di Gondor.”»

Note

[1] Si veda “Il racconto del Marinaio e del Nanosterro”.

[2] Il Guado del Carrock era situato nella contrada dell’Alto Anduin, a nord dei Campi Iridati.

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