The courage of Miriel

“Touch this Man and your blade will have to be stained with a double crime!”; so beautiful the sovereign of Numenor appeared, despite the wound on her head darkening the warm light of her hair, that even the Black Numenorean stopped her blade, seized by doubt and remorse; then, gripping Sulring – who, fortunately, was lying not far from me – I shook a single upward blow with desperation, while with the injured limb I pushed Tar-Miriel away from the Black Numenorean. Eargon backed off, astonished, and touched himself the wounded chest; then he looked at the great carnage that was going on in the lower room and his gaze expressed despair mixed with repentance”.

Potete leggere o rileggere questo brano in italiano qui: L’Infame Giuramento_IX Parte e ultima (Il trionfo di Pharazon)

Illustrazione – L’eroismo di Miriel

Care lettrici, cari lettori,
quest’oggi voglio presentarvi una nuova bellissima illustrazione di Anna Francesca, che rappresenta uno dei momenti forse più drammatici dei racconti de «Il Ciclo del Marinaio»: Erfea, battuto in duello da Eargon – uno dei capi della fazione di Numenoreani Neri che vuole prendere il potere sull’isola del Dono – e ormai prossimo ad essere ucciso, viene salvato dal coraggio di Miriel, che si frappone tra lui e il suo carnefice.
Per coloro che volessero leggere (o rileggere) integralmente la scena, suggerisco di cliccare su questo link: L’Infame Giuramento_VIII Parte (Il colpo di Stato di Eargon)

Per tutti gli altri, lascio qui una descrizione sintetica a corredo di questa bellissima illustrazione.

«Non so dire quanto tempo trascorse; infine, a causa della spossatezza che la ferita procurava alle mie carni, Eargon riuscì, con un abile colpo a disarmarmi; allora la rabbia si impadronì della sua mente ed egli perse totalmente ogni barlume di ragione, gridando oscure parole, incomprensibili ai più; alta levò la lama e funesto sarebbe stato il mio destino se Tar-Miriel, pallida nel volto, ma ferma nella sua volontà, non gli si fosse parata dinanzi, pronunciando parole di sfida:
“Tocca quest’Uomo e la tua lama dovrà macchiarsi di un doppio crimine!”; sì bella appariva la sovrana di Numenor, nonostante la ferita sul capo ottenebrasse la calda luce dei suoi capelli, che finanche il Numenoreano Nero arrestò la sua lama, colto dal dubbio e dal rimorso».

Eargon_Erfea_Miriel

L’Infame Giuramento_IX Parte e ultima (Il trionfo di Pharazon)

Cari lettrici e lettori, siamo ormai giunti all’ultima parte del «Racconto dell’Infame Giuramento e del Marinaio». Il finale si annuncia amaro e triste, né, come spiegavo nel precedente articolo, avrebbe potuto essere diverso.
Per comodità di chi leggerà questo epilogo, riassumo brevemente le vicende fin qui intercorse.

Palantir, ormai anziano e reso sconfortato da un popolo che non mostra, nel suo insieme, segni di ravvedimento dalla sua scelta di allontanarsi dagli Elfi e dai Valar, decide di abdicare al trono di Numenor, lasciando la corona e lo scettro alla sua unica figlia, la bellissima principessa Miriel, e chiedendo ad Erfea, uno dei principi numenoreani a lui fedeli, di aiutarla nella sua missione governativa. Pharazon, cugino della nuova sovrana, sostenuto da un numeroso gruppo di principi e capitani, si ribella alla scelta di Palantir e decide di intraprendere una guerra civile per prendersi il trono. Consapevole che la sua forza militare e le sue ricchezze da sole non saranno sufficienti per impadronirsi dello scettro di Numenor, Pharazon si rivolge ad alcuni potenti alleati della Terra di Mezzo, Er-Murazor, Adunaphel e Akhorail, senza sospettare che in realtà essi, sotto le loro spoglie mortali, sono gli Spettri dell’Anello, i Nazgul, che agiscono per conto di Sauron, intenzionato a distruggere Numenor. Nelle grotte dell’isola, in un luogo deputato al culto di antiche divinità senza nome, ha luogo una drammatica riunione del partito sostenitore di Pharazon che si conclude con la sconfitta e la morte dei capi della fazione più moderata di questo schieramento e la scelta di sostenere Pharazon nell’ascesa al trono di Numenor. Le linee programmatiche sono quindi fissate: Miriel e i Paladini, tra i quali Amandil, suo figlio Elendil e il nipote Isildur, Erfea e Brethil, non dovranno essere toccati, per evitare la reazione del popolo. Pharazon, dunque, dovrà muoversi su un duplice piano: vincere la guerra civile, ma senza uccidere i capi della fazione avversa. Tra i Numenoreani seguaci di Pharazon si segnala un giovane ammiraglio, Eargon, figlio del tesoriere Morlok, che diventa l’amante di Adunaphel, sperando con il suo aiuto in una rapida ascesa nella sua carriera politica e militare. Una volta scoppiata la Guerra Civile, i Paladini di Numenor, impegnati a contrastare le armate di Pharazon nella Terra di Mezzo, scoprono di essere stati traditi dalla loro regina, che li invita ad abbandonare le armi e a riappacificarsi con il loro nemico; dopo aver votato per continuare la guerra agli ordini di Amandil, essi fanno ritorno a Numenor, dove sono invitati a prendere parte a una riunione del Senato che si rivelerà determinante per il futuro dell’Isola del Dono. Nel corso di un drammatico consesso, si scopre che Miriel era stata tenuta in ostaggio dai numenoreani fedeli a Eargon: questi, tramite un sotterfugio, scatena un Colpo di Stato, trovandosi ben presto faccia a faccia con Erfea, ferito da una freccia, con il quale inizia un feroce duello…

Non so quale potrà essere la vostra reazione dinanzi alle righe che vi apprestate a leggere. Può essere che vi piacciano, vi sconfortino o, più semplicemente, non incontrino il vostro gusto. Ci sta, fa parte del «gioco» che si instaura, inevitabilmente, tra autore e lettore. Mi permetto, ad ogni modo, di suggerirvi una chiave di lettura per approcciarvi all’epilogo di questo racconto: il fattore temporale. Nella vita reale così come in quella cartacea, i personaggi devono sempre fare i conti con il tempo dato loro a disposizione. Nella maggior parte dei casi si tratta di un tempo breve, che costringe i personaggi a fare i conti con la propria mortalità, nel tentativo di riuscire a soddisfare i propri obiettivi nel minor tempo possibile. In altri casi (e questo accade principalmente nei racconti fantasy), i personaggi possono disporre di un tempo maggiore e, in alcuni casi, anche di una salute e di una giovinezza che perdurano più a lungo di quanto non accada nel mondo reale. Ragion per cui tenete conto del fattore temporale nel leggere questo epilogo…

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Non so dire quanto tempo trascorse; infine, a causa della spossatezza che la ferita procurava alle mie carni, Eargon riuscì, con un abile colpo a disarmarmi; allora la rabbia si impadronì della sua mente ed egli perse totalmente ogni barlume di ragione, gridando oscure parole, incomprensibili ai più; alta levò la lama e funesto sarebbe stato il mio destino se Tar-Miriel, pallida nel volto, ma ferma nella sua volontà, non gli si fosse parata dinanzi, pronunciando parole di sfida:
“Tocca quest’Uomo e la tua lama dovrà macchiarsi di un doppio crimine!”; sì bella appariva la sovrana di Numenor, nonostante la ferita sul capo ottenebrasse la calda luce dei suoi capelli, che finanche il Numenoreano Nero arrestò la sua lama, colto dal dubbio e dal rimorso; allora, impugnata Sulring – la quale, fortunatemente, giaceva non lungi da me – vibrai con disperazione un unico colpo verso l’alto, mentre con l’arto ferito spingevo Tar-Miriel lontano dal Numenoreano Nero. Eargon arretrò, stupefatto, e si toccò il petto ferito; allora mirò la grande carneficina che era in corso nella sala in basso e il suo sguardo espresse sconforto misto a pentimento.
Levatomi, mi approssimai allora alla sua figura che giaceva non lungi dalla balaustra; egli, respirando a fatica, ché la morte era prossima a sottrargli il soffio vitale, rantolò tali parole: “Hai combattuto valorosamente, figlio di Gilnar; sebbene sia l’artefice delle mia morte, non nutro verso di te alcun sentimento di rancore. A lungo ho errato e forse mai alcuna parola o gesto potrà cancellare le colpe di cui si è macchiato il mio onore; lascia, tuttavia, che io ti sveli chi è l’artefice di questo inganno, ché, se io fui l’esecutore, egli ne fu lo spietato artefice”. Prossimo era a rivelarmi il nome del mandante di quella vile strage, quando il suo volto mutò espressione e fu preda dell’angoscia; con orrore, mi avvidi allora che anche gli altri Numenoreani erano impauriti e molti striscivano via, occultandosi dietro i massicci scranni in quercia: una piccola schiera aveva fatto il suo ingresso nella sala e alla loro testa erano quattro guerrieri imponenti.
Colui che marciava innanzi ai suoi commilitoni era Pharazon, la cui armatura sontuosa recava impressi numerosi ornamenti; non fu però il suo sembiante a riempire di terrore l’animo di tutti, ché erano con lui tre guerrieri il cui volto era occultato da ampie cappe nere; ovunque essi volgessero il capo, i Numenoreani posavano le armi e non osavano rivolgere loro alcuna parola. Giunti che furono dinanzi allo scalone che conduceva alla terrazza ove ero, uno fra essi avanzò e fui finalmente conscio della sua identità, ché egli era uno degli Ulairi, gli immortali schiavi dell’Oscuro Signore; il Nazgul levò in alto il suo lungo braccio pronunciando parole che non mi arrischierò a pronunziare in questi giorni sì tristi e parve ai miei attoniti occhi che i labbri della ferita di Eargon si aprissero sempre più; costui, allora, non potendo tollerare oltre modo un sì grande dolore, raccolte le ultime forze che ancora gli restavano, si scagliò contro il suo aguzzino, pronunciando un’unica parola: “Adunaphel!” Il Nazgul, tuttavia, fu più svelto e la sua lama tranciò il misero corpo del Numenoreano, con una forza tale che i suoi resti si sparsero per tutta la sala. Infine, fu il silenzio a regnare sovrano.

I compagni di Erfea, che avevano ascoltato tutto senza proferire parola alcuna, rabbrividirono allorché udirono della orrenda morte del figlio di Morlok; infine Elrond parlò: “Credi che il Numenoreano avesse così voluto fornirti il nome che era sul punto di rivelarti prima che gli Ulairi facessero il loro ingresso nella sala? E se tale fosse il tuo parere, ritieni che egli conoscesse quali informazioni possedessi sui Nazgul?”
Lenta echeggiò la voce del principe di Elenna, che in tali termini si espresse: “Non vi è risposta certa alle tue domande, Signore dei Noldor; forse, in qualche modo che io ignoro, Eargon era giunto a conoscenza del mio viaggio sino alla fortezza degli Ulairi nell’estremo Harad e sapeva che avrei dunque compreso un nome che risuonava oscuro ai più; o forse, egli voleva solo imprecare contro colei che l’aveva privato di quanto un Uomo non dovrebbe mai perdere”.
Tacque un attimo, indi riprese a parlare: “Allorché il Nazgul ebbe rinfoderato la sua lama, e si fu allontanato dallo scalone, io ne discesi a fatica gli alti gradini, aiutato in questo da Tar-Miriel che si ergeva accanto a me. Triste fu lo spettacolo che si stendeva sotto i nostri occhi: decine di corpi giacevano riversi sul pavimento o chini sugli scranni presso i quali inutilmente avevano tentato di trovare la salvezza; una aria greve sembrava esalare dal basso e i nostri sguardi erano penosi. La schiera di Pharazon, giunta per sedare la ribellione, si era ormai ritirata, lasciando solo alcune guardie nella sala; esse ci rivolsero deferenti inchini, esortandoci a riunirci con quanti ancora dei Fedeli sopravvivevano: mio padre e mia madre, seppure feriti e spossati, erano con i Signori della Casa di Andunie, anch’essi salvi. Brethil comparve alle mie spalle ed io mi avvidi che era incolume; tuttavia, prima che potessi parlargli, apparve Pharazon ed egli chinò il suo capo, rivolgendomi queste parole: “Mi duole, principe dello Hyarrostor, vedervi sì provato da una simile disgrazia; forse ora comprenderete quanto le mie parole fossero nel giusto, allorché esortai il Consiglio dello Scettro a cedere il comando ad un Uomo di maggior ingegno e prudenza dotato”.
“Avete condotto in questo luogo, un tempo sacro, gli schiavi immortali dell’Oscuro Signore! La follia si è impadronita della vostra mente!” Con rabbia aveva pronunziato tali parole, ma la mia voce era ormai ridotta ad un rantolo confuso; Pharazon non mostrò di averla udita, oppure, se intese le mie parole, pure le ignorò: fummo condotti via, ché il cugino della sovrana addusse quale scusa per allontanarci esservi ancora presenti implacabili nemici. Tar-Miriel, tuttavia, fu trattenuta ed io non potetti far nulla, ché molto sangue avevo perso e dei Fedeli erano pochi quelli ancora in grado di impugnare un’arma.

Lacrime di rimorso scivolarono allora via dalle gote di Erfea, e il suo tono si incrinò, tuttavia egli proseguì nella narrazione: “Nei giorni successivi, le ferite che ci erano state inferte furono sapientemente guarite dagli Erboristi della nostra dimora; eppure, la vita pareva aver abbandonato i corpi di mio padre e mia madre ed essi, sebbene riacquistassero coscienza, pure si spensero lentamente e, alla fine dell’anno, io rimasi l’unico Signore dello Hyarrostar e fui anche l’ultimo a onorare un simile titolo.
Nei mesi successivi, Pharazon intensificò il suo potere a corte e condannò a morte gli ultimi sostenitori di Eargon che ancora gli resistevano; infine, una calda sera di luglio, egli inviò messaggeri presso tutti i nobili del Regno, invitandoli a prendere parte ad un evento quale mai prima i loro occhi avevano mirato.
Giunti che fummo ad Armenelos, ci avvedemmo quanto fossero rimasti in pochi ad innalzare gli antichi vessilli di Numenor, ché la maggioranza dei soldati recava le insegne nere e dorate di Pharazon; allorché egli si avvide che i suoi ospiti avevano preso posto, si levò dal suo scranno e due oscure figure avanzarono ai suoi fianchi; infine, giunto dinanzi alla balaustra che si affacciava sul grande piazzale che occupavamo, levò il braccio destro e chiese la parola.
“Numenoreani! Gli eventi di recente accaduti mi hanno dimostrato che solo un Uomo dotato di possente volontà e sorretto da amici valorosi ed equi, può condurre i nostri destini verso un avvenire glorioso; non crediate, tuttavia, che questo sia un incarico al quale mi approssimo inconsapevole: alcuni anni fa, come molti fra voi ricorderanno – e qui il suo sguardo cadde ironico su di noi – certuni sostennero che la regina Tar-Miriel avrebbe agito saggiamente, sconfiggendo i nostri nemici; eppure, una serie di ribellioni sono state provocate, le une causate dalla sua incompetenza nella difficile arte di governare, le altre da ingenui comandanti privi di ogni lungimiranza e prudenza.
Non vi sembra, dunque, che tale corso infausto degli eventi molte sofferenze abbia arrecato al nostro popolo? Mirate, o Numenoreani, le tristi sembianze di coloro che subirono le orribili cicatrici della guerra e le sventure della miseria! Mirate le oscure carceri ove furono racchiusi pericolosi ladri e biechi assassini, le cui azioni l’imbelle sovrana non seppe frenare! Mirate i lussuriosi postriboli, ove giace, oziando, la nostra gioventù! Mirate tutto questo, o Numenoreani, e domandate ai vostri animi chi è il responsabile del degrado che fino ad oggi ha imperato sulla nostra isola!”
“Tar-Miriel, Tar-Miriel!” prese ad urlare la folla, accompagnando il suo nome con osceni epiteti che non riferirò qui dinanzi a voi; allora, Pharazon levò nuovamente il braccio e chiese la parola:
“Se io fossi, Amici, un Uomo quale questi tempi oscuri hanno generato, tosto avrei chiesto la testa della sovrana ed essa sarebbe stata esposta qui, innanzi a voi; tuttavia, poiché la mia stirpe affonda le sue origini nella notte dei tempi, ecco che vengo a voi come salvatore della patria e della sua sventurata regina; dal momento che il risanamento dell’isola passerà attraverso quello dei suoi abitanti, ecco che io prendo, dinanzi a voi tutti, Tar-Miriel come mia sposa ed ella regnerà al mio fianco”.
Un grande mormorio di stupore si levò dal popolo; ma esso fu presto sommerso da frenetici applausi che si levarono da ogni dove; una quarta figura comparve allora sul palco reale ed ella era colei che un tempo avevo amato. Invano tentai di scorgere meglio il sembiante della figlia di Tar-Palantir, ché mi parve il cielo essere oscurato da una fuligginosa caligine; ratto, allora, mi voltai e scorsi Brethil che singhiozzava, versando amare lacrime accanto a me; fu solo allora che, stupito, mi accorsi anche io di piangere: molto morì in me in quel momento.
A lungo piansi, né ero il solo; distante pochi passi da me, il volto contorto da una smorfia di rabbia, era anche Isildur; tuttavia, se le sue lacrime erano dettate dall’impotenza e dall’ardore giovanile represso e tosto sarebbero state sostituite dal cieco desiderio di vendetta, le mie avevano un sapore più amaro, ché sancivano il definitivo addio agli anni della mia verde Primavera.
Infine, la figura più alta posta accanto al sovrano, calò la sua cappa ed io la riconobbi: Er-Murazon, il Signore dei Nazgul, era giunto a Numenor per celebrare la vittoria del suo padrone. L’oscuro servo di Mordor levò in alto la corona forgiata per l’occasione, ché mai prima di allora vi era stato un sovrano che avesse posto sul proprio capo un simile cimelio, e la collocò su quello di Pharazon, pronunciando simile parole: “Egli sarà sovrano con il nome di Ar-Pharazon il Dorato e la sua sposa sarà nota come Ar-Zimraphel. Lunga vita ai sovrani di Elenna!”

Il popolo accolse il nuovo re con gran tripudio ed infinite esclamazioni di giubilo; quanto a me, avevo preferito abbandonare quel triste luogo per fare ritorno alla mia contrada, tosto imitato dagli altri Signori dei Fedeli: giunto dinanzi alla città di Minas Laure, invitai presso la mia dimora Brethil ed egli accettò con gioia e gratitudine, ché le sue genti erano state completamente annientate ed egli era l’ultimo della sua casata.
Alcuni mesi dopo Ar-Pharazon inviò i suoi araldi presso i Signori dei Dunedain, chiedendo loro di sottomettersi alla sua maestà: nessuno fra noi firmò la sua richiesta e grande invero fu la sua ira, sicché fece giuramento sul padre che avrebbe condotto alla rovina coloro che gli si erano ribellati; dei trentatré Signori che erano sopravvissuti alla guerra e che non erano ancora fuggiti alle colonie della Terra di Mezzo, ben ventidue furono accusati di alto tradimento e condannati al patibolo; sette subirono la pena dell’esilio e quattro furono privati di qualunque carica avessero posseduto fino a quel momento; quanto a Brethil, accolse il dono di Iluvatar prima che fosse emanato il decreto di colpevolezza nei suoi confronti ed egli fu sepolto accanto ai corpi dei miei avi.

Lungo era stato il racconto di Erfea ed era ormai giunta l’alba quando la sua voce si spense fra il frinire delle prime cicale; profondamente commossi, i compagni allora gli si inchinarono ed egli condusse i loro passi ad una radura poco distante dal luogo ove avevano udito il resoconto di quei lontani anni: al suo interno, accanto a una gaia fonte, era posta una grande roccia, che mani abili avevano scolpito simile ad una pergamena aperta. Vi erano dei nomi incisi sulla sua superficie ed i compagni vi lessero, fra gli altri, quello di Erfea Morluin, di Amandil, di Elendil e dei suoi due figli, Isildur e Anarion.
Ancora oggi tale pietra è visibile ad Orthanc e si narra che neppure le corrotte arti di Saruman il Bianco, le oscene grinfie degli Orchi o ancora la furia dell’Isen allorché la valle fu allagata, riuscirono a spezzarla o ad insudiciarla: grandi onori le tributò Re Elessar allorché la scorse e ne decifrò le iscrizioni, ché essa era ivi posta a testimonianza imperitura del coraggio e della lealtà dei Numenoreani Fedeli al loro popolo e agli antichi vincoli di alleanza con le altre liberi genti».

Fine del racconto.

L’Infame Giuramento_V Parte (Paladino di Numenor e dei suoi compagni)

Bentrovati! Proseguo in questo nuovo articolo la narrazione degli eventi che condussero alla fine del regno di Miriel e all’ascesa di Pharazon come nuovo re di Numenor. Nel precedente articolo mi ero soffermato sulla figura di Morlok, una sorta di Ministro delle Finanze, al quale era affidata la gestione della parte economica del regno. In questo articolo, invece, scopriremo con quali modalità si verificò l’ascesa di suo figlio, il giovane ammiraglio Eargon, che diverrà ben presto uno dei protagonisti del colpo di Stato che porrà fine al regno di Miriel. Il titolo che ho scelto per questo articolo, tuttavia, non fa cenno alla figura di questo ambizioso individuo, ma a quella di Erfea, che qui possiamo ammirare non solo per il suo coraggio, ma anche per le raffinate doti di oratore, apprese durante gli anni della sua formazione giovanile.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Alcuni mesi dopo la nomina del figlio ad ammiraglio del regno, Morlok disparve e nessuno poté mai indovinare quale sorte avesse incontrato, ché egli era molto riservato e noi, al principio, non sospettavamo alcunché; infine, tuttavia, divenne palese a tutti che aveva dovuto soccombere dinanzi ad un nemico implacabile, sicché alcuni presero a mormorare che il suo crudele aguzzino non fosse altri che uno dei Consiglieri della Sovrana, ché il pugnale rinvenuto accanto al suo corpo orrendamente sfigurato recava incise rune intrise di grande potere.
Tar-Miriel prestò ascolto a queste voci sussurrate nell’ombra ed ordinò che le armi dei principi Numenoreani fossero consegnati ai capitani della sua guardia; grande fu il suo disagio allorché si avvide che fra le gloriose lame disposte innanzi ai suoi occhi vi era un fodero che ben conosceva; tuttavia, ancor prima che fosse pronunciata una condonna, lesta si sparse per tutta l’isola la voce secondo la quale il principe Brethil, mancando ai suoi doveri di vassallo della sovrana, aveva obliato di consegnare le sue armi secondo gli ordini ricevuti; la regina, la quale, invero, ben poco affetto nutriva nel cuore per l’Orbo, prese a sospettare della sua persona e ordinò che le si presentasse innanzi. Giunto che fu dinanzi alla sovrana, ella si levò furente dal suo scranno, rimembrandogli quanto infame fosse stata la sua condotta; levatomi a mia volta, presi le difese dell’anziano principe del Mittalmar, sostenendo la sua innocenza dinanzi alla colpa di cui era accusato, ché egli si era recato nell’estremo meridione della Terra di Mezzo ed era giunto alla sua patria solo al sorgere del sole di quel lontano giorno; allora Tar-Miriel parve acquietarsi, e sedette nuovamente sul suo trono, sempre tenendo lo sguardo fisso su di me. Il capitano della sua guardia, tuttavia, sussurrò all’orecchio della sovrana il suo pensiero ed ella, benché sul suo viso fosse ricomparsa la rabbia, pure manifestò un’amara soddisfazione, apostrofando con tali parole Brethil: “Non pago dell’accusa che grava sul vostro capo, attirate sventure ben peggiori di quelle che la vostra dimenticanza potrebbe procurarvi”.
“Dell’accusa ingiusta che avete mosso nei miei confronti, il nobile Erfea degli Hyarrostar ha testé dimostrata l’infondatezza. A cosa alludono, dunque, la vostra parole? Di quale nuovo misfatto si è macchiata la mia casata?” Sarcastico era stato il tono che Brethil aveva adoperato nel rispondere alla sua accusatrice, ché egli provava avversione nei confronti di Tar-Miriel ed era incapace di occultarla agli sguardi altrui; pure, alto risuonò il riso della sovrana ed ella pronunziò tali parole di sfida: «È consentito mostrare lealtà agli Uomini che riconoscono le proprie colpe e chiedono grazia per quanto hanno commesso; ma coloro che si macchiano di crimini infami nulla possono dichiarare che non sia un’ulteriore prova della loro colpevolezza. Ben m’avvedo quanto tempo abbia atteso, Brethil del Mittalmar, per ordire un complotto contro la mia autorità; ebbene, ogni tua speme si è rivelata falsa e l’ora del verdetto è giunta anche per te” – e così dicendo, levò in alto il pugnale che si era macchiato della morte di un uomo tanto probo quanto ingenuo e lo accostò al vuoto fodero di Brethil; le rune che erano incise sulla lama presero a risplendere di una luce rossa, sicché parve a tutti che egli fosse l’assassino di Morlok; pure, levata la mia voce affinché tutti potessero ascoltarla, così parlai:
“Numenoreani, come può un uomo, il cui destino sia stato segnato da una iniqua condanna ancora prima di ottenere la parola e tentare di discolparsi, ottenere giustizia? Privato del suo pugnale, Brethil è ora accusato di aver commissionato l’omicidio ad uno scaltro assassinio: sorte invero infausta per un uomo che subì un furto, quella di sentire proclamato un destino di morte, a causa di una colpa che non ha mai commesso!
Riconosco che egli avrebbe potuto prestare la sua lama ad un sicario ancor prima di salpare; tuttavia, non ritenete che un simile uomo si dimostrerebbe invero molto avventato o molto sciocco se agisse in siffatto modo? Chiunque avrebbe potuto agire come la nostra sovrana e scoprire che tale lama era proprietà del principe del Mittalmar; tuttavia, se mi è lecito avanzare un dubbio, in difesa non solo di un amico, ma di un uomo la cui lealtà nei confronti dello Stato mai è venuta meno in questi anni, non è stato forse possibile che l’assassinio abbia sottratto il prezioso cimelio per commettere un atto feroce, sperando che la colpa ricadesse su altri?
Fra voi sono alcuni, questo lo so, che ben ricorderanno, o perché erano giovinetti, come lo ero io, o perché ebbero sentore di queste storie dai loro padri e precettori, l’orrendo misfatto di cui si macchiò Arthol: ed egli è, come è noto, il parente più prossimo a Brethil; tuttavia, se il vostro giudizio privilegiasse tali parentele nell’attribuire le colpe, allora la nostra stessa sovrana dovrebbe essere accusata di alto tradimento, essendo ella nipote di Gimilzor il Crudele, del quale tutti, in questo consesso, ricorderanno gli scellerati crimini di cui si macchiò in vita”.
Così veemente era stata l’orazione che nessun Numenoreano osò contrastare la mia voce con la sua; finanche la regina, dopo avermi ascoltato si risiedette e restò in pensoso silenzio; infine, allorché l’eco della mia arringa si spense, così parlò: “Paladino di Elenna e paladino dei suoi compagni; un ruolo che ben ti si addice, Erfea Morluin. Dispongo che Brethil del Mittalmar sia privato dei suoi incarichi a corte finché non sarà accertata la sua colpa o la sua innocenza; egli, tuttavia, non sarà tratto in catene e potrà liberamente svolgere i propri affari, a patto che non abbandoni l’isola”.
Udita la condanna, Brethil chinò il capo, e furente abbandonò il Consiglio; la chiara voce della sovrana, tuttavia, lo arrestò che era ancora nella sala: “L’incarico che un tempo apparteneva al principe Brethil sarà d’ora in avanti e per tutto il tempo che riterrò necessario, di Eargon; possa egli dimostrarsi valido quanto lo fu il compianto padre”.
Il figlio di Morlok, allora, si levò dallo scranno e la sua soddisfazione era palese in volto; egli, tuttavia, non proferì parola e, baciata la mano della sovrana, lasciò il consesso, seguito dagli altri principi: quanto a me, rimasi seduto, avendo intenzione di discorrere con Tar-Miriel allorché fossimo rimasti soli, ma ella abbandonò la sala, accompagnata dalle sue guardie del corpo.
Quella sera, mentre ero intento a cenare, un servo venne da me e pronunciò queste parole: “Mio signore, il principe Brethil è giunto al cancello e chiede udienza”; lesto, allora, senza terminare il pasto, abbandonai il desco e giunsi di gran carriera al salone ove il mio ospite, nel frattempo, aveva trovato degna sistemazione. A lungo egli mi guardò, infine, un sorriso di gratitudine comparve sul suo sfigurato volto: “A te, amico mio, devo ben più della salvezza, ché, se non fosse stato per il tuo intervento agguerrito, ingiusta punizione sarebbe stata inflitta al mio capo”.
Sorrisi a mia volta e ci stringemmo in un caloroso abbraccio; infine, così gli parlai: “Brethil, è in atto un nuovo inganno a danno della sovrana di Elenna; se tu fossi stato condannato quest’oggi, non lei, ma il suo aguzzino avrebbe trionfato”.
“Credi dunque che vi sia Pharazon dietro a tutto questo? Io, però, pur condividendo i tuoi timori, non lo ritengo capace di atti sì astuti, ché egli ha sempre mostrato scarsa intelligenza nelle sue decisioni e se fosse responsabile di tali trame, pure ne sarei molto sorpreso. Bada piuttosto che Tar-Miriel non dimentichi la sua lealtà presso coloro che la servono, ché se questo avvenisse molto ne avrebbero a soffrire i paladini di Elenna”.
Vi erano rancore ed amarezza nella sua voce ed io, sebbene fosse lungi da me l’astio che in quel momento si agitava nel suo spirito, non potevo fare a meno di pensare a quanto veritiere fossero le sue parole; nulla però mostrai di quanto provavo e così risposi: “Eppure, se anche Pharazon risultasse estraneo a questi complotti, pure vi sarebbero altri a tramare nell’ombra; credo, amico mio, che finanche dei membri del Consiglio dello Scettro dovremmo prendere a diffidare”.
Nessuna risposta diede Brethil alle mie parole, né io aggiunsi nulla a quanto avevo detto; pure, i nostri pensieri corsero all’unisono a Eargon ed egli era sovente al centro delle mie preoccupazioni.
Tutto quanto ho narrato, avvenne alcune settimane innanzi che la guerra civile avesse inizio; prima di imbarcarci diretti ai lidi di Endor, Tar-Miriel revocò la sua condanna nei confronti di Brethil ed egli ottenne nuovamente quanto gli era appartenuto un tempo; nulla però, poteva ormai essere mutato nel suo cuore ed egli sempre diffidò della figlia di Tar-Palantir; un giovane ladro fu tosto accusato dell’assassinio di Morlok e condotto al patibolo, ché Tar-Miriel non intendeva portare avanti un processo che aveva desiderio di concludere quanto prima, essendo il suo cuore voglioso di ottenere giustizia sul suo anziano mentore».

L’Infame Giuramento_IV Parte (La storia di Morlok l’Occultatore)

Bentrovati! Proseguo la narrazione de «Il Racconto dell’Infame Giuramento», presentando una nuova figura, alla quale fin ora ho rivolto solo qualche cenno nel corso della trattazione: Morlok, una sorta di Ministro delle Finanze di Numenor, padre dell’ammiraglio Eargon, che avete avuto modo di conoscere leggendo «Il Racconto dell’Ombra e della Spada». In questa parte del racconto mi soffermerò su un aspetto che, di solito, nei racconti epici o fantasy viene trascurato, ossia il risvolto economico di queste vicende: intraprendere una guerra, una rivolta e, più in generale, tenere il governo di uno Stato potente come Numenor, infatti, richiedeva una certa disponibilità di denaro liquido: questa è la ragione per cui uomini apparentemente insignificanti come Morlok, in realtà, possono rivelarsi ancora più determinanti di un Paladino…

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Coloro che erano con lui si levarono allora dai propri scranni e si apprestarono a raggiungere il desco; non era però con loro Erfea, ché egli rimase nella radura, contemplando le stelle di Varda sbocciare, come fiori argentati nella notte, ad occidente; allorché i suoi compagni furono di ritorno, lo trovarono che pareva addormentato: pure, così non era ed egli, al contrario, era immerso in profonda meditazione. Uditi i passi di coloro che gli si facevano incontro, il figlio di Gilnar si levò dal suo scranno e invitò i compagni a disporsi accanto a lui; con loro era adesso Glorfindel, ché molto ambiva conoscere eventi di cui gli erano giunti solo pallidi echi.
Erfea attese che il silenzio regnasse fra loro, infine levò nuovamente la sua voce ed essi lo stettero ad ascoltare.
“Vi fu, in seno al Consiglio dello Scettro, molta confusione in seguito alla mia proposta e non poche furono le voci di coloro che discussero al suo interno; alcuni erano per obbligare Tar-Miriel a rinunciare al trono e a nominare un nuovo sovrano fra loro che non avesse tema di arrestare Pharazon, stante l’accusa di alto tradimento; altri, e fra questi vi era anche Amandil, esortavano i presenti affinché ogni decisione fosse rimandata all’indomani della successiva seduta del Consiglio dello Scettro, che si sarebbe tenuta alcune settimane più tardi; comune a tutti, però, era la volontà di proseguire la guerra contro Pharazon: inviammo, allora, messaggeri ai nostri alleati, pregandoli di inviarci rinforzi prima che le armate del governatore ribelle piombassero su di noi, ma la nostra speme andò quasi del tutto delusa, ché alcuni araldi, infatti, furono trucidati dal Nemico prima di giungere a destinazione, mentre altri si smarrirono nelle selve e nelle paludi di Endor.
Di quei pochi che pervennero ai reami dei popoli liberi, avemmo notizie dopo una lunga attesa, ché le strade erano occupate dalle armate dei Neri e dalle loro spie; tuttavia, allorché essi furono di ritorno, confermarono le nostre peggiori paure, ché asserirono non sarebbero giunti aiuti da Khazad-Dum, mentre gli Uomini del Rhovanion avevano edificato i loro accampamenti al di là del mare di Rhun ed erano per noi irrangiugibili: solo gli Elfi risposero al nostro appello ed inviarono viveri ed armi.
Reso perplesso ed inquieto da tali notizie, compresi poco o punto le ragioni che avevano spinto i signori di Khazad-Dum a venire meno alla nostra alleanza, tanto più che erano state scorte spie di Pharazon aggirarsi lungo i tortuosi sentieri che conducevano alla rocca dei figli di Aule; grande fu la paura che mi colse, perché temetti che presto sarebbe stata instaurata un’alleanza fra i Naugrim ed i Numenoreani Neri; tuttavia, come vi spiegherà Naug-Thalion, i miei timori non trovarono conferma.
“A quell’epoca – interloquì il principe del popolo dei Naugrim – vi erano discordie anche all’interno del nostro Consiglio Supremo, ché alcuni premevano affinché i Fedeli di Elenna fossero sostenuti, mentre altri, infidi e pavidi, ritenevano sarebbe stato più saggio per il nostro reame se nessuna alleanza fosse stata stretta con quelle genti, temendo che le ricchezze di Khazad-Dum sarebbero state concupite dai Dunedain e che la gloria del nostro popolo sarebbe stata oltraggiata se avesse preso parte alle guerre fra i Numenoreani.
Per lungo tempo, quanti erano della mia schiatta riuscirono a contrastare la perniciosa influenza che consiglieri pavidi detenevano all’interno della corte, finché essa non trionfò e il sovrano non prestò ascolto alle subdole parole dell’opposta fazione; alcuni fra noi, allora, presero a inviare aiuti ai paladini di Elenna clandestinamente, contravvenendo agli ordini del re.
Ahimé, mai Durin IV avrebbe dovuto ascoltare tali infidi consiglieri, ché essi agivano spinti dalle medesime debolezze che attanagliavano sovente i cuori dei Naugrim, timorosi come erano di perdere i tesori che il nostro popolo aveva accumulato nel corso di lunghi secoli; fu fatto divieto a ciascuno dei principi del regno di soccorrere entrambi i contendenti e se questo fu, indubbiamente, di grande impedimento e danno per i capitani di Erfea, tuttavia provocò le medesime conseguenze anche per i loro nemici ed essi, ancora per qualche tempo, furono respinti”.
“Allorché mi giunsero tali notizie – riprese a parlare Erfea – sebbene non provassi nel cuore letizia alcuna, pure mi avvidi che finanche i miei avversari non avrebbero potuto godere di alcun aiuto; resistemmo, dunque, ancora per qualche mese, finché un nuovo evento, ancor più grave di quanti ho finora narrato innanzi a voi, colpì il mio partito e segnò le sorti di Numenor”.
“Se le tue parole non mi ingannano, Erfea Morluin, devo dunque dedurre che ancora non era stata presa una decisione in seno al Consiglio dello Scettro che privilegiasse la lealtà alla Corona o al popolo Numenoreano” osservò Glorfindel, campione fra gli Elfi.
“In verità, figlio di Gondolin, la decisione, nel cuore di ciascuno di noi, era stata già presa; tuttavia, poiché i Numenoreani di Pharazon risalivano da Sud rapidamente, pure si era detto che, fino al giorno in cui la pace non avesse trionfato nelle contrade abituate dai Dunedain, essa sarebbe stata taciuta”.
Erfea s’interruppe per qualche istante, indì proseguì: “All’epoca, tuttavia, non ci avvedemmmo della nostra ingenuità e in questo errammo a lungo, ché ignoravamo quali alleati sostenessero Pharazon nella sua lotta per impugnare lo scettro di Elenna; poche o punte certezze vi erano, sebbene io credessi che fra essi si occultasse almeno uno degli immortali servi dell’Oscuro Signore; questi, tuttavia, erano abili nell’occultarsi e si tenevano lontani dalla mia lama, sicché io scoprii le loro identità quando era ormai troppo tardi.
Scarsi erano, come vi ho testé narrato, i fondi di cui disponevamo per proseguire nella lotta contro i Numenoreani Neri, sicché in quei giorni la nostra unica fonte era costituita dal Tesoro Reale di Numenor, di cui era stato nominato Sovrintendente Morlok, il cui lignaggio era affine al mio, condividendo i medesimi padri; inusuale era stata la scelta della sovrana, ché mai, nella millenaria storia della nostra isola, un simile incarico era stato affidato alla sua stirpe, essendo stato, un tale compito, da sempre prerogativa dei principi del Mittalmar; pure, Tar-Miriel non aveva fiducia alcuna dell’unico superstite di tale casato, Brethil l’Orbo, così chiamato perché aveva perduto un occhio durante una delle battaglie contro gli Uomini del Re, dal momento che egli era cugino di Arthol il Rinnegato, condannato a morte per altro tradimento molti anni prima.
Non mi soffermerò ulteriorarmente su queste vicende, ché esse non riguardano tale narrazione; mi è sufficiente dire che Brethil, al contrario del corrotto cugino, era invece uno spirito lungimirante e privo di malizia, sicché egli, pur non alzando lamento alcuno durante le sessioni del Consiglio dello Scettro, pure soffriva per la sua mancata nomina a Sovrintendente del Tesoro, ché la riteneva, e a ragione, umiliante e priva di ragione alcuna: inutilmente tentai di persuadere Tar-Miriel affinché ella si ravvedesse sulla sua scelta e compisse atto di umiltà e giustizia, restituendo a Brethil la carica che apparteneva alla sua casata fin dai tempi di Elros Tar-Minyatur.
Poco o punto era stato possibile apprendere da Morlok, ché era riluttante nel parlare e conduceva vita solitaria; l’Occultatore presero a chiamarlo, ché si diceva fosse in grado di nascondere qualunque suo pensiero ai Saggi del Regno e finanche alle aquile di Manwe; non so quanta verità vi fosse in una simile diceria, ché lo sguardo di uno solo fra gli araldi del Signore dei Valar è arduo da sostenere ed essi leggono molto delle nostre intenzioni; ad ogni modo, egli si mostrò abile nella gestione delle finanze dello Stato ed il popolo benediceva sovente il suo nome, allorché lo scorgeva aggirarsi nei vicoli di Armenelos.
Per lunghi anni, dunque, Morlok ottenne l’amicizia dei membri del Consiglio dello Scettro e della Regina, la quale, tosto, prese a benevolere la sua casata, onorandola con ricchi doni, di cui il Sovrintendente, tuttavia, non amava fare sfoggio. Morlok prese moglie in tarda età, finanche secondo il metro dei Numenoreani, e la sua consorte aveva nome Linwen, una dama cara a Tar-Miriel come fosse una sorella; tale unione rafforzò il legame tra Morlok e la Regina di Numenor ed ella prese a confidarsi con lui, mostrandogli tesori quali mai occhi mortali che non fossero appartenuti alla stirpe dei sovrani avevano ammirato; un figlio allietò la dimora del Sovrintendente ed il suo nome era Eargon. Allorché furono trascorsi dieci anni, l’erede di Morlok si imbarcò su di una nave e nel volgere di un trentennio divenne un esperto capitano, sicché fu promosso Vice-Ammiraglio del Regno; quando questa notizia si diffuse a Numenor, non pochi ebbero a sussurrare che Eargon sarebbe presto divenuto un condottiero la cui fama avrebbe oscurato quella di qualunque altro paladino di Elenna; essi, tuttavia, non si avvidero che il giovane comandante era divenuto seguace di Pharazon ed ambiva ottenere conoscenze arcane, quali mai gli Uomini della sua stirpe avevano domandato e che sarebbe stato saggio non concupire mai; egli fu dunque corrotto e sedotto da Adunaphel e ne divenne lo schiavo preferito, nonché quello di gran lunga più potente”.
“In nome di Bema – proruppe allora la voce colma di orrore di Aldor Roc-Thalion – cosa accadde dunque a quel giovane, allorché la sua volontà fu annientata ed egli cadde vittima dell’Ombra? Non è ancora trascorso un giorno dacché ho udito la tua spaventosa storia sul maniero dei Nazgul e il mio cuore trema al pensiero di quale infausto destino possa aver conosiuto un siffatto Uomo!”
“Invero, il suo fu un destino di morte, ché egli aveva appreso le Arti Oscure ed era divenuto un capitano di mare quale pochi potevano vantare di eguagliare, né gli erano sconosciuti i segreti del Regno che il padre, per sua e nostra sventura, aveva osato narrargli, non sospettando alcunché. Eargon, allora, divenne una formidabile spia al servizio di Pharazon; eppure, le disgrazie maggiori dovevano ancora accadere».