La nuova copertina del Ciclo del Marinaio!

Care lettrici, cari lettori,
in questo caldissimo agosto vi invito a trascorrere qualche minuto nella grande isola di Numenor, insieme a Erfea e Miriel, i protagonisti di quella che sarà – se il tempo lo permetterà – la nuova copertina del Ciclo del Marinaio, opera della bravissima Livia De Simone!

Spero possa piacervi, buone ferie…e agli altri (me incluso)…massima solidarietà:)

Per saperne di più vi invito a leggere o rileggere i seguenti articoli:

Perché Miriel è bionda? Fisionomia dei Numenoreani

Miriel

Erfea, o degli eroici imperfetti

Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio»

Mappa di Numenor

Buon pomeriggio, care lettrici e cari lettori!
È con grande piacere che voglio mostrarvi questa bellissima mappa in cuoio che mostra l’isola di Numenor così come appare nel Ciclo del Marinaio. A differenza delle raffigurazioni “tradizionali”, infatti, compare – nel margine inferiore destro della mappa – la città di Minas Laure, la Torre Dorata, il luogo natale di Erfea.
Spero che vi piaccia, vi auguro buone vacanze!

Audiolettura – L’introduzione del Ciclo del Marinaio

Care lettrici, cari lettori,
come ormai sapete, quest’anno ricorre il ventennale dell’inizio della scrittura del “Ciclo del Marinaio”. Devo ringraziare la mia cara amica Gemma per aver contribuito ai festeggiamenti per il ventennale con una toccante audiolettura dell’incipit del primo racconto del ciclo. Inizialmente il titolo di questa prima versione a prosa dei versi scritti anni prima (per chi volesse approfondire, suggerisco la lettura di questi articoli: In principio era…Othello, ovvero come nacque il Ciclo del Marinaio; Il lai della perdita – I parte; Il Lai della perdita – II parte) era “Il racconto del prigioniero e dell’esule”, poi divenuto “Il racconto del marinaio e della mezzelfa”. Da allora tante cose sono cambiate, ma non l’emozione di ascoltare queste parole, che è stata rinnovata dalla bravura di Gemma.

Rimanete sintonizzati, presto ci saranno altri aggiornamenti!

Il lungo sonno di Erfea – The last goodbye

Care lettrici, cari lettori,
come vi anticipavo la scorsa settimana, siamo giunti a una svolta importante del Ciclo del Marinaio: la morte di Erfea. Ovvero, come avrebbero detto i Numenoreani (e da qui il titolo del post), un lungo sonno di morte nel quale essi si abbandonavano quando capivano che era ormai giunto il momento di abbandonare la vita. Questa parte del racconto prende inizio subito dopo la sconfitta di Sauron ad opera dell’Ultima Alleanza: potrete leggere o rileggere la descrizione di questo episodio qui: L’ultima battaglia della Seconda Era.

È stato emozionante, in questi quattro anni di attività del blog, raccontarvi le storie di Erfea, di Miriel e degli altri personaggi – di finzione o no, rispetto al legendarium tolkieniano – che ho avuto modo di presentarvi. Spero di essere riuscito a trasmettervi non solo la mia grande passione per la Terra di Mezzo, ma anche un senso di famigliarità nei confronti di questi personaggi.

Ci saranno ancora tante altre storie da raccontare…devo completare il racconto sull’adolescenza di Miriel e Pharazon…provare a dare una risposta ad alcune domande – una su tutte: che fine hanno fatto gli sfortunati possessori degli Anelli minori, ossia delle «prove» che gli artigiani elfici avevano forgiato prima di procedere con la creazione dei Grandi Anelli? Sono diventati anch’essi degli spettri? – eliminare alcuni errori (per esempio il rapporto tra un giovanissimo Erfea e il suo mentore Numendil, che in realtà era molto più vecchio di lui)…

Prima o poi, dunque, tornerò con i miei racconti…e chissà, sarà anche l’occasione per commentare insieme gli episodi della nuova serie di Amazon che sarà ambientata proprio nella Seconda Era.

Grazie di cuore.

Vi lascio con un’immagine inedita che rappresenta la partenza di Bilbo e Frodo verso Occidente e con il video della canzone «The last goodbye» che chiude il terzo capitolo cinematografico dell’Hobbit…avrà tanti difetti quella trilogia, ma la colonna sonora è all’altezza delle migliori composizioni musicali.

«La rovina degli eserciti di Sauron fu totale, e coloro che sopravvissero alla sua caduta fuggirono nelle remote contrade del levante, ove si narra che anche gli Úlairi e il nero spirito del Maia umiliato trovassero scampo per lunghi secoli, finché non ebbero acquisito forza a sufficienza per tornare a reclamare quanto avevano perduto al termine della Seconda Era. Invero, fu quella una vittoria incompleta, ché l’Anello non andò distrutto, come avrebbe dovuto essere, ma fu concupito da Isildur, il quale, nonostante i saggi ammonimenti degli altri comandanti, reputò di avere forza di volontà sufficiente per dominarlo e lo portò seco al Nord, ove fu trucidato dagli Orchi due anni dopo la morte del padre.

Glorfindel ed Erfëa, tratti in salvo dalle aquile assieme agli altri signori dell’Ovest allorché la terra tremò e vomitò fiamme possenti, furono condotti nella contrada di Udûn, ove erano gli accampamenti dei loro soldati e quivi ritrovarono quanti avevano disperato di poter incontrare nuovamente: Aldor Roch-Thalion e Groin accolsero festanti il Sovrintendente di Gondor e gli altri guerrieri, sì che, per lungo tempo, essi furono occupati nel festeggiare con banchetti e danze la vittoria sull’Oscuro Nemico del mondo. Al termine dell’Estate, dunque, le armate dell’Ovest, dopo aver incendiato e distrutto ogni fortezza costruita da Sauron nella sua dimora, fecero ritorno a Osgiliath, ove furono accolte dalla popolazione festante: numerosi idiomi furono ascoltati allora per le vie della città degli Uomini del mare e per molti giorni la gioia e il diletto allietarono i cuori dei Figli di Ilúvatar.

Giunsero Galadriel e Celeborn e la loro figlia Celebrían, il sovrano di Khazad-Dûm, Durin IV e altri principi e re quali mai Osgiliath aveva mirato nel corso della sua pur breve esistenza. Canti furono composti in quei giorni ed essi narrarono delle vicende che avevano condotto alla caduta di Sauron; eppure, i Signori degli Eldar, nonostante condividessero la letizia dei bardi, scuotevano il capo allorché udivano tali canti echeggiare nelle vaste sale della reggia di Isildur, ora divenuto sovrano dei Dúnedain, ché sapevano quanto era accaduto allorché Sauron era svanito e ritenevano che, seppur informe, egli avrebbe fatto ritorno alla sua contrada, allorché fosse giunto il tempo e molto temevano per la sorte di Isildur. Allorché costui, tuttavia, morì e l’Anello del Potere fu smarrito, essi ritennero che fin quando non fosse stato ritrovato, i loro reami avrebbero continuato a prosperare, sebbene i più lungimiranti avvertissero nei loro cuori il presagio di un grande mutamento e iniziassero ad avere tedio del mondo e di quanto ivi accadeva.

Tale, però, non era il parere di Elrond e di Celebrían, ché in loro l’amore per Endor non era ancora venuto meno e numerose erano le contrade che desideravano conoscere, ora che Sauron dormiva e le sue armate erano distrutte. Al termine di uno di questi viaggi, essi si recarono a Osgiliath, ché molto desideravano incontrare Erfëa, né essi si meravigliarono che fosse ancora in vita, ché conoscevano l’antica profezia che Manea gli aveva rivelato allorché era ancora in fasce. Lo trovarono che egli si attardava a mirare il rosso tramonto dalla sua finestra a occidente e dava loro le spalle; tuttavia, allorché questi si avvide che costoro avevano fatto il loro ingresso, si voltò e il suo anziano volto fu lieto nel vederli ancora una volta.

Si discusse a lungo degli eventi cui avevano preso parte negli anni precedenti, infine Elrond sospirò e mirando il volto di Erfëa, pronunziò tali parole: “Ebbene, figlio di Gilnar, felice è stato il tuo cammino, se ti ha concesso di giungere ove il tuo animo potrà trovare riposo e le tue ferite essere sanate, colmo di saggezza e della fama che le tue nobili imprese ti hanno procurato”.

Sorrise il figlio di Gilnar: “Invero, figlio di Eärendil, molto ho ottenuto nel corso della mia lunga esistenza e grato volgo il mio pensiero a coloro che hanno protetto i miei passi; ancor più accetto è tuttavia il dono di Ilúvatar, ché molto sono stanco e forte è divenuto in me il desiderio di rivedere colei che abbandonai allorché il mio cuore non era ancora pronto ad amare”.

Lentamente annuì Celebrían e le sue parole echeggiarono leggere nell’aria vespertina: “Grande sarà la memoria che gli Eldar preserveranno del tuo nome e del tuo sembiante, Erfëa Morluin, ché invero hai trionfato anche nella tua ultima prova e ora il tuo spirito è pronto ad abbandonare i mortali lidi della Terra di Mezzo”.

Levatosi dallo scranno ove aveva discorso con i suoi più cari amici, Erfëa si distese allora sul letto che gli imbalsamatori avevano approntato per lui e si congedò dal sovrano Meneldur e da quanti egli aveva amato e che gli sarebbero sopravvissuti. Consegnò a Elrond un voluminoso tomo e lo pregò di recarlo al Signore della torre di Orthanc, ché questi l’avrebbe custodito nelle recondite sale della fortezza e infine si addormentò. Lento, il Sole si tuffò nel profondo occaso e ad Erfëa parve di udire un remoto canto giungergli da Númenor perduta nei flutti, sicché si premurò di seguirlo e il suo spirito si allontanò dalla città di Osgiliath, che molto gli era stata cara, recandosi ove il suo volere desiderava giungere, ed egli spirò lieto».

Spunti di lettura: Erfea, o degli eroici imperfetti; Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio»; Cronologia della vita di Erfea e dei racconti del Ciclo del Marinaio

Erfea, prince of Numenor

A winged helmet, forged in mithril, adorned with two plumes intertwined in the white feathers of seabirds, covered his head, while long black hair fell to his strong shoulders, licking a precious mail of galvorn mail, whose luster was such as to be illuminated even by the dim lights of the inn. Tapered greaves and shiny bracelets adorned his legs and arms, while a long blade hung beside him, the hilt of which was carved in blue laen and inlaid by ithildin; a large cloak of noble workmanship, different from the faded cape with which it had hitherto been covered, hung over his shoulders: a graceful elven-made clasp encircled him at the height of the thin neck.

The tale of the sailor and the dwarf fortress

Versione in italiano:

Storia di una grande amicizia: Erfea e Naug Thalion

Altri link utili: Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio»

L’orgoglio dei paladini di Numenor

Care lettrici, cari lettori,
in questo articolo continuerò a raccontarvi la storia del Drago Morluin e della sua sete di vendetta contro i Numenoreani, colpevoli di aver ucciso i suoi cuccioli (potrete leggere o rileggere questa parte della storia qui: La collera di Morluin). Nessuno dei Numenoreani avrà il coraggio di sfidare il grande rettile…ad eccezione di uno.

[SPOILER] Questo racconto, comunque, ad onor del vero, presto o tardi (attualmente sarei più propenso per la seconda opzione) dovrebbe subire una revisione, almeno parziale: come è possibile, infatti, che non appaia per nulla una figura come quella di Miriel? Quando Erfea si rivolge a suo padre, il re di Numenor, per chiedergli la sua benedizione per affrontare il drago, sembra alquanto improbabile che Miriel non fosse al suo fianco. La risposta che spiega questa anomalia risiede nelle cronologia “esterna” dei capitoli del Ciclo del Marinaio: questo racconto, infatti, fu scritto prima di introdurre il personaggio di Miriel, ma, dal punto di vista della cronologia “interna” della biografia di Erfea, sarebbe successivo all’inizio della tormentata relazione fra Erfea e Miriel (potrete notare questa discrasia temporale qui: Cronologia della vita di Erfea e dei racconti del Ciclo del Marinaio).[FINE SPOILER]

«Il terrore si mutò in follia, e il popolo si recò da Tar-Palantir per chiedere consiglio ed avere conforto, sebbene essi sapessero che in tutta Elenna[1] non esisteva un mago o un guerriero così potente da poter contrastare il pericoloso drago.

Grande fu la sorpresa, quando all’interno del Consiglio dello Scettro una voce squillò forte e decisa: “Mio re e signori di Numenor! Non vi è altra speranza per noi che quella di attendere nelle nostre dimore la morte triste con le braccia e la mente sconvolte dalla paura? Grande invero è il potere dei draghi, ma non si è detto che fu un uomo il primo a sconfiggere il primo tra i Grandi Vermi? Io Erfea, figlio di Gilnar, della casata degli Hyarrostar[2], affronterò la creatura che tormenta la nostra isola, a meno che qualcuno non dissenti dalla mia proposta!” Un lungo silenzio seguì quelle parole, ché grande era lo stupore dell’uditorio, consapevole che mai nessun uomo sarebbe riuscito a portare a termine una simile missione. Tra coloro che formavano il Consiglio dello Scettro, vi erano alcuni che appartenevano ai Numenoreani neri, gente corrotta e malvagia che aveva regnato a lungo sull’isola, prima di essere sconfitti da Tar-Palantir, portandola al disordine e alla crisi; tuttavia, muovendosi nell’ombra, mai essi avevano destato sospetti nel popolo, e pochi erano in grado di contrastarli. Tanta era la loro malizia, che perfino Tar-Palantir non avrebbe sospettato alcunché, dal momento che, negli anni del suo governo, i signori Neri si erano nascosti nell’ombra, nell’attesa che i tempi diventassero loro nuovamente propizi.

Le storie di quei lontani giorni, narrano che tra i nove Nazgul[3], i più potenti servi dell’oscuro signore di Mordor, Sauron l’Aborrito[4], tre fossero stati in vita grandi signori dei Numenoreani neri, e che ebbero parte a molti eventi che avvennero in quell’epoca: Er-Murazor, Adunaphel, Akhorahil erano i loro nomi, ormai obliati; eppure essi vivevano, perché grandi erano i poteri conferiti loro dagli Anelli, ed i Nazgul, accanto a Sauron si ergevano o crollavano.

Poche sono le storie giunte fino a noi dagli anni oscuri, perché la stirpe degli immortali più non è tra noi e i ricordi della seconda stirpe sono ormai obliati; eppure fu detto che, tra gli uomini, coloro che possedevano gli Anelli, sarebbero stati in grado, fin quando il loro padrone avesse stretto nelle sue grinfie l’Unico, di assumere forma umana, nonostante la loro immagine reale fosse ormai sbiadita dai tempi remoti.

Akhorahil, settimo tra i Nove, in virtù degli inganni perpetuati dai suoi servi, sedeva ora tra i membri del Consiglio dello Scettro, senza riuscire a nascondere il proprio odio nei confronti di Erfea: “Prendo la parola sire e signori di Numenor, perché non si dica che vi siano stati sulla terra uomini più coraggiosi di Earendil[5] e Turin Turambar! Onore e gloria alle loro gesta! Tutti i presenti dovrebbero sempre tenere viva nella loro memoria il ricordo di simili avi, affinché i loro nomi non siano obliati e sia splendente l’immagine della gloria degli uomini. Può un simile uomo, che ha da poco compiuto la maggior età, aspirare a conseguire una simile vittoria? Funesta ed effimera è la volontà dei giovani, ed ecco, uno tra loro, ha l’arroganza di affrontare un simile male! Sciagura attende chi macchia di colpa tanto grave quanto la superbia, la propria casata! Onore e gloria riceverà invece l’uomo saggio e cauto. Costui, non afferma forse che vincerà il drago con la saggezza? Ebbene non dimostra certo di possederne la giusta misura se tali sono le sue ambizioni in rapporto alle forze che possiede”.

Soddisfatto della sua orazione, il volto coperto da una maschera dorata, il Nazgul sedette, nell’attesa che il sovrano prendesse la parola. Ed ecco, così rispose il re di Numenor: “Figli della seconda casa, ascoltate le parole del re! Onora il saggio ed educa il giovane; queste sono state le leggi tramandateci dai nostri avi, pervenuteci ancor prima che l’isola del Dono fosse sollevata dalle acque. Da un lato il dubbio, dall’altro il timore: quale sarà la mia scelta? Mi preme rispondere, ché invero il tempo fugge via e l’ora è grave. Tali sono le leggi del nostro popolo, ed io intendo onorarle, col metterle in pratica: sia dunque educato il giovane Erfea, che gli sia concesso, se questo è il suo desiderio, di affrontare il drago. Dimostrerà allora il suo valore e la sua saggezza. Non è forse vero che nei tempi remoti agli uomini erano imposte delle prove per verificare la loro forza e il loro coraggio? Sia questa dunque la prima tra le tante prove che il giovane Erfea dovrà affrontare, perché il mio cuore dice che non sarà l’ultima e il suo destino giace lontano dal mare, pur essendo a lui legato”.

Questo fu il discorso del re; e coloro che gli erano vicini cedettero di vedere un’ombra sostargli accanto  per un attimo, prima di allontanarsi e infine scomparire tra le brume della sera. Uno ad uno i presenti abbandonarono il salone, mentre fuori il brusio della folla cresceva in intensità, man mano che la paura e il panico aumentavano la loro presa sugli animi degli uomini. Ultimo ad alzarsi fu Akhorahil, il quale si avvicinò silenzioso ad Erfea, pronunciando parole beffarde: “Con quali ali[6] andrai incontro alla sorte che ti attende, Erfea Hyarrostar? Saranno spoglie e orribili a vedersi, come gli alberi della Terra di Mezzo durante la stagione invernale. Sappi che un solo potere è in grado di placare l’ira dell’orribile drago, ma non è nella tua stolta mente, né nelle tue impacciate mani. Va dunque e soddisfa pure la tua follia!” Rise allora, un suono sgradevole a sentirsi; tuttavia Erfea ribatté: “Forse è come dici tu: tuttavia preferisco che i freddi denti del drago trafiggano la mia carne, lasciando così questo mondo, piuttosto che terminare i miei giorni tra gli ozi e i piaceri lussuriosi ai quali ti abbandoni quotidianamente, Akhorahil”.

Il Nazgul non rispose, ma si limito ad osservarlo con il suo sguardo velenoso, finché Erfea non si fu allontanato; gioì allora nel profondo del suo cuore avvizzito, certo di aver assolto il suo dovere. Il Numenoreano nero, infatti, era ben conscio del fatto che non esistesse alcun guerriero o mago in grado di vincere Morluin; tale pensiero gli procurava grande soddisfazione ed egli si ritirò nelle sue stanze, seguito dalla moltitudine dei suoi servi e soldati.

Note


[1] L’isola di Numenor

[2] Regione di Numenor, posta a sud est: la sua capitale era Minas Laure, la torre dorata.

[3] I Nazgul (Linguaggio Nero: spettri dell’anello), erano i servi di gran lunga più potenti dell’Oscuro Signore, resi immortali dalla nequizia degli anelli degli uomini che erano stati affidati loro; un’unica volontà seguivano, ché, attraverso tali artefici, l’anello sovrano comandava le loro menti ed essi erano i luogotenenti di Sauron e i suoi generali.

[4] Noto in origine come Gorthauron l’Aborrito, Sauron, in principio il più possente fra i Maia di Aule il Fabbro, fu sedotto da Morgoth durante la Primavera di Arda e ne divenne fedele luogotenente durante la Prima Era: condotto innanzi ad Eonwe, l’araldo dei Valar, al termine della Battaglia d’Ira, mostrò pentimento; tuttavia, avendo vergogna a comparire dinanzi a Manwe per essere giudicato, fuggì lungi ad est, ove riacquistò una nuova forma, gradevole a vedersi, ché egli voleva corrompere i cuori degli Eldar e dei secondogeniti per farne i suoi schiavi.

[5] Earendil, figlio di Idril e Tuor di Gondolin, trucidò Ancalangon il Nero, il più grande drago che le storie menzionino, in un duello a singolar tenzone durante la Battaglia d’Ira.

[6] Il riferimento è a Earendil che affrontò il Signore dei draghi alati a bordo della sua nave alata, il cui nome era Vingilot.

Un frammento. La stoltezza

Care lettrici, cari lettori,
con Tolkien, l’autore del Signore degli Anelli e di tante altre fantastiche opere ambientate nella Terra di Mezzo, condivido – oltre all’amore per il suo legendarium – una «deprecabile» abitudine: sono solito, cioè, iniziare racconti che poi non termino, perché distratto da altri impegni oppure da altre idee…

Quest’oggi voglio pubblicare sul mio blog uno di questi «frammenti», ispirato a una storia zen intitolata «La stoltezza».

Buona lettura, spero sia di vostro gradimento!

Nel giorno di Mezzaestate un Cundo (1) proveniente dalle scomparse contrade dell’Occidente, dopo aver condiviso con me il frugale pasto serale, mi narrò questa storia:

“Ad un crocicchio nei pressi della grande città di Armenelos, si incontrarono un giorno tre Roquen (2) seguiti dai loro Othari (3); poiché nessuno dei tre Signori voleva lasciar il passo agli altri, essi decisero che avrebbero fatto seguito al cavaliere il cui scudiero avesse compiuto l’azione più stolta: essi avrebbero giudicato i racconti e avrebbero deciso all’unanimità chi si fosse dimostrato più stolto.

Il primo Othar parlò: “Quando ero un ragazzo di quattordici anni, per acchiappare un topo in cucina, urtai una grande anfora ed essa rovinò al suolo, spargendo il suo prezioso contenuto sulla nuda terra”.

Il secondo Othar parlò: “Quando avevo l’età di quindici anni, mi recai a pescare al largo del porto di Andunie; in breve tempo la mia rete fu colma di pesci di ogni dimensioni, tuttavia io non ero soddisfatto: afferrai dunque una grande tartaruga marina che nuotava placidamente accanto a me e tentai di issarla sulla barca. Troppo tardi mi resi conto che il naviglio non avrebbe tollerato di portare seco un peso maggiore a quello che già recava sicché esso si ribaltò ed io a stento mi salvai da morte certa”.

Il terzo Othar parlò: “Quest’oggi ho ascoltato tre Cavalieri discutere su chi fra loro avrebbe dovuto cedere il passo all’altro. Non è questa l’azione più stolta che abbia fatto in vita mia?”

I tre Roqueni arrossirono e voltati i loro destrieri tornarono da dove erano giunti.

Note:
(1) Cundo è un termine elfico che indica il paladino
(2) Roquen: cavaliere in elfico
(3) Othar: scudiero in elfico

Space-Dye Vest

Dear readers, I dedicate this poignant song by Dream Theater to you which seems to be inspired by the sad love story between Erfea and Miriel. In particular, these melancholy words that I transcribe are suitable for describing their unhappy story.


“But he’s the sort who can’t know
anyone intimately, least of all a
woman. He doesn’t know what a woman
is. He wants you for a possession,
something to look at like a painting or an ivory box.
Something to own and to display. He doesn’t want you to be real,
or to think or to live. He doesn’t love you, but I love you.
I want you to have your own thoughts and ideas and
feelings, even when
I hold you in my arms. It’s our last chance… It’s our
last chance…”

Link utili:
L’Infame Giuramento_IX Parte e ultima (Il trionfo di Pharazon)
Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio»

Il Lai della perdita – II parte

Care lettrici, cari lettori,
eccovi la seconda (ed ultima parte) del «Lai della perdita», dedicato al primo incontro fra Erfea ed Elwen. Potrete leggere la stessa vicenda in prosa qui: I dubbi di una scelta difficile: Elwen, Morwin ed Erfea. Troverete la prima parte del Lai qui: Il lai della perdita – I parte
Spero possa piacervi, buona lettura!

Di dolci sembianze
una fanciulla aveva innanze
grigi occhi e capigliatura bella
della stirpe elfica la più snella
Elwen era il suo nome santo
l’origine di tutto questo canto

Pareva diamante tra le stelle
quando fra le damigelle
rideva e sovente parlava
e la sua gentil voce intonava
un preziosissimo canto d’amore
che a lui dedicato sarebbe stato onore

«Elwen» il giovane sussurò
ed ella sorpresa lo guardò
il suo viso ne gioì
che più bello di quello mai più fiorì
ché Elwen la mezzelfa nome aveva
nella Terra di Mezzo ancora viveva.

Ella infine si avvicinò
e con voce sicura gli parlò:
«Elfo sembrate, ma un Dunadan sarete
ché nel profondo del cuore una luce avete
siete forse Erfea il valoroso
colui che non teme nemico periglioso?»

«Invero signora mia
non so se siate una fantasia
troppo bella mi sembrate
ché perfino Luthien oscurate
Elwen del bianco vento vi chiamerò
e a voi il mio cuore donerò».

Senza sosta danzarono e parlarono
e spesso le mani sfiorarono
ad Erfea sua sposa pareva
anche se una ciocca muoveva
eppure, nel cuore del lieto festino
il funesto filo aveva già tagliato il destino.

Ché nuvole nere apparirono
quando le speranze morirono
ché Sire Morwin, degli elfi il capitano
aveva già in mente il suo piano
Elwen tosto conquistare
ed Erfea poi allontanare.

Con subdole parole l’ingannatore
sedusse la mezzelfa per rancore
egli odiava tutta la stirpe dei mortali
ritenendoli responsabili di tutti i mali.
A nulla valse l’amore dell’Errante
ché Elwen lo abbandonò seduta stante.

Erfea era davvero incollerito
ma la sua furia nulla avrebbe impedito
ché già i due si amavano
e all’ombra di un lume mormoravano
fra i due imperava la passione
non potè impedire la loro unione.

Così la via scelse dell’esilio
e solo proseguì il suo cammino
l’amore vero nel cuore
e nella mente profondo dolore
quando su di lei lo sguardo posò
e poi tosto lo allontanò.

Vecchie sono ora le stelle
e fra di loro nemmeno più sorelle
triste e grigio ora il mondo
non gira più giocondo
feste e canti terminati
forse per sempre esiliati.

Ma Erfea è duro a morire
solo lui contro il male può agire
il suo volto triste e scuro
ma il suo cuore non ancora duro
ché di Elwen la splendente
mai porterà seco un ricordo evanescente.

Fine

Link utili:

Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio»

Elwen la Mezzelfa

Erfea, o degli eroici imperfetti

Il lai della perdita – I parte

Care lettrici, cari lettori,
continuo in questo articolo la narrazione delle versioni precedenti de «Il Ciclo del Marinaio», nelle quali, come vi ho raccontato in precedenza, non erano ancora inclusi personaggi che, al contrario, avrebbero avuto una grande importanza nelle storie più recenti, come ad esempio Miriel. Nel «Lai (vale a dire “il lamento”) della perdita», Erfea, dopo un naufragio, riesce a raggiungere a stento la città elfica di Edhellond, dove conosce Elwen la mezzelfa e Morwin, rispettivamente l’amata e l’antagonista di questi primi racconti. Potrete leggere qui la versione successiva di questo racconto: I dubbi di una scelta difficile: Elwen, Morwin ed Erfea e divertirvi a fare un confronto fra le due versioni: per il momento, vi lascio con il testo introduttivo al «Lai della perdita», che spiega alcuni dettagli interessanti altrove mai raccontati e con le prime strofe del poema.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Questo racconto è il secondo dell’intera opera e un prezioso indicatore per la storia della Terra di Mezzo. Innanzitutto, anche se nel testo non viene chiaramente esplicitato, Erfea non si ritrovò casualmente ad Edhellond: la sua nave, infatti, era stata sabotata al largo delle foci dell’Anduin e solo grazie alla sua forza era riuscito ad approdare sulla terraferma, dove aveva conosciuto gli Elfi che ivi dimoravano. Tuttavia era logico aspettarsi che passasse qualche tempo prima che Erfea fosse invitato ai banchetti dei nobili del luogo; probabilmente fino ad allora era stato ospite di pastori silvani, che poi avevano comunicato al loro signore Morwin la venuta di quell’uomo dall’Ovesturia. A proposito dell’odio dimostrato da Morwin nei confronti degli Uomini, significativa è stata in tal merito una nota ritrovata al margine di uno dei fogli, scritta da Erfea in persona: «Egli era uno dei discendenti di Fingolfin, sebbene non erede diretto: fin da piccolo in lui si era radicato profondamente l’odio verso i mortali, a causa del tradimento perpetuato da questi nella Battaglia delle Innumerevoli Lacrime (alla quale, tuttavia, i miei avi non avevano preso parte, continuando a servire i signori degli Eldar), il cui esito infausto aveva poi spinto Fingolfin ad affrontare Morgoth in duello per vendicare l’onore perduto degli elfi, trovandovi infine la morte». A tal proposito, va anche detto che Erfea e Morwin si dovevano essere conosciuti già da qualche tempo, cosa che tutto plausabile perché dimostrerebbe la familiarità che aveva Erfea – principe di Numenor e di alto lignaggio – con i nobili di Edhellond. Riguardo Elwen la mezzelfa, il discorso è invece più complesso, non solo a causa delle molteplici versioni che del personaggio ci sono state tramandate, ma anche e soprattutto per l’evoluzione che questo subisce. Nei primi codici ella è indicata come elfa della stirpe dei Noldor, mentre solo in seguito appare come mezzelfa dagli avi sconosciuti (anche se, a giudicare dai ritratti pervenutici, è innegabile che vi fosse un’ascendenza Noldor). Tutto ciò non è sufficiente però a dimostrare che effettivamente vi fosse stato un legame con Morwin, anche se i due non appaiono sicuramente estranei. È probabile che Elwen, all’epoca ancora giovane secondo gli standard elfici, abbia rifiutato l’amore di Erfea a causa della sua posizione divenuta pericolosa, nonché per un suo intrinseco desiderio di immortalità, che solo il matrimonio con Morwin le avrebbe concesso di realizzare. Perduto è poi anche il racconto in cui ella mutava sentimenti e decideva di rivolgere il suo cuore ad Erfea, così come nulla si sa circa i viaggi di Erfea fino al momento di ritornare ad Edhellond».

«Giovani erano le stelle
e nel cielo si affacciavano sorelle
ammiccando fra loro
splendevano più dell’oro
quand’ecco di gran carriera
giungere il prode Erfea.

Veloce il suo passo e alto il portamento
della stirpe di Sauron il tormento
ché ad Occidente dimora aveva
da Numenor tosto giungeva
nella Terra di Mezzo splendente
per ammirare l’antica gente.

Poi bussò ad una porta
ed ecco di voce nobile la risposta:
«Benvenuto sotto il mio tetto»
e così dicendo gli fu aperto
ma entrando di gran passo
ahimé, non fece caso al suo misfatto.

Ché il suo saluto educato volse
a principi e principesse
volti da lungo conosciuti
gli parevano ormai vetusti
ma ecco il suo cuore gli ordinò:
«Voltati, o presto morirò».

[continua]