La Battaglia della Dagorlad – La profezia di Oropher si compie

Care lettrici, cari lettori,
quest’oggi voglio accompagnarvi all’epilogo del «Racconto del Marinaio e della Grande Battaglia», che si concluderà con la vittoria dell’Alleanza e la caduta dei Cancelli Neri. La conclusione di questa battaglia era stata già, in verità, preannunciata dal morente re Oropher (potete rileggere qui la sua profezia), per cui i lettori più attenti potrebbero aver già colto quello che si dice uno «spoiler». Per gli altri, mi auguro che la conclusione possa essere di loro gusto. Un’ultima precisazione: questa battaglia avrebbe certamente richiesto una trattazione più lunga, tuttavia devo invitarvi a considerare che il narratore interno della vicenda – vale a dire Erfea – partecipando direttamente allo scontro dovette interrogare molti alleati e nemici prima di avere un quadro preciso di quanto era accaduto e, per questa ragione, il suo resoconto finale può sembrare più «asciutto» rispetto a una narrazione più approfondita ma – inevitabilmente – meno capace di raccontare una vicenda così grande e articolata.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

L’immagine in copertina è di Mikel Janin, «Battle of Azanulbizar»

«Il panico si impadronì allora della creature della Tenebra ed esse fuggirono dinanzi agli Ent o furono travolti dall’impeto delle loro forti braccia: Troll, Orchi o mastini che fossero, gli schiavi di Mordor furono sbaragliati e le schiere di Gil-Galad e di Elendil liberate dal mortale laccio che il Re Stregone aveva posto loro intorno; eppure, all’ala destra, le armate di Mordor, rinforzate dai cavalieri di Uvatha, tenevano ancora testa ai soldati di Isildur e di Glorfindel, sicché questi erano ormai prossimi a cedere, né avrebbero potuto essere in alcun modo raggiunti dagli Ent o da altra truppe dell’Alleanza, ché il Re Stregone mosse contro di loro i veterani del suo esercito, i Numenoreani Neri che portavano impresse sul proprio corpo le cicatrici di mille battaglie vinte. Nuova speme sorse allora nel cuore degli schiavi della Terra Nera, ché essi si avvidero della potenza dei loro padroni e presero ad esultare, consapevoli che se avessero impedito ai vari reparti del nemico di unirsi nuovamente, la vittoria sarebbe stata raggiunta.

Improvviso, un rauco corno fu udito nella piana e gli sguardi di tutti furono attratti dalla visione di piccole figure che giungevano da levante; esultanti, i cavalieri del Nemico si approssimarono ad andare loro incontro, ché credevano essere costoro i mercenari che i re dell’oriente avevano inviato in soccorso. Grande fu perciò la meraviglia e lo stupore dell’intero esercito di Mordor, allorché costoro udirono riecheggiare un nome per loro oscuro: “Khevialath! Khevialath!”(1) e si avvidero che costoro non erano uomini ma nani. Silenzio cadde allora fra quanti erano presenti nel campo di battaglia, rotto dal possente canto di battaglia di Erfea e di Groin, ché essi compresero quali aiuti erano giunti loro in quell’ora sì oscura; nuova speme sorse allora negli animi dei soldati dell’Alleanza, ché essi si avvidero che nuovi soccorsi giungevano e riacquistarono le forze che le crudeli ore di combattimento avevano sottratto loro. Incredulità si dipinse invece sui biechi volti degli schiavi di Mordor, ché essi non comprendevano da quale luogo fossero giunti quei nani le cui insegne erano sconosciute pressoché a tutti, eccetto a quelli della stirpe di Bavòr (2), che sino a quel momento si erano tenuti in disparte.

Lesti, i guerrieri travolsero qualunque resistenza venisse loro opposta; finanche i cavalieri di Uvatha fuggirono in preda al panico, ché i Nani della Sesta e della Settima casata erano numerosi e bene armati, né era possibile incutere loro timore, ché erano armati di una temibile arma, quale mai i Variag del Khand e i popoli dell’Harad avevano mirato: una mazza lunga ottanta pollici che i Nani impugnavano con entrambe le mani, mirando ai garretti dei destrieri dei nemici, sicché questi cedettero e furono travolti dai pesanti stivali che i figli di Aule calzavano.

Il panico si impadronì allora di quanti servivano nelle file di Mordor ed essi presero a fuggire, mentre il Re Stregone ordinava alle schiere di Bavòr di proteggere la ritirata delle sue truppe sul suo fianco sinistro; vana si rivelò tuttavia tale mossa, ché i Nani dell’Oriente travolsero finanche quest’ultima resistenza e permisero alle schiere di Isildur e di Glorfindel di spezzare le linee nemiche e di riunirsi ai loro congiunti. Grande fu allora la rovina degli eserciti di Mordor, ché essi subirono gravissime perdite, sicché solo un decimo dei guerrieri che avevano fatto il loro baldanzoso ingresso dagli ampi Cancelli della Nera terra fece ritorno alla dimora di Sauron, abbandonando nelle mani dell’Alleanza una gran quantità di viveri e di strumenti bellici di ogni sorta».

Note:

  1. Khevialath era il nome che i nani avevano attribuito ad Erfea: nella loro favella significa «Il lungimirante».
  2. La stirpe di Bavòr combatteva sotto le insegne di Mordor.

Suggerimenti di lettura:

La Battaglia della Dagorlad – L’intervento di Uvatha e delle Grandi Aquile

La battaglia della Dagorlad – L’arrivo della cavalleria alleata

La Battaglia della Dagorlad – Morte di un eroe

La Battaglia della Dagorlad – La strategia del Re Stregone

La Battaglia della Dagorlad – Una vittoria apparente…

La battaglia della Dagorlad – La carica dei Mumakil

La prima fase della battaglia della Dagorlad

Il discorso di incitamento di Gil-Galad ai soldati dell’Ultima Alleanza

La Battaglia della Dagorlad – Il catalogo delle forze alleate e nemiche

La Battaglia della Dagorlad – L’arrivo degli Ent

I piani di battaglia per la Dagorlad

Dwar a colloquio con i Signori dell’Ovest

Il coraggio di Morwin e la morte di Oropher e Amdir

Il primo attacco ai Cancelli Neri

Un giuramento infranto. La follia di Amdir e Oropher

Un’alleanza difficile

Gil-Galad, l’Alto re degli Elfi

 

La Battaglia della Dagorlad – L’intervento di Uvatha e delle Grandi Aquile

Care lettrici, cari lettori,
siamo ormai quasi giunti al termine di una lunga serie di articoli incentrati sulla narrazione della grande battaglia combattuta dinanzi ai Cancelli Neri di Mordor alla fine della Seconda Era. In questo brano leggerete delle geste di Uvatha il Cavaliere, uno dei Nove Nazgul, e dell’arrivo delle Grandi Aquile, il cui intervento fu salvifico per evitare la sconfitta delle truppe dell’Alleanza…

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«Gli Orchi e gli Uomini si adunarono ancora una volta e mossero all’attacco, spronati gli uni dalla malizia del loro Oscuro Signore, gli altri dalle fruste dei loro aguzzini; i Cancelli neri si aprirono e nuove schiere presero parte alla battaglia ed erano costoro i cavalieri di Uvatha, Nono tra coloro che accettarono gli anelli del potere degli uomini, colui che le sue schiere temevano sopra ogni altro capitano di Sauron, eccetto il Re Stregone in persona. Implacabile era infatti l’odio di Uvatha verso le schiere dell’Occidente e si narra che egli fosse il più abile cavaliere della Terra di Mezzo, superiore finanche a Glorfindel e ad Erfea; rapidi i suoi diecimila cavalieri caricarono, travolgendo nel loro impeto alleati ed avversari.
Le trombe soffiarono e gli scudi furono scossi, sicché parve che nuovamente la sorte arridesse ai servi di Mordor: ritto sul suo crudele destriero il Signore dei Nazgul rise oscenamente e le sue truppe ne condividevano la letizia; eppure, come qualche giorno prima aveva profetizzato Cirdan del Lindon, vi erano voleri che neppure il crudele artiglio dell’Oscuro Signore avrebbe potuto arrestare. Giunsero infatti le possenti aquile di Manwe e parve ai nemici che fosse in atto una grande stregoneria, quale si sussurrava compissero i Priminati nell’oscuro delle loro dimore, ché una vasta selva parve muovere contro di loro e l’aree fu pieno dei rauchi richiami che i pastori degli alberi, gli antichi Onodrim, si rivolgevano l’un l’altro».

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La Battaglia della Dagorlad – L’arrivo degli Ent

Care lettrici, cari lettori,
l’esercito dell’Alleanza è ormai pronto a sfidare le truppe di Sauron dinanzi ai Cancelli Neri di Mordor. Prima di affrontare il Nemico, tuttavia, esse saranno raggiunte da una serie di inaspettati Alleati, che contribueranno a rafforzare le loro file. Nel Silmarillion, scrivendo a proposito della composizione dell’Alleanza, Tolkien sostiene un’idea «potenzialmente» di grande respiro narrativo, ma che si presta – come vedremo – a molteplici interpretazioni. «Tutte le creature viventi quel giorno presero partito, e in entrambi gli schieramenti ve n’erano d’ogni genere, sia quadrupedi che pennuti, l’unica eccezione essendo costituita dagli Elfi, i soli che non si fossero divisi» (p. 370). Cosa significano queste parole? L’espressione «tutte le creature» deve essere intesa in senso assoluto o relativo? Nel primo caso – il più affascinante, forse, dal punto di vista speculativo, ma, allo stesso tempo, il più tremendo da gestire nei panni di chi si accinge a scrivere di questa battaglia – avrebbero potuto essere presenti Draghi, Balrog, e perché no? perfino gli Hobbit. Nel secondo caso, l’autore avrebbe inteso una presenza di creature note a chi scriveva il Silmarillion, ossia i Noldor, escludendo pertanto una serie di specie viventi all’epoca ancora non note (per esempio gli Hobbit). La questione è complessa, e non è escluso che presto possa dedicare un articolo a questo enigma, nel quale esporrò le mie suggestioni e ipotesi. Per il momento, dopo lunga e sofferta valutazione, mi sono orientato verso una posizione intermedia, nella quale, naturalmente, non potevano mancare le creature parlanti più antiche della Terra di Mezzo: gli Ent, i Pastori degli Alberi, e i loro rappresentanti più anziani, tra i quali spicca Barbalbero.

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L’immagine in alto è di Ted Nasmith: «Barbalbero e l’Entconsulta»

«Secche, giungevano alle orecchie dei soldati le parole dei loro capitani ed essi erano ansiosi di muovere guerra alle truppe di Mordor, né v’era bisogno di parole per spronare i loro gesti, ché molti avevano ancora impresse nella mente i cadaveri, mutilati ed abbandonati nella piana di Osgiliath, mentre altri, pur non avendo assistito a quanto mente mortale e immortale è impossibilitata dall’obliare, avevano ascoltato i raccapriccianti racconti di coloro che erano sopravvissuti e avevano partecipato del dolore che aveva colto i propri compagni d’arme.

Lance furono issate, spade sguainate e faretre empite di dardi acuminati; allorché le armate dell’Alleanza furono schierate, Gil-Galad si voltò e nel suo cuore si impresse, a ricordo imperituro di quel giorno, la maestà dei figli di Iluvatar; allora, il suo cuore fu empito dalla gioia ed egli, sguainata la lama dal fodero impreziosito da eleganti intarsi in mithril, cantò nella lingua dei padri: melodiose, eppure virili, erano le parole che egli pronunziava e perfino chi non comprendeva il Quenya, rimase affascinato, sicché presto l’animo di ciascuno fu saldo e la mente libera dalla paura dei servi di Mordor.

Era il tramonto allorché le schiere dell’Alleanza presero a marciare dirette a Mordor e nessun nemico osò contrastarne la marcia, ché gli esploratori di Thranduil bene conoscevano quelle contrade ed essi evitarono le distese acquitrinose ove i guerrieri dei Silvani avevano trovato triste morte. Rapide, le schiere dell’Alleanza si mossero lungo l’antica strada, realizzata dai servi di colui che si apprestavano a combattere; stupiti, esse miravano una gran quantità di bestie del cielo e della terra unirsi a loro, e, sebbene si interrogassero l’un l’altro, pure non riuscivano a comprendere per quale ragione accadesse un simile fenomeno.

Possenti aquile, le cui maestose ali empivano il cielo, erano sopra i figli di Iluvatar, né esse erano gli unici volatili, ché tosto si accompagnarono a costoro candidi cigni, il cui piumaggio splendeva sotto la rossa luce del freddo tramonto. Lieti in volto, gli Eldar presero a mormorare che costoro erano i congiunti di Elwing e il loro spirito fu rallegrato dalla loro comparsa; non meno gioiosi, tuttavia, erano i Secondogeniti, ché innumerevoli gabbiani dal canto malinconico erano comparsi all’orizzonte e sovente essi si posavano sugli elmi dei soldati di Gondor, sicché questi parevano davvero essere decorati dalle ali di tali uccelli.

Se maestosi erano i voli degli araldi di Manwe e di Varda nel vasto cielo, non meno nobili erano tuttavia i pastori di Yavanna e l’aree era colmo dei loro profondi e rauchi richiami; stupefatti i figli di Iluvatar miravano gli Ent, gli antichi custodi degli alberi, fare seguito ai loro vessilli, sicché parve che un’immensa foresta fosse intenta a marciare; infine, allorché la sera calò e i soldati furono intenti ad edificare i ricoveri per la notte, tre fra i Pastori degli Alberi[1] si approssimarono all’accampamento, chiedendo di poter discorrere con i Capitani dell’Alleanza: anziane erano le loro membra, ma ancora vigorose, e lucidi gli imperscrutabili occhi; a lungo attesero in silenzio, infine uno fra loro avanzò e parlò con voce lenta e profonda.

“Hum, salute a voi, giovani rampolli del seme di Iluvatar! Alcuni fra voi – e così dicendo, si inchinò leggermente a Gil-Galad ed Elrond – hanno scorto in passato i miei passi nelle contrade oggi devastate dalla crudeltà dei servi di Sauron e udito l’eco delle nostre tristi canzoni allorché l’oggetto del nostro disio scomparve e più non fece ritorno alle antiche dimore; tuttavia, sebbene i nostri cuori ancora sanguinino per il ricordo di tali vicende, pure non sono giunto dinanzi a voi per ricordare il passato, ma per preservare il futuro delle contrade che amiamo”.

Lesti, i signori delle libere genti si inchinarono e Gil-Galad prese la parola: “Grati sono i nostri animi, o possente fra gli Onodrim, per quanto tu e la tua gente avete compiuto per la salvezza dei liberi popoli; non vi è alcuna parola, in nessuna lingua, per esprimere adeguatamente la riconoscenza per quanto i vostri possenti corpi hanno condotto a termine; senza la vostra azione, infatti, le genti di Gondor non avrebbero avuto alcuna dimora nella quale rifugiarsi durante il rigido inverno e l’afosa estate”.

Divertito parve l’Ent ed i suoi compagni risero cortesemente: “Hum, suvvia, re dei Noldor! Non è per ricevere gentili ringraziamenti da parte tua che abbandonammo i boschi a nord, bensì per sostenere la causa dei reggenti di Arda e di colui che è sopra essi; quanto a ciò che accadde nel fresco Ithilien, sappi che non costò al mio popolo alcuna fatica, ché gli orchi erano terrorizzati dalla nostra presenza, sebbene la stessa cosa possa dirsi riguardo ad alcuni delle vostre stirpi!”

Rise ancora e la sua letizia fu come un fremito del vento di primavera tra i suoi fronzuti rami; infine si arrestò e prese nuovamente a parlare, questa volta con tono curioso: “Gli uccelli del cielo hanno sussurrato alle mie orecchie che quivi sarebbe un capitano fra gli uomini, quali i miei occhi mirarono anni or sono; dov’è dunque Erfea, figlio di Gilnar, che voi chiamate Morluin?”

Messaggeri furono inviati alla ricerca del Sovrintendente di Gondor, ché nessuno sapeva dove egli fosse in quell’ora: non fu necessario, tuttavia, attendere a lungo, ché un cavaliere si approssimò alle massicce figure degli Onodrim e, sceso dal suo destriero, si inchinò dinanzi a loro:

“Ben m’avvedo di essere in ritardo, Signore fra i Pastori degli alberi, tuttavia non ti domando perdono, ché altri servigi hanno reso le mie braccia mentre tu discorrevi con i principi delle libere genti, e la pugna è prossima ad iniziarsi”.

Divertito l’osservò l’Ent, infine, chinato graziosamente il possente capo, lo salutò a sua volta: “Non desidero le tue scuse, ché rapida fugge via la tua esistenza, Numenoreano e molte sono le azioni che desideri ancora compiere nella Terra di Mezzo. Lieto sono nel discorrere con te, Erfea Morluin, ché lunghi anni trascorsero dal nostro ultimo incontro e, sebbene il peso degli inverni gravi sulle tue spalle ancora forti, sappi tuttavia che prossimo è il momento in cui riporrai il fardello e il dolore fuggirà via dalle tue membra”.

“Pure, Fangorn, tale ora è ancora distante, né vi è meraviglia nei miei occhi per quanto le tue parole hanno rivelato, ché si dice che il tempo scorra diversamente per i mortali e per quanti calcano queste contrade da epoche remote e che nessuno fra noi Secondogeniti ricorda”.

Sospirò l’Ent e le foglie che ne adornavano il capo furono scosse da una leggera brezza: “Invero, sagge sono le tue parole, ché troppo spesso oblio quanto appresi su coloro la cui sorte non è vincolata al destino di Arda; tuttavia, poiché altre faccende richiedono la mia presenza, vi porgo i miei saluti, rimembrando a ciascuno dei presenti quanto incomprensibili siano i voleri del fato, sicché non convenga affannarsi alla ricerca della comprensione di un sapere quale è pericoloso per i figli di Iluvatar ottenere”.

Rapidi si mossero gli Ent, sparendo nella bruma della notte; incredulo in volto, così parlò allora Aldor: “Pastori degli alberi! Mai avrei creduto che nel corso della mia esistenza avrei mirato le creature di Yavanna, le cui vicende sono note al mio popolo solo attraverso antichi poemi cantati nelle fredde notti di inverno. Benedetti siano questi giorni, ché, se molto è stato perduto e nuovi lutti subiranno le libere genti del mondo, pure è di grande conforto sapere che gli dei non hanno obliato i figli di Iluvatar che dimorano nelle vaste contrade di Endor”.

Rispose Glorfindel: “Rallegrati, dunque, figlio del Nord, ché oggi hai assistito ad un prodigio quale mai gli Eldar hanno scorto sin da che il Beleriand fu sommerso dai flutti del Grande Mare: gli Onodrim, i Pastori degli Alberi, sono infatti giunti in tali remote contrade per contrastare le schiere del Maia caduto e dei suoi servi”.

Annuì l’Eothraim, né egli era l’unico ad aver scorto quelle creature per la prima volta: “Molto si parla nelle leggende del mio popolo dei Pastori degli alberi, sebbene le vicende in cui siano implicati non costituiscano motivo d’orgoglio per la stirpe di Nogrod. – interloquì Groin, figlio di Bòr – Quali altre meraviglie scorgeranno dunque i miei occhi in questi giorni ricolmi di terrore ed incanto?”

Lungimiranti furono allora le parole che Cirdan pronunciò: “Il mattino recherà seco eventi quali i miei occhi, che pure sono molto anziani, non miravano dal giorno in cui Morgoth fu abbattuto ed Endor liberata dalla sua malvagia influenza, seppure per breve tempo”».

Note

[1] Erano, costoro, i più anziani fra gli Onodrim: Fangorn, Finglas e Fladrif erano i loro nomi nella lingua degli elfi grigi e Barbalbero, Ciuffofoglio e Scorzapelle nelle favelle degli uomini del nord.

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Gil-Galad, l’Alto re degli Elfi

L’Infame Giuramento_IV Parte (La storia di Morlok l’Occultatore)

Bentrovati! Proseguo la narrazione de «Il Racconto dell’Infame Giuramento», presentando una nuova figura, alla quale fin ora ho rivolto solo qualche cenno nel corso della trattazione: Morlok, una sorta di Ministro delle Finanze di Numenor, padre dell’ammiraglio Eargon, che avete avuto modo di conoscere leggendo «Il Racconto dell’Ombra e della Spada». In questa parte del racconto mi soffermerò su un aspetto che, di solito, nei racconti epici o fantasy viene trascurato, ossia il risvolto economico di queste vicende: intraprendere una guerra, una rivolta e, più in generale, tenere il governo di uno Stato potente come Numenor, infatti, richiedeva una certa disponibilità di denaro liquido: questa è la ragione per cui uomini apparentemente insignificanti come Morlok, in realtà, possono rivelarsi ancora più determinanti di un Paladino…

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«Coloro che erano con lui si levarono allora dai propri scranni e si apprestarono a raggiungere il desco; non era però con loro Erfea, ché egli rimase nella radura, contemplando le stelle di Varda sbocciare, come fiori argentati nella notte, ad occidente; allorché i suoi compagni furono di ritorno, lo trovarono che pareva addormentato: pure, così non era ed egli, al contrario, era immerso in profonda meditazione. Uditi i passi di coloro che gli si facevano incontro, il figlio di Gilnar si levò dal suo scranno e invitò i compagni a disporsi accanto a lui; con loro era adesso Glorfindel, ché molto ambiva conoscere eventi di cui gli erano giunti solo pallidi echi.
Erfea attese che il silenzio regnasse fra loro, infine levò nuovamente la sua voce ed essi lo stettero ad ascoltare.
“Vi fu, in seno al Consiglio dello Scettro, molta confusione in seguito alla mia proposta e non poche furono le voci di coloro che discussero al suo interno; alcuni erano per obbligare Tar-Miriel a rinunciare al trono e a nominare un nuovo sovrano fra loro che non avesse tema di arrestare Pharazon, stante l’accusa di alto tradimento; altri, e fra questi vi era anche Amandil, esortavano i presenti affinché ogni decisione fosse rimandata all’indomani della successiva seduta del Consiglio dello Scettro, che si sarebbe tenuta alcune settimane più tardi; comune a tutti, però, era la volontà di proseguire la guerra contro Pharazon: inviammo, allora, messaggeri ai nostri alleati, pregandoli di inviarci rinforzi prima che le armate del governatore ribelle piombassero su di noi, ma la nostra speme andò quasi del tutto delusa, ché alcuni araldi, infatti, furono trucidati dal Nemico prima di giungere a destinazione, mentre altri si smarrirono nelle selve e nelle paludi di Endor.
Di quei pochi che pervennero ai reami dei popoli liberi, avemmo notizie dopo una lunga attesa, ché le strade erano occupate dalle armate dei Neri e dalle loro spie; tuttavia, allorché essi furono di ritorno, confermarono le nostre peggiori paure, ché asserirono non sarebbero giunti aiuti da Khazad-Dum, mentre gli Uomini del Rhovanion avevano edificato i loro accampamenti al di là del mare di Rhun ed erano per noi irrangiugibili: solo gli Elfi risposero al nostro appello ed inviarono viveri ed armi.
Reso perplesso ed inquieto da tali notizie, compresi poco o punto le ragioni che avevano spinto i signori di Khazad-Dum a venire meno alla nostra alleanza, tanto più che erano state scorte spie di Pharazon aggirarsi lungo i tortuosi sentieri che conducevano alla rocca dei figli di Aule; grande fu la paura che mi colse, perché temetti che presto sarebbe stata instaurata un’alleanza fra i Naugrim ed i Numenoreani Neri; tuttavia, come vi spiegherà Naug-Thalion, i miei timori non trovarono conferma.
“A quell’epoca – interloquì il principe del popolo dei Naugrim – vi erano discordie anche all’interno del nostro Consiglio Supremo, ché alcuni premevano affinché i Fedeli di Elenna fossero sostenuti, mentre altri, infidi e pavidi, ritenevano sarebbe stato più saggio per il nostro reame se nessuna alleanza fosse stata stretta con quelle genti, temendo che le ricchezze di Khazad-Dum sarebbero state concupite dai Dunedain e che la gloria del nostro popolo sarebbe stata oltraggiata se avesse preso parte alle guerre fra i Numenoreani.
Per lungo tempo, quanti erano della mia schiatta riuscirono a contrastare la perniciosa influenza che consiglieri pavidi detenevano all’interno della corte, finché essa non trionfò e il sovrano non prestò ascolto alle subdole parole dell’opposta fazione; alcuni fra noi, allora, presero a inviare aiuti ai paladini di Elenna clandestinamente, contravvenendo agli ordini del re.
Ahimé, mai Durin IV avrebbe dovuto ascoltare tali infidi consiglieri, ché essi agivano spinti dalle medesime debolezze che attanagliavano sovente i cuori dei Naugrim, timorosi come erano di perdere i tesori che il nostro popolo aveva accumulato nel corso di lunghi secoli; fu fatto divieto a ciascuno dei principi del regno di soccorrere entrambi i contendenti e se questo fu, indubbiamente, di grande impedimento e danno per i capitani di Erfea, tuttavia provocò le medesime conseguenze anche per i loro nemici ed essi, ancora per qualche tempo, furono respinti”.
“Allorché mi giunsero tali notizie – riprese a parlare Erfea – sebbene non provassi nel cuore letizia alcuna, pure mi avvidi che finanche i miei avversari non avrebbero potuto godere di alcun aiuto; resistemmo, dunque, ancora per qualche mese, finché un nuovo evento, ancor più grave di quanti ho finora narrato innanzi a voi, colpì il mio partito e segnò le sorti di Numenor”.
“Se le tue parole non mi ingannano, Erfea Morluin, devo dunque dedurre che ancora non era stata presa una decisione in seno al Consiglio dello Scettro che privilegiasse la lealtà alla Corona o al popolo Numenoreano” osservò Glorfindel, campione fra gli Elfi.
“In verità, figlio di Gondolin, la decisione, nel cuore di ciascuno di noi, era stata già presa; tuttavia, poiché i Numenoreani di Pharazon risalivano da Sud rapidamente, pure si era detto che, fino al giorno in cui la pace non avesse trionfato nelle contrade abituate dai Dunedain, essa sarebbe stata taciuta”.
Erfea s’interruppe per qualche istante, indì proseguì: “All’epoca, tuttavia, non ci avvedemmmo della nostra ingenuità e in questo errammo a lungo, ché ignoravamo quali alleati sostenessero Pharazon nella sua lotta per impugnare lo scettro di Elenna; poche o punte certezze vi erano, sebbene io credessi che fra essi si occultasse almeno uno degli immortali servi dell’Oscuro Signore; questi, tuttavia, erano abili nell’occultarsi e si tenevano lontani dalla mia lama, sicché io scoprii le loro identità quando era ormai troppo tardi.
Scarsi erano, come vi ho testé narrato, i fondi di cui disponevamo per proseguire nella lotta contro i Numenoreani Neri, sicché in quei giorni la nostra unica fonte era costituita dal Tesoro Reale di Numenor, di cui era stato nominato Sovrintendente Morlok, il cui lignaggio era affine al mio, condividendo i medesimi padri; inusuale era stata la scelta della sovrana, ché mai, nella millenaria storia della nostra isola, un simile incarico era stato affidato alla sua stirpe, essendo stato, un tale compito, da sempre prerogativa dei principi del Mittalmar; pure, Tar-Miriel non aveva fiducia alcuna dell’unico superstite di tale casato, Brethil l’Orbo, così chiamato perché aveva perduto un occhio durante una delle battaglie contro gli Uomini del Re, dal momento che egli era cugino di Arthol il Rinnegato, condannato a morte per altro tradimento molti anni prima.
Non mi soffermerò ulteriorarmente su queste vicende, ché esse non riguardano tale narrazione; mi è sufficiente dire che Brethil, al contrario del corrotto cugino, era invece uno spirito lungimirante e privo di malizia, sicché egli, pur non alzando lamento alcuno durante le sessioni del Consiglio dello Scettro, pure soffriva per la sua mancata nomina a Sovrintendente del Tesoro, ché la riteneva, e a ragione, umiliante e priva di ragione alcuna: inutilmente tentai di persuadere Tar-Miriel affinché ella si ravvedesse sulla sua scelta e compisse atto di umiltà e giustizia, restituendo a Brethil la carica che apparteneva alla sua casata fin dai tempi di Elros Tar-Minyatur.
Poco o punto era stato possibile apprendere da Morlok, ché era riluttante nel parlare e conduceva vita solitaria; l’Occultatore presero a chiamarlo, ché si diceva fosse in grado di nascondere qualunque suo pensiero ai Saggi del Regno e finanche alle aquile di Manwe; non so quanta verità vi fosse in una simile diceria, ché lo sguardo di uno solo fra gli araldi del Signore dei Valar è arduo da sostenere ed essi leggono molto delle nostre intenzioni; ad ogni modo, egli si mostrò abile nella gestione delle finanze dello Stato ed il popolo benediceva sovente il suo nome, allorché lo scorgeva aggirarsi nei vicoli di Armenelos.
Per lunghi anni, dunque, Morlok ottenne l’amicizia dei membri del Consiglio dello Scettro e della Regina, la quale, tosto, prese a benevolere la sua casata, onorandola con ricchi doni, di cui il Sovrintendente, tuttavia, non amava fare sfoggio. Morlok prese moglie in tarda età, finanche secondo il metro dei Numenoreani, e la sua consorte aveva nome Linwen, una dama cara a Tar-Miriel come fosse una sorella; tale unione rafforzò il legame tra Morlok e la Regina di Numenor ed ella prese a confidarsi con lui, mostrandogli tesori quali mai occhi mortali che non fossero appartenuti alla stirpe dei sovrani avevano ammirato; un figlio allietò la dimora del Sovrintendente ed il suo nome era Eargon. Allorché furono trascorsi dieci anni, l’erede di Morlok si imbarcò su di una nave e nel volgere di un trentennio divenne un esperto capitano, sicché fu promosso Vice-Ammiraglio del Regno; quando questa notizia si diffuse a Numenor, non pochi ebbero a sussurrare che Eargon sarebbe presto divenuto un condottiero la cui fama avrebbe oscurato quella di qualunque altro paladino di Elenna; essi, tuttavia, non si avvidero che il giovane comandante era divenuto seguace di Pharazon ed ambiva ottenere conoscenze arcane, quali mai gli Uomini della sua stirpe avevano domandato e che sarebbe stato saggio non concupire mai; egli fu dunque corrotto e sedotto da Adunaphel e ne divenne lo schiavo preferito, nonché quello di gran lunga più potente”.
“In nome di Bema – proruppe allora la voce colma di orrore di Aldor Roc-Thalion – cosa accadde dunque a quel giovane, allorché la sua volontà fu annientata ed egli cadde vittima dell’Ombra? Non è ancora trascorso un giorno dacché ho udito la tua spaventosa storia sul maniero dei Nazgul e il mio cuore trema al pensiero di quale infausto destino possa aver conosiuto un siffatto Uomo!”
“Invero, il suo fu un destino di morte, ché egli aveva appreso le Arti Oscure ed era divenuto un capitano di mare quale pochi potevano vantare di eguagliare, né gli erano sconosciuti i segreti del Regno che il padre, per sua e nostra sventura, aveva osato narrargli, non sospettando alcunché. Eargon, allora, divenne una formidabile spia al servizio di Pharazon; eppure, le disgrazie maggiori dovevano ancora accadere».